Il Pil nel primo trimestre in Italia è cresciuto più del previsto, ma c'è la possibilità di un importante scatto in avanti
Il Governo incontra i sindacati la prossima settimana e il tema di fondo sarà la tenuta della economia italiana in uno scenario che si presenta ad alto rischio. Nel primo trimestre la crescita è stata migliore del previsto: +0,3% mentre ci si attendeva +0,2%; la Germania segna una leggera ripresa (+0,2%), delude la Francia (appena +0,1%) mentre la Spagna fa da locomotiva con il suo +0,6% e porta a +0,4% il Pil dell’Eurozona.
La variazione congiunturale italiana, scrive l’Istat, è la sintesi di un aumento del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, mentre i servizi sono risultati stazionari. Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta. La variazione acquisita per il 2025 è pari a +0,4%.
È una buona partenza, ma molti sono i segnali contrastanti. Il numero di occupati a marzo è sceso di 16 mila lavoratori e il tasso di disoccupazione è risalito dal 5,9% al 6%. Resta più che mai aperta la questione industriale. La produzione è calata del 3,4% lo scorso anno con un vero e proprio tonfo a dicembre (-7,1%). Così sono ben 23 i mesi chiusi in rosso, da due anni la manifattura italiana è ferma o in recessione.
È questa, dunque, la priorità in vista del confronto con i sindacati, ma dovrebbe diventare anche la priorità della politica economica. La Confindustria si lamenta, presenta una serie di interventi per tamponare l’emorragia, ma non ha una ricetta di vasto respiro per invertire la tendenza. E certo la congiuntura internazionale non aiuta.
A inizio anno l’economia ha beneficiato dell’anticipo dell’attività e dell’aumento delle esportazioni in vista dei dazi annunciati da Donald Trump il 2 aprile. Le imprese italiane hanno spinto la produzione al massimo per esportare prima che cada la tagliola di Trump. Nel mese di marzo l’export extra-Ue è aumentato del 7,5%, grazie in particolare a un balzo del 41% verso gli Usa. Hanno contribuito le commesse una tantum di navi, in assenza delle quali la crescita mensile del made in Italy, osserva l’Istat, verrebbe ridimensionata a un progresso del 3%.
Dal secondo trimestre si farà sentire l’effetto negativo delle tariffe sulla crescita. Gli operatori si aspettano un altro taglio dei tassi da parte della Bce nella riunione del 5 giugno. Gli analisti mettono le mani avanti: secondo Berenberg, “appesantita dall’impatto della politica tariffaria erratica degli Stati Uniti, la crescita dell’Eurozona subirà molto probabilmente una brusca frenata nel secondo trimestre”.
Per Hsbc i sondaggi indicano che già aprile non è andato bene. Capital scrive che “l’economia ha iniziato l’anno con una base più solida di quanto previsto”, tuttavia ci sarà “un forte rallentamento nei prossimi mesi. L’eventuale spinta dello stimolo fiscale tedesco si farà sentire soprattutto l’anno prossimo”.
Anche Standard & Poor’s taglia le stime di crescita. Il prodotto lordo globale è stato rivisto al 2,7% (-0,3% rispetto alle ultime previsioni di marzo), con gli Usa all’1,5% (-0,5%), Cina al 3,5% (-0,6%) ed Eurozona al +0,8% (-0,1%). In Europa, la Germania non andrà oltre un minuscolo aumento dello 0,1% (-0,2%), l’Italia crescerà dello 0,5%, la Francia poco più (+0,7%), mentre la Spagna continua la sua corsa (+2,6%).
Fin qui la nostra rassegna dei dati statistici e delle principali previsioni. A questo punto di tratta di trarne le conseguenze in Italia così come nell’Eurolandia. La Bce è uscita dall’inerzia, ma l’onere della tenuta economica non può pesare solo sulle spalle della politica monetaria. Le politiche fiscali dei singoli Paesi sono influenzate dalla capacità di spesa di ciascuno: chi può pensa di utilizzare incentivi di vario tipo, soprattutto fiscali, per sostenere la propria industria. Mentre si estende la coda dei Paesi (sono ormai 12) che pensano di utilizzare la deroga al Patto di stabilità prevista per sospendere le spese per la difesa dai parametri di Maastricht.
L’Italia non lo fa, perché non avrebbe in ogni caso margini sufficienti e perché il Governo ha scelto una politica di rigore dei conti, come garanzia della sostenibilità del debito.
Ma a questo punto non ci si può illudere che arrivi lo stellone italico. Se la politica fiscale è bloccata, occorre usare un altro strumento, quella che è stato chiamata politica dei redditi. Oggi la definizione è passata di moda, tuttavia se il nome cambia la sostanza resta. Occorre un accordo tra Governo e parti sociali che abbia al centro una politica di sostegno agli investimenti, che aumenti la produttività e di conseguenza i salari (la domanda interna deve venire da qui non da una distribuzione di sostegni pubblici ai consumi).
Il contributo di sindacati e industriali è nei contratti e nell’organizzazione del lavoro, il contributo del Governo nell’incentivo all’innovazione e al lavoro.
Detto così è una formula generica, ma resta l’unica formula in grado di far compiere al Paese uno scatto senza accontentarsi di spostamenti infinitesimali del Pil.
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