Sulla prima pagina del Foglio, ieri, Pierluigi Battista ha proposto di “disertare” la Giornata della Memoria “perché è una scommessa culturale perduta” e insistervi sarebbe “ipocrisia”. Battista non è israelita, mentre la testata fondata da Giuliano Ferrara è in questo momento la più schierata fra i media italiani nella difesa di Israele, del governo Netanyahu, della reazione militare all’attacco di Hamas; e nella denuncia del ritorno dell’antisemitismo in Europa.
Dopo il 7 ottobre 2023, annota Battista, “Il Giorno della Memoria ha smarrito il suo significato, è diventato stanco rituale, ma soprattutto esibizione di un’ipocrisia insopportabile”. Quando fu istituito nel 2000, “doveva essere il ‘mai più’; mai più Auschwitz, mai più orrori contro gli ebrei, mai più persecuzione antisemite”. Ora invece il “mai più” sta diventando “ancora una volta” – persecuzioni, agguati, assalti alle sinagoghe – “senza un sussulto di troppo vasti settori della cultura democratica”. Una denuncia dura, accompagnata da una proposta sicuramente realistica e incisiva nella lettura dell’attualità politico-culturale: geopolitica, europea e italiana.
Fra tre giorni la sospensione della “Giornata della Memoria” si configurerebbe quindi come una sorta di “sciopero di protesta” da parte della comunità ebraica contro le contestazioni sempre più intense a Israele per la guerra di Gaza (che ha prodotto 1.200 morti israeliani e 46mila palestinesi). Le manifestazioni di piazza – spesso violente – che hanno punteggiato anche l’Italia negli ultimi 15 mesi promettono infatti di ripetersi lunedì, soprattutto ad opera delle forze della sinistra tradizionale e antagonista.
Per Israele e la comunità ebraica internazionale continua d’altronde a valere un’equazione stretta e indiscutibile: l’antisionismo (perché tale sarebbe anche negare a Israele il diritto di difendersi a Gaza, nei territori cisgiordani, nel Libano e nella Siria meridionali) è una specifica forma di antisemitismo, paragonabile quindi alla negazione della Shoah come male assoluto della storia.
Lo “sciopero della Memoria” – par di capire con la cancellazione di tutte le manifestazioni ufficiali in ricordo della liberazione di Auschwitz – avrebbe l’effetto sicuro e immediato di neutralizzare preventivamente ogni corteo anti-israeliano, spegnendo sul nascere tutti i rischi di ordine pubblico. Oltre il 27 gennaio, invece, è forse intuibile un tentativo più strutturato, su tutti i piani politici.
È indubbio che – se la tregua appena raggiunta a Gaza si consoliderà – si vada aprendo una fase nuova nelle relazioni geopolitiche di Israele: a maggior ragione all’avvio della presidenza Trump in Usa, in sé terremoto geopolitico globale. E Gerusalemme per prima – con attorno la vasta comunità della diaspora – mostra di essere consapevole di come il network di rapporti israeliani/ebraici con il “resto del mondo” – in una storia tutt’altro che giunta alla sua fine – vada riesaminato da cima a fondo e ricostruito a vasto raggio.
Il virtuale “auto-azzeramento” della Giornata della Memoria appare evidentemente un passo utile – forse necessario – per pilotare un chiarimento: per re-identificare ex novo in ciascun Paese gli amici veri su cui Israele e gli ebrei possono oggi contare; e chi invece si è mostrato troppo poco solido e affidabile (“ipocrita”) per poterne ricevere l’omaggio nella Memoria dell’Olocausto. E per poter essere un futuro interlocutore di Israele e degli israeliti nel mondo.
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