La scuola è ferma. Il modo migliore per non sprecare il periodo estivo è dedicarlo alla lettura. Alcuni suggerimenti, cominciando da Silvia Avallone (1)

Il periodo estivo reca con sé il gusto di dedicare finalmente il proprio tempo a qualcosa che si ama particolarmente e non pochi mettono la lettura al primo posto, stilando elenchi di libri, andando in biblioteca, spulciando i consigli sparsi su tante riviste o piattaforme del settore.

Con un romanzo, un giallo, un saggio, una raccolta di racconti o poesie, certo la produzione editoriale odierna ci offre una vasta gamma di possibilità e davvero siamo forse presi dall’imbarazzo della scelta, tentati magari di recuperare un vecchio classico o un autore da manuale.



Adesso vogliamo invece provare a scoprire qualche pagina di quella letteratura contemporanea sempre troppo lontana dalle nostre aule; certo, servono criteri e strumenti guida – non la classifica di un qualsiasi quotidiano o l’elenco dei più gettonati sui social – e ce ne sono di autorevoli, ma spesso, per un certo snobismo, che aleggia soprattutto fra i docenti rispetto alla produzione contemporanea, non ci imbarchiamo in questo lavoro avventuroso di setaccio e selezione.



Purtroppo, così facendo, ci perdiamo occasioni preziose di incontrare autori di grande umanità e conoscere storie di grande bellezza: abituati a paragonare tutto ai grandi maestri del passato, cerchiamo l’antico nel nuovo, ma non riconosciamo le modalità con cui il nuovo incontra noi adesso.

Potremmo, infatti, stupirci di come un tema difficile come quello del perdono si affacci più e più volte nelle storie dedicate ai cosiddetti giovani adulti (young adult) o in certi romanzi recenti; ovviamente, la letteratura cristiana offre esempi memorabili e commoventi, per cui tutti noi potremmo citare Dante, Fra Cristoforo e l’Innominato di Manzoni, Dostoevskij, I miserabili di Victor Hugo, oppure Dickens o Shakespeare, o ancora Graham Greene, Paul Claudel, Tolkien, Lewis, Charles Péguy.



Quando però incredibilmente accade che un titolo, editato oggi, parlando di perdono, superi l’accoglienza infastidita delle intelligenze salottiere, questo è proprio un avvenimento degno di nota. In tal senso, consigliamo l’ultima storia emblematica e potente di Silvia Avallone, Cuore nero (Rizzoli 2024; Premio Elsa Morante 2024, Premio Viareggio-Rèpaci 2024).

La narrazione inizia con Emilia – giovane donna trentunenne – e Riccardo – suo padre – in cammino lungo un sentiero, Stra’ delle Forche, che da Sassaia, paesino di montagna, conduce ad una casa dove Emilia cerca un rifugio, un mondo isolato, dove iniziare una nuova vita e dimenticare gli ultimi quattordici anni trascorsi in un carcere femminile, accusata dell’omicidio di una sua amica.

Adesso che ha scontato la sua pena, ha chiesto a suo padre di poter vivere in quella vecchia proprietà di famiglia. L’arrivo di Emilia sconvolge la pacifica e lenta quotidianità di questo luogo, ma soprattutto quella di un uomo poco più grande di lei, Bruno, tornato nel paese natale dopo gli studi a Torino e adesso assunto come maestro nella scuola elementare del paese.

Da ragazzino, Bruno ha perso i genitori in un tragico incidente su una funivia e non è mai riuscito a fare i conti con questo dolore, anche perché lui e la sorella Valeria avrebbero dovuto essere su quella stessa funivia se non fossero scesi in ultimo per un caso fortuito, salvandosi dalla morte.

Sia Bruno sia Emilia attendono di scoprire il perdono per sé stessi: l’uno per essere sopravvissuto, l’altra per avere ucciso. Non ci sono facili assoluzioni né giustificazioni, ma la necessità di attraversare il lento percorso esistenziale per raggiungere non solo la consapevolezza della colpa, ma soprattutto l’accettazione di un amore che perdona, risana, rigenera.

Infatti è soltanto nell’incontro con Bruno che Emilia potrà fare i conti col male commesso e scoprire di essere altro ed oltre rispetto alla colpa; ad un tempo, lo stesso Bruno, incapace di perdonarsi, si troverà a decidere se accettare ed accogliere la colpa di Emilia come parte dello stesso male misterioso che, come il bene, può manifestarsi in tutti noi:

“Eravamo due esseri umani. Quello che lei aveva compiuto, avrei potuto compierlo io, era una possibilità che tutti avevamo nel corpo e in quello che c’era dentro: l’anima? L’abisso? Incapace di dormire, ascoltai a lungo il rumore del bosco, degli uccelli, del mondo che si risvegliava commovente, bellissimo, e ricominciava dopo l’inverno. Di colpo mi accorsi di quanto tutto, tutto il bene contenuto in noi e nella materia, fosse precario e meraviglioso, degno di cura a qualsiasi costo. Allora cos’era, il male? Il non saper perdonare” (p. 335).

Non ci sono buoni e cattivi in questa storia, né facili morali, ma percorsi di rinascita dentro la realtà che rivela un’armonia segreta più profonda dell’immediata apparenza: Emilia e Bruno non sono i loro traumi, il loro male, i loro peccati, ma per accorgersene devono accettare il perdono che arriva dentro le pieghe stesse del reale e rivela che loro sono già altrove, saranno sempre altrove rispetto al passato, che non è più.

Come tutte le storie belle e vere, anche questa della Avallone stupisce e commuove per l’intuizione potente della grandezza del nostro io che, nel dialogo serrato e sincero con gli accadimenti della realtà, si riscopre abbracciato ed invitato a dare un nome a Chi così delicatamente, ma evidentemente, ci attende, altrove rispetto al nostro male.

(1 – continua)

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