Tamara Lunger, 35enne scialpinista di Bolzano, in collegamento con il programma di Rai Uno, Dedicato, condotto da Serena Autieri e Gigi Marzullo. “Io da quando avevo 13 anni avevo problemi con le ginocchia – ha esordito la nota ‘arrampicatrice’ – io volevo correre ma poi per questi dolori non l’ho potuto più fare quindi mi son dedicato al lancio del disco, ma dopo non mi ha dato più soddisfazioni, io dovevo sentire il sangue in bocca, e quindi dall’atletico sono andate al scialpinismo. Mio padre mi aveva detto di imparare a sciare ma non mi interessava, non so perchè. Poi dopo ho chiesto a papà di portarmi, e le prime volte era complicato scendere”. Sulle sue scalate: “E’ un cammino in cui cerco di trovare sempre me stessa, un cammino bello e difficile, sono ancora lì e non sono ancora arrivata”.
Ma la montagna non va affatto sottovalutata: “A volte la montagna può essere anche molto dura e inca*zata, è come una persona. La montagna ha un’anima e sopra gli 8mila sono tutte anime femmine. Il K2 ad esempio per me è una bellissima donna con i capelli marroni, in armonia e con la pace dentro”. E proprio sul K2 Tamara Lunger ha perso alcuni compagni di cordata nell’ultima spedizione: “La montagna a volte mi mette a dura prova come quanto accaduto questo inverno sul K2. Sono partita con positività e amore ma le cose sono iniziate ad andare male, ma io non volevo cedere troppo alla negatività ed ho voluto essere sempre positiva e non perdere il focus di guardare avanti. Ti mette a dura prova se no non impari”. E ancora: “Il K2 mi ha dato una sberla in inverno e per ora non sento il desiderio di tornare e mi godo la vita della natura, qui c’è il verde, colori, profumi che in alta quota non ci sono”.
TAMARA LUNGER: “LA SPEDIZIONE? NON SONO PENTITA, IL K2 MI CHIAMAVA”
Sulla tragica spedizione Tamara Lunger ha scritto anche un libro: “Quando son tornata a casa volevo raccontare la mia spedizione, non poteva essere diverso. Il periodo post ho pianto tantissimo, volevo solo stare a casa e non parlare con nessuno, ho solo mangiato, ho messo su 10 kg ma ho deciso di fare qualcosa di utile e così ho scritto questo libro che mi ha aiutato a capire cose, a guarire dentro, un bel percorso”. Tamara Lunger aveva già scalato il K2, ma dentro di se ha iniziato a sentire un forte richiamo: “Questa montagna mi ha chiamato tanto, e ho fatto tanta meditazione. Ogni giorno mi chiamava e io non capivo cosa dovevo fare, ho cercato di dare tempo a questa cosa, poi ho fatto una seduta di yoga e li ho detto che dovevo andare”. La scialpinista non si è comunque pentita di essere partita per quella tragica spedizione in cui sono morte 5 persone: “Non mi sono mai pentita di essere partita per questa spedizione, sono partita piena di energia e positiva. Ho sempre tenuto duro e sono andata avanti. Ho visto cadere giù il mio compagno, era morto fra le mia braccia, una cosa molto difficile, non sapevo cosa fare, se tornare a casa o andare avanti. Ma non potevo scappare per dimenticare e così ho deciso di rimanere e ascoltare il mio intuito, e son partita con una nuova cordata. Era una spedizione molto difficile, ho pianto tanto e ho perso il cuore, ma siccome sono credente dico che forse era il destino e doveva andare così e io sono molto grata per averli conosciuti se no è egoismo volerli tenere qui ad ogni costo”. Sul suo collega Simone Moro, noto alpinista bergamasco: “lo apprezzo moltissimo, lui mi dice che si fida al 100% di me e che sono all’altezza di un uomo se gli dovesse accadere qualcosa. Con lui non c’è bisogno di parlare, ognuno ha il suo ruolo, abbiamo sempre condiviso i passi, siamo un insieme. Nell’ultima spedizione del K2 era un po’ diverso visto che ho provato un altro compagno di cordata ho apprezzato ancora di più Simone”.
Sulla sua femminilità: “Non volevo far parte del sesso debole, non volevo essere inferiore all’uomo. Non mi sentivo quindi parte delle donne ma neanche degli uomini e questo creava un fortissimo conflitto dentro di me, e ho pagato con forti dolori fisici: se qualcosa non va nella mia testa ho dolori al corpo. Ho lavorato durante il lockdown e sono cresciuto come donna e il mio obiettivo era fare uscire questo intuito di donna, seguire quello che sento. Simone mi diceva all’inizio della mia carriera che ero Heidi ma dovevo crescere per coltivare il mio sogno. Quando vado in città la mia energia va giù, io non sono da città, io amo camminare a piedi nudi, sentire il profumo dei fiori, il vento degli alberi, se non ce l’ho mi ammalo”. Tamara Lunger ha trovato l’amore ma non in montagna: “In montagna ho trovato l’amore? No, l’ho trovato in acqua, ma l’acqua mi fa molto più paura. L’incontro con Davide? Tutto per caso, all’inizio avevo detto di lasciarmi tutti in pace, ma lui ha tenuto duro come faccio io in montagna, una volta mi ha invitato a casa sua, e quando vengo qui dico ‘ma chi è questo ragazzo?’. Vive in una casa vecchia, senza acqua calda, e questo mi ha affascinato tanto e sono rimasta qua. La prima mossa? Insieme”. Infine sulla maternità: “Quando avevo 18 anni dicevo che a 20 avrei avuto due bambini e un marito, ma la mia vita ha voluto altro, fino ad ora sono andata avanti sempre così e mi sono chiesta se avrei mai il coraggio di lasciar andare il mio egoismo di voler andare in montagna”.