SPAGNA, ELEZIONI ANTICIPATE/ “Ecco perché neppure Socialisti e Vox possono risolvere la crisi”

- int. Agustín José Menéndez

Dopo la sconfitta alle amministrative di domenica, Sánchez ha sciolto il parlamento e mandato la Spagna al voto anticipato. Ma non è tutto oro quel che luccica

elezioni amministrative spagna Pedro Sanchez (LaPresse, 2023)

Il premier spagnolo Sánchez ha sciolto le Corti generali (il parlamento) e indetto le elezioni anticipate, che si terranno il prossimo 23 luglio. La decisione è arrivata dopo la pesante sconfitta dei socialisti a vantaggio del Partido Popular e di Vox alle elezioni amministrative di domenica scorsa. Sánchez – che come primo ministro e segretario del Psoe si è assunto la responsabilità della sconfitta – ha deciso lo scioglimento anticipato per evitare che i socialisti, rimanendo al governo fino a dicembre, subissero un’emorragia di consensi ancora più massiccia.

Più che nella guida del Paese durante il Covid e la guerra in Ucraina, la debolezza di Sanchez si vede “nel perpetuo navigare a vista che purtroppo caratterizza la politica spagnola, italiana ed europea da anni” spiega al Sussidiario Agustín Menendez, giurista, attualmente professore di filosofia del diritto nell’Università Complutense di Madrid. “I partiti politici non ci sono più, e questo spiega la volatilità elettorale”. Vale, ovviamente, anche per le formazioni di destra.

Sanchez era formalmente tenuto a sciogliere il Parlamento?

Non aveva nessun obbligo di farlo. Per tanti è stata una sorpresa. Ma attenzione, il fatto che la decisione sia stata annunciata con grande velocità, subito dopo le elezioni, non vuole dire necessariamente che si sia stata presa in fretta. Un giorno sapremo in che misura sono stati decisivi o meno gli scenari tracciati dal gabinetto del presidente del Consiglio nelle settimane precedenti le elezioni.

Cosa ci dice, politicamente, il voto amministrativo di domenica e perché è importante?

Si potrebbe forse ricordare al lettore italiano che la Spagna è diventata repubblica per la seconda volta dopo le elezioni locali che nel 1931 diventarono un plebiscito contro la monarchia. Ma oltre alla storia, che sempre conta, ci sono due ragioni ulteriori.

Quali?

La prima è che si votava non soltanto per i comuni, ma anche per le regioni. Non tutte, ma tante sì. La Spagna è uno stato federale in tutto tranne che nel nome, quindi l’esito delle elezioni regionali è molto importante.

E la seconda ragione?

Oltre al risultato concreto, queste elezioni confermano una riorganizzazione della mappa politica spagnola dopo il suicidio di Ciudadanos e il ridimensionamento di Podemos.

Abascal, leader di Vox, a sostegno della necessità di tornare al voto ha parlato di un disallineamento tra Parlamento e società spagnola. Quanto è cambiato in Spagna in questi anni, tanto da delegittimare il governo in carica?

Abascal, come tanti leader politici, ha la tendenza a confondere l’analisi politica con il commento agli eventi degli ultimi dieci minuti. È chiaro che Vox ha migliorato i risultati del 2019. Ma è altrettanto chiaro che quei risultati sono stati al di sotto di quelli ottenuti nelle politiche dello stesso anno. È paradossale – ma non dovrebbe risultare una novità per gli italiani – che una formazione possa avere risultati mediocri ma aumentare la sua quota di potere.

Quali sono stati gli errori di Sánchez?

Tanti anni fa, Harold MacMillan espresse in fondo una banalità ricordando che la grande sfida per i governanti erano gli eventi inaspettati (“events, my dear boy”). Dovendo gestire Covid e guerra in Ucraina, è inevitabile che gli errori dei governi Sánchez non siano stati pochi. Però i risultati di ieri non trovano la loro causa in questo o quell’errore, ma nel perpetuo navigare a vista che purtroppo caratterizza la politica spagnola – e italiana e europea – da anni. I partiti politici non ci sono più, e questo spiega la volatilità elettorale. Che si estende anche ai “nuovi partiti”. Ciudadanos è nato e sparito in meno di dieci anni.

E gli errori dei governatori socialisti?

Questo navigare a vista vale anche per i presidenti delle regioni. Però non si può fare di tutta l’erba un fascio: ci vorrebbe un’analisi dettagliata regione per regione, comune per comune.

In che modo i fattori economici hanno inciso sul voto?

Il Governo Sánchez ha insistito, non senza ragione, sul fatto che le politiche messe in campo dal 2020 hanno ridotto le sofferenze sociali in un contesto molto difficile. Per dirla in modo chiaro: non c’è stato un secondo round di austerità. Anzi. Il salario minimo è aumentato fortemente, con effetti positivi anche sull’occupazione. Però la classe media ha visto ridursi il proprio potere di acquisto. Diventando sensibile a coloro che, come i candidati del Partito popolare, promettevano meno tasse per tutti. Lascio al lettore il giudizio sulla novità e fattibilità di queste promesse.

I popolari in Spagna sono una forza prettamente europeista. Se vogliono vincere o essere competitivi il 23 luglio devono spostarsi a destra?

I popolari hanno una retorica intenzionalmente europeista, che serve a due funzioni principali. La prima è difensiva: un partito letteralmente costruito da ex ministri franchisti trovò – e trova – ancora legittimazione nel suo purché indefinito europeismo. La seconda è quasi fisiologica: in un Paese tendenzialmente europeista, una formazione che aspira al governo non può definirsi anti-europeista. Il loro, tuttavia, non è un europeismo maturo, sofisticato. Al contrario, condividono con altre forze politiche un europeismo che possiamo definire vuoto e naïf. Non c’è ancora in campo una forza politica che sia riuscita a declinare il suo europeismo in maniera critica e adulta. Basta pensare alle relazioni internazionali, cominciando dalla guerra in Ucraina.

Il governo Sánchez era un riferimento per tutti i progressisti d’Europa, Pd compreso. E adesso?

Ovviamente non conosciamo ancora il risultato delle elezioni politiche. Due mesi in politica sono un’eternità. Un fattore non minore sarà un’eventuale coalizione, alla sinistra dei Socialisti, fra Podemos e Sumar. È tutto da vedere come l’elettorato, soprattutto quello più giovane, reagirà a questo eventuale accordo. Comunque vada a luglio, però, non mi permetterei di dare consigli a Schlein.

Proprio nessuno?

Suggerirei soltanto la lettura de Il socialismo e la crisi internazionale di Aneurin Bevan, e lo scambio epistolare fra Willy Brandt, Bruno Kreisky e Olof Palme raccolto nella Alternativa Socialdemocratica.

Il voto spagnolo potrebbe cambiare molti equilibri. Ci sono le premesse per creare in Europa un’alternativa al patto tra popolari e socialisti?

Un libro di successo negli anni 90 si intitolava Europa: L’Impossibile Status Quo (a cura di T. Padoa-Schioppa, ndr). Sembra ancora adatto per descrivere la situazione attuale.

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