Latino nella scuola media: un’occasione per accendere l’entusiasmo dei ragazzi, basta mettersi in gioco e trovare la chiave giusta. Farlo tocca ai docenti
Ho seguito con un certo fastidio il dibattito su queste colonne relativo all’introduzione della materia opzionale di latino nella scuola secondaria di primo grado. Il fastidio, lo dichiaro subito, è davanti alle ragioni addotte dal “comitato del no”, perché non mi convincono e mi sembrano una reazione di pancia di fronte agli (cito dall’ultimo contributo apparso in ordine di tempo) “stereotipi nazional-popolari” su cui sarebbe fiorita la proposta Valditara.
Sotto sotto, questa è la critica pregiudiziale: non ci sarebbe una vera preoccupazione didattica, ma piuttosto quella di “restituire centralità a una tradizione che negli ultimi anni ha perso terreno, anche come strumento di un nuovo rafforzamento dell’identità nazionale in una società sempre più liquida”. Reintrodurre il latino per essere meno liquidi: questo sarebbe il vero intento della proposta del ministro, che, una volta ridotta a una macchietta (e forse anche a ragione, perché anche il “comitato del sì” non scherza con la sua retorica), è poi un gioco fare a pezzi.
Ma gli argomenti-contro quali sono? Le cifre, le statistiche: dicono i numeri che il latino non importa più a nessuno, il liceo classico perde iscritti e così pure gli indirizzi che hanno in curriculum questa “lingua morta”. Gli studenti, si aggiunge, ricercano competenze “immediatamente spendibili”.
Vero, ma obietto che è difficile che gli studenti delle scuole medie scelgano consapevolmente un indirizzo che ha in curriculum il latino se di questa lingua hanno solo una vaga idea vagamente orribile. Quanto alle competenze spendibili sul mercato del lavoro, che dovrebbero essere le uniche di cui tenere conto, penso che allora presto manderemo in soffitta, dopo il latino, le storie della letteratura, la filosofia, la storia stessa. Con questa roba si fa poca spesa.
Poi c’è l’argomento “classi multietniche”: in una scuola dove ormai gli studenti italiani convivono con arabi, cinesi, romeni, spagnoli e altri ancora, l’introduzione del latino renderebbe ancor più difficile l’integrazione culturale. Quindi, perché invece di dedicarsi a una “lingua morta”, non rafforzare la lingua “viva”, cioè l’italiano?
A questa domanda mi viene da rispondere con un’altra domanda: e se invece fosse proprio l’introduzione del latino a favorire l’integrazione? Il fatto è che davanti a una lingua antica e sconosciuta come il latino, tutti i ragazzi (dall’italiano al romeno, dallo spagnolo al cinese all’arabo) partirebbero da zero e sarebbero sullo stesso piano, cosa che invece non accade con la nostra lingua. Così che anche uno straniero, per la prima volta, avrebbe la possibilità di fare i primi passi allo stesso livello degli altri.

Ma poi è davvero miope la posizione di chi non riconosce che lo studio del latino aiuta la conoscenza e la comprensione stessa delle strutture dell’italiano (per non dire, per esempio, proprio dello spagnolo e del romeno)? Ricorderò sempre quella mia studentessa al primo anno di liceo linguistico che, felicemente stupita, mi disse: “Professore, studiando il latino, per la prima volta ho capito qualcosa della grammatica italiana!”.
Che il latino costituisca una risorsa anche solo per lavorare sui fondamenti stessi della grammatica e dell’analisi logica mi sembra un dato tanto banale (perché direttamente sperimentabile e sotto gli occhi di tutti quelli che hanno un minimo di esperienza nell’insegnamento) che non ci sarebbe nemmeno da discutere.
Ma ecco, forse il principale problema sta proprio qui: il latino mette paura agli insegnanti stessi, molti dei quali non l’hanno amato, anzi l’hanno subito, magari, perfino odiato. Quindi il solo pensiero di ripartire da “rosa rosae”, con tutte quelle declinazioni (e quelle eccezioni e nomi notevoli e particolarità et cetera) toglie il respiro e rende pieno di nuvole oscure l’avvenire.
Si tratta di rimettersi a studiare, anche se non basta, perché i docenti sanno benissimo che studiare non è sufficiente ad insegnare, occorre un metodo. Occorre soprattutto una visione e un entusiasmo che sia in grado di comunicare agli studenti il gusto di un’avventura nell’apprendere una nuova lingua. E gli studenti rispondono con entusiasmo a chi sa toccare le corde giuste. È diffusa questa capacità di toccare le corde col plettro del latino?
Ma il punto fondamentale è che la proposta Valditara potrebbe fornirci finalmente un’opportunità: sperimentare un nuovo metodo (in realtà antico quanto gli umanisti), quello del “latino vivo”, che partendo dalla lettura di testi semplici, introduce naturalmente il ragazzo alla lingua: non si parte dalle regole da mandare a memoria, ma dall’esperienza della lingua, scoprendo, piacevolmente, che quella latina, specialmente a un livello di base, che è quello da proporre alla scuola media, è comprensibile e non molto distante dalla nostra e che tutti possono capirla. Chi ha sperimentato questo metodo ha fatto delle scoperte sorprendenti, prima tra tutte il formarsi spontaneo di un vocabolario nella mente dell’alunno, senza quei tremendi sforzi di memoria che hanno funestato la nostra giovinezza.
Semplifico con un fatto accadutomi un mese fa: entro alla sesta ora in una seconda media particolarmente vivace e con difficoltà d’attenzione. Lancio la sfida e la grande proposta: oggi leggeremo in latino! Gli studenti che ho davanti non sanno nemmeno cosa sia il latino. Cominciamo a leggere: “Roma in Italia est. Italia in Europa est. Gallia quoque in Europa est. Roma et Italia in Europa sunt…”. E così via. Sto utilizzando l’utilissimo volumetto Familia Romana, edito da Vivarium Novum. I ragazzi capiscono e traducono. Fanno a gara. Posso concentrarmi su alcuni aspetti delle frasi (il verbo alla fine del periodo, la differenza tra est e sunt, addirittura la quantità delle vocali e molto altro).
Arrivati a quoque, basta la mia intonazione perché qualcuno trovi la traduzione: “anche”! Non è finita l’ora che già posso fare delle domande in latino ed ottenere delle risposte in latino dai ragazzi: “Ubi est Roma?” – “Roma in Italia est”. Al termine, mi fanno loro delle domande: come si dice in latino mamma? E papà? E ragazza bella? Funziona: vogliono farsi grandi quando tornano a casa dai genitori e vogliono conoscere parole in latino che possano servire nella loro quotidianità. E così il latino diventa una “lingua viva”.
Bisogna resettare un po’ tutto il vecchio metodo (che funziona molto poco, soprattutto oggi), rimettersi in gioco, mettersi a studiare. Ma il successo è garantito. Non è roba immediatamente spendibile? Non lo so. So che tutto quello che rientra nel nostro interesse “fa scienza” e quindi serve. E so che, grazie ad un’oretta di latino, ho visto un entusiasmo che raramente si accende. In fondo dipende sempre da noi e dalla nostra libertà rispetto ai pregiudizi e alla sapienza delle statistiche.
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