SPY FINANZA/ Il “risveglio” della Germania con un brutto spoiler per l’Italia

- Mauro Bottarelli

Dalla Germania è arrivata una notizia che nel nostro Paese non è stata debitamente colta e che può avere conseguenze importanti e negative

germania cortecostituzionale 1 lapresse1280 640x300 Un giudice della Corte costituzionale federale di Karlsruhe (LaPresse)

Ci sono rinvii e rinvii. E ci sono intromissioni e intromissioni, quando si parla di magistratura e politica. In Italia ci accontentiamo di calciare il barattolo della ratifica del Mes, cercando nel frattempo di venderne lo scalpo come nuda proprietà in vista del dibattito su rate del Pnrr e Patto di stabilità. Il tutto, vendendo all’opinione pubblica e all’elettorato l’illusione che quella scelta sia un qualcosa di negoziabile e non ineluttabile. Con vista sulle Europee. In Germania, invece, la Corte costituzionale è andata oltre. E ha dato vita a un intervento a gamba tesa sulla politica senza precedenti, un vero atto politico-legislativo ad interim che potrebbe far saltare i già precari equilibri del Governo Scholz. Il tutto in un momento in cui sia la Cdu-Csu che, soprattutto, AfD stanno conoscendo una vera e propria luna di miele con le intenzioni di voto dei sondaggi.

Altro che la magistratura che opera come opposizione al Governo per i casi Santanché e Delmastro, i togati teutonici hanno bloccato il voto previsto per la giornata di ieri e relativo alla messa al bando delle fonti fossili per i sistemi di riscaldamento. Di fatto, Karlsruhe ha tirato un sonoro schiaffo in faccia alla svolta green e all’intero impianto ideologico-ambientalista dell’esecutivo, da subito a forte componente Grunen. E lo fa con il Paese già in recessione, l’indice IFO della fiducia delle imprese a precipizio, il PMI manifatturiero a piombo e l’esiziale settore automotive messo in ginocchio proprio dalla svolta elettrica e dalla rivoluzione ESG. Tutto fermo. Per gli ermellini tedeschi, un argomento simile necessita di maggiore riflessione.

E se il Governo ha cercato di limitare l’impatto reputazionale di questo atto di supplenza senza precedenti, annunciando un nuovo disegno di legge già alla ripresa dei lavori parlamentari di inizio settembre, off-the-record si parla di fine anno come più probabile termine per giungere a un voto definitivo. Ovvero, quando gli impianti di riscaldamento saranno già accesi. E, con ogni probabilità, anche con un Dax che abbia evitato l’esplosione estiva della bolla di decoupling rispetto proprio ai titoli dei comparti industriali a rischio di farne crollare la resistenza, in caso questo fondamentale tassello della politica ambientalista fosse divenuto legge. Ma di questo, parleremo dopo. In compenso, c’è il risvolto italiano del fatto da prendere subito in esame. Seriamente, stavolta.

Stranamente, i media del nostro Paese tacciono. Eppure, quando il 29 aprile 2021 la medesima Corte costituzionale tedesca bocciò parzialmente il Klimaschutzgesetz, la legge ambientale, del precedente Governo di coalizione ma a guida Cdu, dando parzialmente ragione alle istanze dei FridaysForFuture, la notizia finì dritta in prima pagina fra squilli di tromba. Oggi, silenzio. E invece, occorre parlarne. Tanto. E seriamente, appunto. Perché la Corte costituzionale tedesca ha letteralmente bypassato la politica, rendendosi conto dell’errore esiziale e seminale contenuto del Green New Deal della tedeschissima Ursula von der Leyen. Un peccato originale ideologico e tutto strumentale al greenwashing finanziario, ora potenzialmente in grado – stante i venti di recessione – di azzoppare del tutto la (fu) locomotiva industriale d’Europa. Un atto epocale. Sia politico, che economico. Perché Karlsruhe ha deciso che Berlino non era più in grado di capire la realtà, occupata com’era a tenere insieme con la colla una coalizione troppo eterogenea persino per la guida di un condominio. Oggi, 7 luglio 2023, la Germania ha aperto gli occhi. Chi non lo farà, è destinato a una fine decisamente ingloriosa. Deindustrializzazione.

Ed eccoci al dato economico-finanziario, quasi un aggiornamento dell’articolo di ieri. Al netto di quanto già scritto, appunto, questo grafico ci mostra quella che risulta essere la naturale prosecuzione di una recessione coi fiocchi. E in progress.

Non solo il Dax è in de-couple rispetto al PMI manifatturiero tedesco ma, particolare non da poco, anche all’indice IFO di fiducia delle imprese. Pessimo segnale. Perché se i giornalisti millantano e i politici abbelliscono, gli imprenditori – tendenzialmente – guardano al reale e non agli unicorni. Perché rischiano in prima persona. Ed ecco che quando Bloomberg decide di dedicare un articolo al rinnovato grumo di criticità rappresentato già oggi dal livello di navigabilità del Reno, significa che la Germania è nel mirino. E il canarino nella miniera.

Lo scorso anno, la siccità andò a unirsi all’impazzimento dei prezzi energetici per le sanzioni alla Russia. E creò danni, culminati nella necessità per Berlino di mettere sul piatto oltre 20 miliardi per nazionalizzare Uniper e quasi 200 per sostenere le imprese. Perché lungo il Reno non navigano solo merci ma anche carburante per le raffinerie e le centrali elettriche. E da inizio giugno a fine settembre del 2022, il Dax perse il 20%. Perché quando la resistenza crolla, le conseguenze arrivano a valanga. Soprattutto se – come sottolineato in precedenza – titoli industriali, dei materiali per costruzioni e della chimica pesano per 31% dell’indice e un altro 12% fa capo al disastrato automotive. Non a caso, nelle scorse settimane sono giunti profit warning da Siemens Energy e da operatori della chimica come Lanxess e K+S.

Sinceramente, la mia preoccupazione non è per chi possa restare con il cerino mezzo bruciacchiato di un Dax in bear market estivo in mano. Il problema è macro e detona dopo la decisione della Corte di Karlsruhe, almeno per la nostra miope classe politica. Perché l’enorme rischio è che l’Italia passi l’estate a pettinarsi l’ego allo specchio, forte di quella previsione del Pil 2023 migliore di Germania e Francia. Dimenticandone però la genesi e la scomposizione, il breakdown: superbonus edilizio e turismo. Il primo ora bloccato perché potenzialmente in grado di portarci diretti al Mes (e non alla ratifica) e il secondo destinato a scemare nel suo boost, proprio quando la recessione tedesca genererà i suoi ricaschi di subfornitura e componentistica sull’industria del Nord Italia. Se per caso i soldi del Pnrr non arrivassero o non arrivassero in tempo, come si finanzieranno eventuali sostegni all’economia reale? Ulteriori emissioni di Btp per la ripresa? Quanto debito avremo emesso a fine anno? E a quale prezzo, stante l’offerta in bilico fra l’alluvionale e il disperato che il mercato prima o poi prezzerà? Scostamento di bilancio, mentre facciamo la morale alla Bce e chiediamo un Patto di stabilità allegro e non frugale?

Attenzione, qui la ricreazione è finita davvero. C’è un treno che sta passando. Ci si può salire sopra, adesso. O finirci sotto, domani.

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