SPAGNA, ABORTO A 16 ANNI SENZA CONSENSO/ Quando i diritti cancellano l’io di chi non è mai sazio

- Paola Binetti

In Spagna il governo Sanchez-Montero ha varato due nuove leggi per facilitare il cambio di sesso e l'aborto. È la ratifica di una autodeterminazione distruttiva

aborto_manifestazione_provita_chiesa_lapresse_2014 LaPresse

Ancora una volta l’aborto è al centro del dibattito politico e in Spagna si pone una volta di più come linea di frontiera tra una sinistra che pretende di essere progressista e una destra che appare più vincolata ai valori classici della tradizione culturale, solo apparentemente conservatrice.

Basta vedere gli schieramenti che sostengono due diverse posizioni. Da un lato quanti pensano che la maggiore età possa essere spostata in avanti e anticipata a 16 anni, per poter fare a meno del consenso dei genitori e abortire. Dall’altro chi ritiene che esistano argomentazioni adeguate, basate su esperienze concrete per cui si preferisce mantenere il discrimine dei 18 anni come spazio di riflessione condivisa e di decisione assunta insieme, tra genitori e figli.

La cosa sorprendente è che chi vuole anticipare la maggiore età non reputa affatto necessario mantenere la pausa di riflessione a cui, sia pure in modo autonomo, le ragazze potrebbero fare riferimento. No alla consulta dei genitori; no alla pausa di riflessione, sì a un’autodeterminazione che potrebbe essere fortemente condizionata da ansie e paure, da stati d’animo ed emozioni difficili da gestire e controllare.

Ma la legge spagnola si spinge ancora più in là e consente addirittura di cambiare nome-sesso in una unica decisione, presa senza necessità di riflettere prima e di consultarsi con nessun familiare autorevole. Nella più ampia e nello stesso tempo circoscritta solitudine.

Il carattere destrutturante di questa legge appare come una provocazione che mette in discussione l’identità della donna che vi accede, molto più che non esaltarne la capacità di autonomia. Non è in questione solo l’aborto, e quindi la capacità relazionale più profonda che una donna ha con il suo corpo e attraverso il suo corpo con suo figlio, è la domanda che affonda le sue radici nel suo essere. Il suo nome, il suo sesso, la sua stessa salute riproduttiva. Tutto può essere travolto in uno tsunami che si priva della necessaria pausa di riflessione, per lasciarsi dettare la linea da emozioni molto forti, ma non adeguatamente elaborate.

È indubbiamente una brutta legge che mentre propone nuovi diritti di libertà, cancella l’identità di chi di questi diritti dovrebbe essere protagonista consapevole e maturo. Paradossale appare infine il bivio su cui colloca persone che sono poco più che adolescenti. Mentre le spinge verso un aborto solo apparentemente più facile, senza vincoli di sorta, dichiara di “proteggerle” da protocolli anti-aborto come quello proposto da Vox in Castiglia e Leon. Ormai i protocolli anti-aborto sono considerati lesivi della libertà e della dignità di giovani donne, che possono essere sole e confuse, ma per cui va rivendicata “la capacità di sapere quando e come prendere una decisione che riguarda il loro corpo”, come sostiene l’esponente di Unidas Podemos.

Una scelta ideologica in cui appare progressista ciò che in realtà consegna le donne ad una drammatica solitudine, i cui risvolti appariranno solo successivamente: come conferma l’esperienza inglese, in cui il troppo facile cambiamento di sesso ha richiesto una vistosa marcia indietro.

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