Si sta dibattendo di taglio dell'Irpef per il ceto medio, ma nessuno sembra preoccuparsi di professionisti e piccole imprese
In un recente incontro svoltosi presso la Camera dei deputati, il Viceministro Leo ha dato un contributo diretto all’individuazione del ceto medio. Nel suo intervento, infatti, ha chiarito che l’azione del Governo è concentrata sull’obiettivo di migliorare la condizione del ceto medio confermando, come esso sia al centro della Legge di bilancio in formazione e come esso possa essere rappresentato dai «soggetti nella fascia dai 28mila ai 50mila euro».
È su questa fascia, di reddito, dunque, che si interverrà per ridurre la pressione fiscale ottenendo quale immediata conseguenza la crescita del reddito reale.
La dichiarazione del Viceministro è intervenuta nel pieno della comunicazione dei dati sull’Irpef pagata dagli italiani ricavati dalle ultime dichiarazioni dei redditi disponibili. Pare che l’1,65% dei contribuenti dichiara oltre i 100mila euro e versa il 22,43% dell’Irpef, mentre il 17,17% dichiara fino a 35mila euro e versa il 63,71% dell’imposta. Ci sono poi circa 21,2 milioni di contribuenti, il 50% del totale, che non pagherebbero o quasi imposte, partecipando al gettito annuale solo per il 5,64% grazie alla no tax area.
Questi dati implicitamente confermano che in Italia ogni euro di reddito che supera i 50mila viene tassato al 43% (più addizionali che pesano almeno per un altro paio di punti percentuali), mentre aliquote simili in Germania (42%) partono da 67mila euro di reddito e in Francia non si incontrano prima degli 82mila euro.
Quello che non dicono i dati diffusi è se l’analisi si limita all’Irpef autoliquidata nelle dichiarazioni dei redditi e all’Irpef in quanto tale. Sul primo punto andrebbe tenuto in considerazione che non tutti sono obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Molti lavoratori dipendenti, infatti, non avendo altri redditi od oneri da detrarre e/o dedurre non presentano la dichiarazione ma ugualmente pagano l’Irpef attraverso le ritenute alla fonte operate dai sostituti di imposta.

Sul secondo punto non è chiaro se l’analisi dei dati sull’Irpef pagata in dichiarazione copre tutte le imposte pagate dalle persone fisiche che in un qualche modo sono legate ai redditi che percepiscono. Va ricordato, infatti, che i redditi da locazioni sono assoggettate a cedolari secche, i dividendi sono assoggettati a imposta sostitutiva sul capital gain e una larga fascia degli autonomi adotta la flat tax quale regime impositivo.
Altrettanto andrebbe approfondito il dato territoriale sui versamenti. Le Regioni del Nord pare abbiano versato in tutto 117,4 miliardi di euro (il 56,7% del totale). Il dato va interpretato però tenendo conto che in queste Regioni vive circa il 49,8% dei contribuenti italiani, mentre al Centro vive il 20,3% dei contribuenti e nel Mezzogiorno il 29,9%. L’analisi dei dati deve tener presente che le imposte pagate, infatti, dipendono da molti fattori: il livello medio dei redditi, la presenza di lavoro sommerso e la struttura del sistema economico.
Occorre, quindi, chiarire tutti questi aspetti altrimenti le conclusioni frettolose finiscono per distorcere i risultati e la loro comprensione, non contribuendo in maniera efficace alle decisioni da assumere.
Di recente, sempre in tema di pressione fiscale, c’è stato l’intervento del Fondo monetario internazionale che suggerisce di eliminare la flat tax sui redditi degli autonomi perché la considera una tassazione preferenziale.
Tutto il dibattito non fa che sottolineare come il sistema fiscale è da ripensare secondo linee di equità da perseguire anche oltre la progressività intesa in senso assoluto.
Numerosi sono i commenti che propongono di modificare la flat tax introducendo aliquote differenziate posto che la sua eliminazione non è all’orizzonte. In Italia, infatti, il numero delle piccole realtà economiche è significativo ed è costituito da quasi 3 milioni di soggetti Iva che non raggiungono un volume d’affari annuo superiore a 300 mila euro.
Questa platea sulla base della riforma del 1973/74 (che, dunque, ha cinquant’anni) subisce una tassazione del reddito effettivo determinato su basi contabili che è senza dubbio eccessiva e viola l’equità.
Inoltre, è assoggettata a obblighi contabili e documentali rilevanti con costi amministrativi elevati non sempre giustificati che complicano anche l’attività accertativa che in qualche modo si è cercato di regolare attraverso gli studi di settore e oggi con gli Isa (Indici sintetici di affidabilità).
Tutto ciò fa concludere che l’attuale sistema non è idoneo a risolvere nessuno di questi aspetti e riconduce al tema centrale, che alimenta il dibattito ma non trova una soluzione politica, sintetizzabile nella necessità di ripensare integralmente il sistema impositivo dei professionisti e delle piccole imprese, abbandonando il principio della tassazione secondo criteri di effettività.
La soluzione appare ormai dimostrato che non passa per il Concordato preventivo biennale: occorre un intervento radicale.
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