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Home » Educazione » Didattica » SCUOLA/ Papa Francesco, “pensare-sentire-fare”: si può educare solo la vita intera

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SCUOLA/ Papa Francesco, “pensare-sentire-fare”: si può educare solo la vita intera

Sergio Arosio
Pubblicato 4 Maggio 2025
Scuola

Esame di maturità (Ansa)

In occasione della visita a Milano nel 2017, papa Francesco propose ai giovani una vera e propria lezione sull’educazione, fondata sull’unità della persona

“Io consiglierei un’educazione basata sul pensare-sentire-fare, cioè un’educazione con l’intelletto, con il cuore e con le mani, i tre linguaggi”. Con questa e ad altre espressioni simili papa Francesco è intervenuto a più riprese nel corso del suo pontificato per mettere in evidenza un aspetto che gli stava particolarmente a cuore in ambito educativo.


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È certamente una frase ad effetto, che suscita facile condivisione da parte di tutti perché va a far leva su qualcosa di decisivo nel vissuto di ognuno, di uno studente come di un insegnante. Ma perché sortisce questo effetto immediato? Quali corde arriva a toccare?

Il rischio più grande, se non si risponde a queste domande, è di ridurre l’indicazione del papa a uno slogan, recependola come un invito ad aggiungere qualche nuova attività o a toglierne qualcun’altra.


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Già Francesco stesso ha provveduto a dare qualche indicazione in più per farci comprendere la portata delle sue affermazioni; in occasione della sua visita a Milano nel marzo 2017, ad esempio, aveva sottolineato l’esigenza di “educare all’armonia dei tre linguaggi, al punto che i giovani, i ragazzi, le ragazze possano pensare quello che sentono e fanno, sentire quello che pensano e fanno e fare quello che pensano e sentono. Non separare le tre cose, ma tutt’e tre insieme”.

Da dove nasce la preoccupazione del papa? Che cosa gli ha fatto vedere come urgente questo richiamo? Vedere da quale vita sorgano tali riflessioni aiuta anche noi a meglio comprenderle.


Zuppi: “siamo alla fine della cristianità, ma non del cristianesimo”/ “Papa Leone XIV ricostruisce la Chiesa”


Non si può allora che pensare a una esperienza fondamentale per Jorge Mario Bergoglio: la sua appartenenza alla Compagnia di Gesù.

A chi gli chiedeva che cosa lo avesse spinto a farsi gesuita, il pontefice rispondeva sempre che voleva fare il missionario e recarsi in Giappone e trovò nella Compagnia l’ordine missionario per eccellenza: per lui dire gesuita era dire missionario.

Agli inizi della storia di Papa Francesco troviamo un ragazzo affascinato da un ideale grande che lo afferra totalmente e che richiede l’impegno dell’intera sua umanità, del suo pensare, del suo sentire e del suo agire.

Gli appelli del pontefice a tenere insieme e a non separare le dimensioni della persona sono allora l’invito a proporre qualcosa che possa muovere e coinvolgere tutta la vita di chi educhiamo: solo un ideale veramente totale e universale, qualcosa che possa essere tutto per una vita, muove il tutto di una persona.

Le vicende della vita, non ultimi i problemi di salute che sconsigliarono la partenza per una terra lontana, hanno condotto Francesco altrove, ma le sue preoccupazioni educative sono comprensibili alla luce della pedagogia del fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola. Non solo, infatti, la Compagnia nasce caratterizzata, fin dalle sue origini, da quella forte impronta cosmopolita che affascinò Bergoglio, ma Ignazio comprese anche il ruolo centrale del desidero nella formazione di un giovane. Nelle Costituzioni della Compagnia, elaborate da Ignazio stesso, è contenuto un esame generale, una serie di domande per verificare le intenzioni di chi volesse diventare gesuita; tra queste alcune dovevano riguardare la disponibilità a sopportare prove, fatiche e umiliazioni.

Tra le questioni si legge: “pertanto, si dovrà domandare a ciascuno se prova simili desideri, tanto salutari e fecondi per la perfezione della sua anima. Se a causa della nostra debolezza umana e della propria miseria egli non provasse tali desideri così accesi nel Signor nostro, gli si deve domandare se desidera in qualche modo di provarli”. Quasi a dire: anche se è debole il desiderio, anche se mancano ideali e forti motivazioni, almeno che ci sia il desiderio di desiderare, l’attesa di incontrare qualcosa di significativo. È sufficiente questo spiraglio perché sia possibile educare.

È questo il genio pedagogico di Ignazio che è arrivato fino a papa Francesco e che permette di comprendere meglio le affermazioni di quest’ultimo e la ragione per cui ci affascinano tanto: in fondo esprimono il desiderio di ogni persona di incontrare qualcosa che la coinvolga interamente, senza escludere alcun aspetto della sua esistenza.

Il tema è quanto mai urgente nei nostri giorni, dove tutti sperimentiamo una diminuzione del desiderio, una stanchezza di fronte alla vita e alle sue esigenze. L’esortazione del Papa a recuperare la dimensione del fare, dell’agire, è un invito a gettarsi nelle cose, a recuperare il rapporto con la realtà per scoprire che in seguito si muoverà anche il nostro desiderio e si allargherà la nostra ragione. Basta, come ricordava Ignazio nell’esame generale, una prima piccola leva per sollevare ogni anima fino al cielo.

Colpisce anche il fatto che questo desiderio, così mobilitante e coinvolgente, non sia mai veramente realizzato per papa Francesco. Tante volte ci è difficile educare o lasciarci educare perché tutto si appiattisce sull’utile: insegno e imparo solo quello che può servire per lo scopo che mi sono prefissato. Altre volte, invece l’incertezza sul futuro, sulla propria vocazione spinge a non impegnarsi mai veramente con niente. La vicenda di papa Francesco mostra che la chiave dell’educazione è un’altra: preparare a tutto perché qualcuno possa chiederci tutto di noi.

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Tags: Papa Francesco

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