Quando si è in montagna, andare avanti per un sentiero che ci allontana palesemente dalla meta è da pazzi. Cercare di ritrovare il sentiero che abbiamo abbandonato per errore, magari rifacendo a ritroso il pezzo che ci ha portato fuori strada, questo è realismo. Così molti insegnanti si sono accorti che la strada imboccata dalla scuola italiana non produce persone preparate. Non perché lo dice l’OCSE, ma perché è sotto gli occhi di tutti.
Per questo non credo che le categorie di “andare avanti” e “tornare indietro” (progressista e conservatore) siano adeguate a leggere quello che la commissione ministeriale sta per proporre, anticipato dall’intervista che il ministro Valditara ha concesso al Giornale di ieri. Sono categorie del passato (queste sì) che non spiegano la situazione in cui ci troviamo oggi storicamente.
Non credo che il progetto di Valditara “incontrerà molte resistenze e provocherà molte contestazioni e polemiche” (cito dall’articolo di Antonio Polito sul Corriere della Sera), se non fra i sostenitori del cosiddetto “pedagogese”, perché è da anni che molta parte del corpo insegnante vive con insofferenza la centratura su competenze accusate di aziendalismo: l’invito a valorizzare la cultura non è esclusivo della destra. Gli insegnanti sono corsi dietro per anni a metodologie alla moda, parole d’ordine su cui ricevevano indicazioni genericissime (poi ognuno le applichi come e quando gli pare), e preferirebbero una maggiore serietà nello studio vero e proprio da parte degli studenti. “La cosa più coraggiosa che la scuola italiana può fare oggi è chiedere ai giovani uno sforzo”, ha scritto Tommaso Tuppini sul Foglio.
È sotto gli occhi di tutti il bisogno estremo delle giovani generazioni di recuperare la capacità di comunicare: avere un bagaglio lessicale decente, sapersi esprimere, rendersi conto della differente portata (in certi contesti) di un congiuntivo rispetto a un indicativo, saper produrre una pagina scritta decorosa. E che cosa può aumentare la capacità di comunicare, se non trafficare con intelligenza testi di tutti i tipi? Così interpreto l’insistenza sulla lettura, sull’epica, sull’imparare a memoria, sul frequentare linguaggi diversi – fra i quali il linguaggio musicale: finalmente! – sul coltivare la fantasia, la capacità di stupirsi dei ragazzi.
Alcune esperienze che conosco vanno già in questa direzione. Le “Botteghe dell’insegnare” dell’associazione Diesse propongono percorsi di lettura di testi integrali per approfondire la comprensione di sé e del mondo (Il libro fondativo), per comprendere il senso di un capolavoro letterario e porgli domande personali (“Il mondo parla, ma noi sappiamo ascoltare?”); gruppi che lavorano su testi non solo di autori italiani (Le Vie d’Europa) capaci di suscitare l’immedesimazione e l’interesse dei ragazzi, per i piccoli della primaria (LibrAperto) o per i grandi delle superiori (Colloqui fiorentini).
Sulla lettura ad alta voce, dalla Bottega “Progettazione” proviene indirettamente un percorso didattico che è stato oggetto di un’acclamata tesi di laurea all’Università Statale di Milano, pubblicata per Ledizioni (Giulia Totaro, La lettura ad alta voce per rifondare il curricolo di italiano degli istituti tecnici e professionali, 2024): la lettura di testi integrali non scolastici, non didatticizzati, non semplificati, è una sfida funzionante capace di produrre competenze lessicali, sintattiche, di scrittura e comunicative anche in un contesto difficile come gli istituti cui si fa riferimento (fra cui i CFP).
Sull’imparare a memoria: la lettura nutre il cervello non solo di parole ma di emozioni e di musica linguistica, e l’apprendere a memoria, poesie ma anche frasi che ci colpiscono per concisione, efficacia, bellezza, musicalità, contribuisce a livello cognitivo. L’apprendere a memoria è stato a lungo trascurato nella scuola, come pesante e retrivo retaggio del passato. La memoria invece è una funzione del cervello fondamentale anche per il linguaggio. Recentemente alcuni studiosi, Jeffrey Karpicke e Janell Blunt, psicologi alla Purdue University di West Lafayette, Indiana, Usa, hanno affermato che imparare a memoria e ripetere, rispetto a metodi nuovi come l’uso di cosiddette “concept maps” o “mind maps”, è un metodo molto più efficace per assimilare concetti, per poi averli nella propria memoria e quindi utilizzarli nel ragionamento per fare connessioni logiche. Dalle poesie a memoria i bambini della primaria imparano anche parole che non conoscono: gli irti colli, il maestrale, i tini, i ceppi accesi, lo spiedo, l’uscio, gli stormi d’uccelli … (questa è mia nipote di anni 9 che con mio grande entusiasmo e grazie alla maestra aveva da imparare San Martino, il che le è riuscito molto facilmente).
