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Home » Educazione » SCUOLA/ 25 anni di autonomia scolastica, le cause di un fallimento (ma si può rimediare)

  • Educazione

SCUOLA/ 25 anni di autonomia scolastica, le cause di un fallimento (ma si può rimediare)

Alessandro Artini
Pubblicato 5 Maggio 2025
(Ansa)

(Ansa)

Sono trascorsi 25 anni dal varo dell’autonomia scolastica (1999/2000) ma nella scuola italiana l’autonomia è una grande incompiuta. Ecco perché

Sono trascorsi 25 anni dal varo dell’autonomia scolastica (1999/2000) ed è opportuno, quindi, riflettere sulla sua attuazione, come è stato fatto in un convegno meritoriamente organizzato dalla sezione regionale sarda dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (ANP), nei giorni 10 e 11 aprile scorsi.


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Come è noto, la legge 59/1997 che istituiva l’autonomia scolastica è una delle cosiddette “Bassanini”, dal nome dell’allora ministro della Funzione Pubblica, il quale, nei primi anni di governo del centro-sinistra, intendeva promuovere una generale e incisiva riforma della pubblica amministrazione.

L’articolo 21, relativo alla scuola, introduceva la personalità giuridica per tutte le istituzioni scolastiche, promuovendone l’autonomia didattica e organizzativa e la possibilità di gestire con flessibilità la dotazione finanziaria per i compiti istituzionali. Sarà poi il DPR 275/1999 a indicare concretamente gli spazi di attuazione dell’autonomia stessa, istituendo il Piano dell’offerta formativa (POF) e la possibilità di costituire reti di scuole, tutto ciò contestualmente alla valutazione delle stesse in relazione agli obiettivi indicati nel POF e alla valutazione esterna dell’intero sistema, finalizzata a garantire livelli minimi omogenei su base nazionale.


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Vale la pena ricordare che, alla base di queste norme, c’è un riferimento costituzionale pregnante, rappresentato dall’art. 5, il quale, pur non trattando direttamente i temi educativi, afferma il principio di decentramento amministrativo e di promozione delle autonomie locali.

Successivamente si avrà, nel 2001, la riforma del Titolo V della Costituzione che, in piena continuità con l’articolo 5, riconosce l’autonomia scolastica. L’articolo 117, infatti, definendo i termini della competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, precisa che essa non deve valicare gli spazi autonomi delle scuole (“salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche”).


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L’autonomia, dunque, ha seguìto nella sua genesi legislativa un percorso complesso e articolato in una serie di passaggi e statuizioni che si sono radicati nel più elevato sistema di norme costituzionali. Le scuole, inoltre, attributarie delle loro autonome funzionalità, avrebbero dovuto farsi carico di alcuni compiti, contribuendo a snellire l’apparato locale amministrativo di quegli uffici che un tempo si chiamavano provveditorati e soprintendenze regionali.

Inutile dire che questi ultimi, con i loro dirigenti e organici, si trovavano improvvisamente a essere fortemente ridimensionati, esautorati nei ruoli ricoperti fino a quel momento e così dimidiati nei poteri, mentre le singole persone venivano esposte alla possibilità di trasferimento per la riduzione dei posti. Da ciò è derivata una forte resistenza, di natura sindacale e burocratica, verso una riforma considerata penalizzante e sostanzialmente inattuabile.

Quanto alla valutazione, che avrebbe richiesto un corpo ispettivo molto numeroso e selezionato, essa non è mai decollata e le uniche indagini disponibili sono quelle dell’INVALSI, che riguardano soprattutto gli apprendimenti degli alunni. Ma anche queste ultime, come è noto, hanno trovato negli anni una forte opposizione, in questo caso soprattutto da parte del corpo docente, che oggi è solo parzialmente sopita.

In altri termini, quella che Norberto Bottani definiva in suo testo come “la pagella delle scuole” e che avrebbe dovuto integrare l’autonomia, in sostanza non è mai stata stilata. L’intero sistema scolastico, deputato alla valutazione costante e selettiva degli alunni, è sempre stato alieno a qualsiasi valutazione su di sé.

Queste sono alcune delle ragioni per le quali l’autonomia scolastica è decollata solo parzialmente e ciò risulta evidente dal confronto di essa con quella di altri Paesi europei, dove le scuole hanno poteri molto più estesi e incisivi rispetto alle dotazioni immobiliari (sono proprietarie degli edifici e li gestiscono), riguardo alla gestione economica del loro budget e a quella del personale, con possibilità di assunzioni dirette. La nostra autonomia scolastica, se valutata comparativamente, è piuttosto debole.

Tuttavia, ponendo da parte il tema delle resistenze, emerse anche nel corso del convegno sardo, l’aspetto su cui vale la pena di riflettere è quello della connessione di essa con i decreti delegati, su cui i presidi toscani avevano organizzato nel febbraio 2024 un convegno, in occasione del 50esimo anno (mezzo secolo…) dal varo dei decreti delegati del 1974.

Si può dire che i due convegni, quello toscano e quello sardo, forse involontariamente, nel celebrare alcuni anniversari, si siano mossi in base a un disegno unitario. A nostro avviso, infatti, la responsabilità, almeno parziale, della inadeguata attuazione dell’autonomia delle scuole risiede nella loro governance e cioè in quei decreti delegati.

Essi sono nati improntati a un disegno politico che si è rivelato ideologico. Prevedeva la partecipazione di una pluralità di soggetti alla gestione della scuola (personale, genitori e alunni) e nei fatti introduceva in essa le istanze politiche particolarmente vivaci di quegli anni. Gli eletti, infatti, facevano riferimento generalmente a liste politicamente schierate.

Oggi sono ben visibili i limiti di quel disegno, che si evidenziano nel cattivo funzionamento degli organi di governo della scuola: i collegi dei docenti sono anestetizzati dalla partecipazione online, i consigli di classe sono perlopiù privi della componente genitoriale e scarsa è anche la partecipazione di quella componente alle riunioni dei consigli di istituto. In alcune scuole, non si reperiscono neppure i genitori disposti a candidarsi per le elezioni degli organi collegiali. Mutato il clima politico, è emerso come la ratio che sovrintendeva ai decreti delegati si sia rivelata ideologica, eludendo la specificità del sistema educativo, cioè del rapporto personale e dialogico tra discenti e docenti, e disconoscendo l’identità stessa delle scuole, che non può disperdersi in una trama di relazioni sociali e politiche.

A questo punto occorre chiedersi se l’autonomia sia tutt’oggi uno status da mantenere. La nostra risposta è affermativa, dacché essa costituisce un presupposto educativo insostituibile in quanto lo Stato non può rispondere in maniera centralistica al fabbisogno educativo di una società evoluta e complessa come la nostra, eludendo cioè il principio di sussidiarietà. L’autonomia pertanto non va dismessa, ma finalmente inverata tramite una nuova governance delle scuole.

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Tags: Autonomia Scolastica

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