TAGLIO CO2/ I danni socioeconomici del piano Ue: a rischio lavoro e potere d’acquisto
La Commissione europea ha presentato il pacchetto “Fit for 55” per ridurre le emissioni di CO2. Misure che rischiano di avere dannose ripercussioni socio-economiche

La Commissione europea ha presentato il pacchetto “Fit for 55” volto a definire, tramite la presentazione di 13 proposte legislative, la roadmap per concretizzare il Green Deal europeo, ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e arrivare alla neutralità climatica nel 2050. Il pacchetto “Fit for 55” rappresenta una serie di ulteriori iniziative nell’ambito del Green Deal europeo, dopo, ad esempio, il Piano per l’economia circolare, quello per l’idrogeno, quello chiamato “dal campo alla tavola”, ecc.
Da un lato, questi provvedimenti sono emendamenti di legislazione già esistente (revisione ETS, che regola lo scambio delle quote di emissioni di carbonio, revisione direttiva RED sulle energie rinnovabili), dall’altro prevedono atti normativi nuovi, come nel caso della proposta di tassa sul carbonio alla frontiera per le merci provenienti da fuori Ue (CBAM) e della nuova strategia forestale dell’Ue.
Assoluta condivisione sulla finalità, necessità e velocità delle sfide da affrontare nei prossimi trent’anni, ma altrettanta grande preoccupazione sull’impatto socio-economico che questo percorso avrà nel breve e medio periodo, soprattutto sui lavoratori.
La proposta della Commissione di creare un sistema, parallelo a quello ETS, di scambio di quote delle emissioni riservato al trasporto su strada e al riscaldamento domestico, rischia di ricadere sulle fasce più deboli, di accrescere le povertà energetica e danneggiare l’inclusione sociale, perché graverà sulle famiglie a basso reddito.
Siamo consapevoli che bisogna accelerare il processo di decarbonizzazione e della transizione ecologica, ma ripetiamo che nessuno, lavoratori per primi, deve essere lasciato indietro. Il fondo sociale proposto come cuscinetto per attutire un’accelerazione del processo di uscita dal carbone, anche se viene stimato che potrà essere dotato al 2032 di circa 144,4 miliardi, non può configurarsi come strumento risolutivo rispetto alle concrete ripercussioni socio-economiche delle misure pensate dalla Commissione.
Così come quando si insediò nel dicembre 2019 alla Commissione e anche in occasione della COP 25 di Madrid lanciando la proposta del Green New Deal europeo e proponendo l’Europa come paese trainante verso la decarbonizzazione, anche oggi, con questa nuova Comunicazione, la Presidente von der Leyen sembrerebbe voler rivendicare primato e leadership sulla politica climatica. Oggi l’Europa, rispetto all’anno scorso può contare su un alleato in più, ma l’asse Usa-Ue da solo, non sarà in grado di contenere l’aumento della temperatura entro il 2050 di 1,5°.
Abbiamo bisogno di un impegno globale, abbiamo bisogno che la Cina non si nasconda dietro all’affermazione “siamo un Paese in via di sviluppo” per sottrarsi a quanto previsto nell’Accordo di Parigi del 2015 e concordare sulla necessità di arrivare all’accordo sulla modifica dell’art. 6 riguardante le riduzioni di emissioni di gas serra. Abbiamo bisogno che la corsa al petrolio dei due secoli passati non venga traslata su quella per le materie prime necessarie per le tecnologie green (rame, litio, nichel e cobalto) e dove è presente un deleterio sfruttamento della mano d’opera, altrimenti sfumerebbero le opportunità di crescita e sviluppo sostenibile delineate nell’Agenda 2030. E soprattutto, realisticamente senza troppa ideologia e demagogia, abbiamo bisogno di una transizione che passi dal gas, perché ad oggi le FER non sono ancora in grado di sopperire al fabbisogno energetico, domestico e industriale, della produzione.
È auspicabile che nella seconda fase dell’iter legislativo nel quale verranno discusse le iniziative previste dal pacchetto “Fit for 55” ci possa essere lo spazio per un dialogo sociale, maggiormente costruttivo ed efficace.
Stiamo lavorando con il sindacato europeo e internazionale affinché la transizione ecologica, che deve rappresentare il volano per una ripresa strutturale, sia soprattutto una giusta transizione che preveda meccanismi di solidarietà a sostegno di regioni e settori più vulnerabili e colpiti, adeguati programmi di protezione sociale, di formazione e riqualificazione per accompagnare i lavoratori nella loro transizione. Solo con l’informazione, il coinvolgimento e la partecipazione di tutti e a tutti i livelli, dalle istituzioni alle forze sociali, attraverso le procedure del ” Dibattito Pubblico” si potranno cogliere e valorizzare le opportunità di ripresa, crescita e sviluppo necessarie per raggiungere gli obiettivi del 2050.
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