Alla grammatica il ministro fa solo un cenno: da molti anni si cerca la strada per uno studio grammaticale che serva a capire il funzionamento della lingua, invece che limitarsi a classificare e etichettare i “mattoni”. Anche in questo campo le Botteghe dell’Insegnare hanno molto lavorato, proponendo modelli innovativi e strumenti utili agli insegnanti per collegare riflessione sulla lingua e capacità comunicative (cfr. le dispense Il piacere della grammatica per la primaria e Facciamo grammatica per la scuola media, edite da Bonomo; ma anche i testi di chi scrive, dedicati alla formazione degli insegnanti e alla scuola media).
In questo quadro non stupisce, anche se potrebbe non convincere, la possibilità di introdurre lo studio del latino in seconda media: se fino a ieri tale studio doveva essere propedeutico all’ingresso nella scuola superiore liceale, oggi potrebbe cambiare paradigma e offrire agli studenti gli strumenti lessicali necessari a comprendere le famiglie di parole in italiano, per esempio la parentela fra parole diversissime come cinghia, cengia, incinta, … tutte derivate dal latino cingere (su questo si veda il bel RIF. Repertorio Italiano di Famiglie di parole. Dagli etimi ai significati per arricchire il lessico, a cura di P. D’Achille e M. Colombo, Zanichelli 2019).
Quanto all’epica, esperienze in atto dicono che anche la lettura dell’Iliade nella traduzione in versi e primo ottocentesca di Vincenzo Monti non rappresenta un ostacolo insormontabile per studenti delle medie: la pazienza di un lavoro ritmato e puntuale sul testo, che accompagna i ragazzi per un anno e mezzo tra prima e seconda media, consente loro di rendere la lingua di quel testo sempre più trasparente e di godere a pieno il significato dell’opera. Nella lettura dell’Iliade entrano in gioco diverse competenze grammaticali affrontate parallelamente in altre ore di italiano: ad esempio la ricostruzione dell’ordine delle parole, fondamentale per comprendere un testo poetico, è resa possibile facendo leva sui concetti di frase minima, concordanza e valenza del verbo.
La lettura dell’Iliade di Monti consente anche di ampliare il lessico per la presenza di numerose parole significative e di riflettere sui concetti di sinonimia, famiglia lessicale e derivazione (ad esempio, una parola come mortifero permette di giocare sul suffisso -fero e di richiamare parole comuni come calorifero, sonnifero e pestifero). In sintesi, mostrare ai ragazzi la profondità del lessico, in maniera non teorica ma a partire da un testo che va innanzitutto compreso, permette loro di non rimanere passivi di fronte a un termine apparentemente incomprensibile. La grammatica dunque (in particolare, nel suo livello sintattico e lessicale) trova una sua applicazione concreta in un tipo di lettura come questo e al tempo stesso permette una comprensione sempre più approfondita del contenuto che si va leggendo.
Non si parla, nell’intervista del ministro, della scrittura a mano, tanto bistrattata, che influisce sull’elaborazione delle idee, sulla formazione delle immagini mentali, sullo sviluppo della manualità fine… e l’elenco non è finito. La battaglia perché le giovani generazioni tengano la penna come si deve (e non con il pollice davanti all’indice e al medio) per adesso pare persa, ma spero tanto che si “torni indietro” e si insegni di nuovo come un tempo la corretta postura della mano per l’acquisizione di schemi visuo-grafo-motori corretti. È poco noto che cattive posture ed impugnature spesso causano difetti visivi come la miopia e l’anisometropia o problemi d’apprendimento come la disgrafia e la disortografia.
Insomma, prima di tacciare di conservatorismo le nuove Indicazioni mettiamoci una mano sul cuore e ripensiamo a quante pratiche didattiche utili sono state dismesse nel passato senza un plissé.
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