STUPRO DI PALERMO/ “A che serve fare sociologia, quando la colpa è delle famiglie?”

- Monica Mondo

La prof Di Leo, intervistata da "Repubblica", gestiva un'associazione di supporto alle famiglie del quartiere dove c'è stato lo stupro di Palermo

incidente_omicidio_carabinieri_3_lapresse_2017 (LaPresse)

I ragazzi di Palermo non erano macchiati da una sorte infelice. Non erano tra i più poveri, non avevano rischiato la vita attraversando il mare, né subito abusi e torture. I ragazzi di Palermo che hanno violentato una ragazza ubriaca, cioè inerme, filmandola, scambiandosi i video, forse vendendoli, e vantandosene tra loro con volgarità rozze e impensabili su bocche tanto giovani, non sono così per colpa della società, o dell’assenza dello Stato. Non soprattutto, non solo.

Sono così per l’assenza di educazione, e non per mancanza di insegnanti, spesso eroici, sottopagati, minacciati, ignorati nel segnalare l’emergenza. Sono delinquenti violenti, strafottenti e cinici perché sono stati così cresciuti dalle loro famiglie. Non è maldicenza o scaricabarile, ma la denuncia, la testimonianza di assistenti sociali, volontari, docenti, come la professoressa Di Leo, che gestiva un’associazione di supporto alle famiglie del quartiere che ha nutrito i sette stupratori. Le sue parole, raccolte sulla cronaca cittadina di Repubblica, sono uno schiaffo al politically correct, un memento a chiunque abbia figli e nipoti per capire cosa non fare, a cosa stare attenti, e dove colpire, per stroncare la nascita di “nuovi figli della violenza”.

Madri e nonne che abbandonano i figli per spacciare, che vendono le loro bambine in cambio di droga e gioielli. Che hanno mostrato un sesso malato ai piccoli, che li hanno cresciuti nel mito della mascolinità, nel disprezzo delle donne, nell’esaltazione della forza bruta, nella pornografia.

Non vittime, dunque, a meno di vittimizzare ogni uomo che scelga il male, a meno di far risalire alle disagevoli mancanze educative o economiche o sociali qualunque fuoriuscita cosciente dalla legalità. Dimenticando che tanti poveri sono persone perbene, la maggior parte, e non rubano, non uccidono, non stuprano, non sono mafiosi.

Sono stanca di questa sociologia spicciola che giustifica sempre, e colpevolizza la politica, che pure ha le sue colpe, la società civile, la Chiesa, che pure hanno le loro colpe o timidezze, o omertà. “Un sistema che mescola opulenza pacchiana e tecnologia costosissima”. Ecco, soldi che girano, come nella più grande piazza di spaccio d’Italia, a Parco Verde di Caivano.

Trent’anni fa un’anziana suora che aveva scelto di scendere in campo là, per aiutare i bambini di quella terra, mi diceva le stesse cose: la colpa è dei genitori. E non si tratta di basso livello di istruzione, non c’entra il reddito di cittadinanza, che si è aggiunto anzi agli introiti della criminalità. Si tratta di una scelta, volontaria, precisa, di fare e volere il male, insegnando anche ai propri figli a compierlo.

Soluzioni facili non ce ne sono, se non a medio termine, e questo sì, dipende dallo Stato. Presìdi delle forze dell’ordine, senza sconti, e senza ipocriti buonismi. Non sarà un esercito, ma saranno pattuglie preparate di carabinieri e poliziotti. E dovranno essere supportati dal lavoro più importante, quello educativo, di insegnanti volonterosi (che vanno tutelati e pagati), assistenti sociali, preti  e suore e istruttori sportivi. Togliendo se è il caso alle famiglie criminali la tutela dei figli. I bambini vanno protetti, e affidati a chi può voler loro del bene e prendersi cura della loro crescita, del loro futuro. Poi, chi spaccia trova padrini e acquirenti, come chi gestisce siti porno. Tocca colpire anche lì, senza sconti e senza melassa.

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