Continua ad esserci un cielo fosco sulla testa degli italiani, o almeno così lo vedono quanti hanno risposto al sondaggio effettuato da Eurispes. Non è possibile dare loro torto: il rischio di una guerra è reale. Ma lo è ancora di più quello delle ricadute di questa sull’economia e quindi sul lavoro. L’indagine effettuata da Eurispes mostra anche come gli effetti del ristagno precedente abbiano già ridotto i consumi ed aumentato gli indebitamenti delle famiglie. Gli italiani hanno già contratto prestiti, chiesto soldi a famigliari e parenti, rateizzato i pagamenti.
Non si tratta purtroppo di novità. I segnali sono molteplici e già si sono manifestati in molti modi. Dalla contrazione spettacolare del mercato dell’auto a quella degli interventi di manutenzione edile, fino al rientro nella casa dei genitori per chi aveva sperato e creduto in un’autonomia economica e nella possibilità di non pesare sulle economie famigliari.
In un quadro così fosco ciò che manca sembra essere la contrazione dei consumi al di sopra delle soglie pre-pandemia, la rinuncia ad uno stile di vita conquistato, retrocedere dal quale è percepito come la fine non solo di un modello di vita, ma anche e con questo, la messa tra parentesi di ogni possibile serenità a breve termine. Oggi, al contrario del passato, le famiglie hanno la percezione di avere molto da perdere riguardo ai livelli di benessere lungamente costruiti nei decenni precedenti. Pur di difendere gli status acquisiti non esitano a rinunciare ai servizi esterni. Da qui, ad esempio, la rinuncia a retribuire persone esterne per l’assistenza al genitore anziano, quando non addirittura – in caso di perdita del posto di lavoro – la ripresa di quest’ultimo dalla casa di riposo dove era già stato collocato.
Si tratta di un’Italia in posizione di difesa che ha già attivato tutte le strategie possibili per poter “galleggiare sulla crisi”, con la percezione che è la crisi ad allargare il proprio perimetro, a farsi più profonda, rendendo più difficile qualsiasi tentativo di non esserne travolti.
Tutto questo si sta peraltro producendo in un contesto di scarsa fiducia istituzionale, dove la diffidenza è aumentata e la fiducia è mediamente diminuita. La stessa Chiesa, pur detenendo ancora la fiducia da parte della maggioranza degli intervistati, è lontana di più di qualche punto dai livelli del passato (dal 60% del 1983 è scesa al 54,4% di oggi). Lo stesso accade per il Parlamento, dove i numeri già ristretti del 1983 (31%) si sono ulteriormente ristretti (25,4%). Qualche ridimensionamento avviene anche per la Polizia, passata dal 68 al 60%.
C’è pertanto un’Italia “in uscita”, cioè fuori da qualsiasi speranza istituzionale. L’aver disertato le urne alle ultime elezioni comunali in città di prima importanza come Torino, Milano e Roma, mostra un intero popolo che ha smesso di attendere e si organizza per contro proprio. Con tutti i rischi che una simile scelta può comportare, perché un popolo senza istituzioni è certamente un popolo più fragile, ancorato a sé stesso ed alle proprie reti di capitale sociale.
In un panorama così mesto è allora importante andare a guardare dove si stia canalizzando la fiducia degli italiani. In un paese dove Parlamento e Magistratura, ma anche la stessa Chiesa, registrano una riduzione dei livelli di fiducia, non è privo di significatività il fatto che l’Esercito e la Scuola non risentano affatto di una simile crisi ma, rispetto ai risultati di quarant’anni fa, registrino aumenti di fiducia più che lusinghieri, passando dal 58% al 66,5% nel primo caso, e dal 56 al 71% dei consensi nel secondo; con la Marina militare che arriva al 66,5% e l’Università che giunge al 75,1%.
I sondaggi, come è noto, hanno molti limiti e quindi vanno presi con cautela. Tuttavia eventuali errori di campionamento non spiegano differenze così vistose.
L’esercito e la scuola sono le due istituzioni che, più delle altre, si sono ritrovate ad essere in prima linea nella lotta contro il Covid e nel far fronte ai problemi ed alle difficoltà della didattica a distanza. L’una e l’altra hanno, ancorché sotto forme diverse ed ancora tutte da scoprire, sancito un legame con gli italiani. Gli uomini dell’esercito e l’esercito degli insegnanti: gli unici ad esserci. Non è affatto strano che la fiducia sia andata a loro. Si riconosce e si ha fiducia in colui che si incontra e che ci si dimostra vicino.
Ma se l’esercito ha dei compiti limitati – e molti tra noi direbbero “purtroppo” – resta allora questa apertura sulla scuola e, ancora di più, sull’università: via d’uscita, recupero delle opportunità, anche quando non funziona più come ascensore sociale. Perché proprio quando si fatica a vedere l’orizzonte e il buon senso sembra essersi nascosto, non ci sono che i libri e l’entusiasmo degli insegnanti, la fiducia in un progetto personale e la militanza di un affetto ad un’eredità culturale che fanno compagnia, e fanno crescere. Università al 75% e Parlamento al 25,4%, non è un cambiamento da poco. Il dibattito politico resterà centrale sulle prime pagine dei giornali e nei talk show serali, ma oltre la metà degli italiani non è andata a votare alle ultime elezioni amministrative e nel Parlamento ha fiducia solo un italiano su quattro mentre nell’università diventano tre: forse un mondo è già cambiato e non ce ne siamo ancora accorti.
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