Scanzano è un rione periferico di Castellammare di Stabia, città di 62mila abitanti cresciuta in fretta nell’area metropolitana di Napoli. Forse non è esattamente il Bronx (Il Gazzettino vesuviano ne esalta di “ricco patrimonio e le bellezze”), ma le cronache lo definiscono “la roccaforte del clan D’Alessandro, affiliato alla camorra”. L’anno scorso l’istituto scolastico locale venne premiato dal ministero dell’Istruzione per l’utilizzo che seppe fare dei fondi europei estivi, una sorta di ponte educativo tra un anno scolastico e l’altro per arginare la dispersione scolastica.
Eppure, qui lo Stato è poco più di un nome stampato sulle targhette degli edifici pubblici e se c’è un problema la gente preferisce risolverlo “a modo proprio”, cercando di farsi giustizia da sé. Davanti all’aggressione del 14 novembre scorso a opera di una trentina di genitori che mandarono all’ospedale una docente della scuola media accusandola di comportamenti inadeguati in classe, la giustificazione di una mamma fu: “Nessuno ci ha ascoltato”. Cioè ascoltato cosa? “Purtroppo”, occorre ammetterlo, è solo grazie a quel pessimo esempio educativo che è stata scoperta la pentola del marcio.
Ieri la medesima insegnante, una 40enne titolare della cattedra di sostegno (particolare che ne aggrava ancor più la situazione) è stata tratta in carcere con un’accusa tra le più infamanti, “maltrattamenti, violenza sessuale, induzione al compimento di atti sessuali” (avvenuti sia a scuola sia da casa via social) ai danni di sette allievi di 14 anni, quattro maschi e tre femmine. Seguirà il probabile processo e solo allora si arriverà a stabilire la verità; tuttavia, i cellulari sequestrati dai Carabinieri alla docente e ai ragazzi non lascerebbero dubbi sui contenuti delle “lezioni”.
Non scendiamo nei particolari, per altro facilmente reperibili perché resi pubblici, ma una domanda possiamo, anzi dobbiamo porla: dov’era la scuola mentre entro le sue mura avvenivano tali misfatti? Dov’erano il dirigente, forse anche il personale ausiliario, ma soprattutto gli insegnanti? Possibile che nel rapporto quotidiano di classe, magari mentre scorreva una (inutile) ora di educazione civica, non si siano accorti di nulla? Puntare il dito a posteriori e senza conoscere l’intero quadro investigativo è sempre un rischio, tuttavia pare impossibile che adolescenti di quell’età (a proposito: la stampa parla di studenti 14enni, cioè in una fascia di età propria del primo anno di scuola superiore, non delle medie, dunque saremmo in presenza di ben sette ripetenti: un particolare che non può essere tralasciato nel leggere la vicenda) non abbiano lasciato trasparire nel rapporto coi docenti uno sguardo, una parola, magari un silenzio mentre subivano le prepotenze di una donna “schiava dei suoi impulsi”, come afferma il giudice delle indagini preliminari.
Se questa è la radice del comportamento, la docente dovrà essere non solo condannata (e licenziata), ma aiutata ad uscire dalla schiavitù in cui si trova. Rimane il “danno”, non sappiamo quanto riparabile dal punto di vista psicologico, subito da giovanissimi costretti a portarselo dietro tutta la vita. E rimane altresì la domanda: possibile che gli adulti della scuola non siano mai stati sfiorati dal dubbio?
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