Il Parlamento europeo sta per varare una riforma del contratto di tirocinio, che l'Italia potrebbe anche anticipare
Il tirocinio è diffuso in tutti i Paesi d’Europa. Contenuti, durata, tutele e riconoscimento economico sono però differenti. Nella differenziazione dei contenuti è così passato anche un uso differente dei contratti per i tirocinanti. Nato ovunque come contratto di inserimento al lavoro, ha poi avuto applicazioni plurime.
In tutti i Paesi si è diffuso un tirocinio obbligatorio da svolgersi nel corso dei periodi di formazione terziaria o secondaria nel caso di corsi di formazione professionale. Questa funzione utile dei tirocini, preparazione all’inserimento lavorativo come alternanza scuola lavoro, resta ed è valutata positivamente in tutti gli ordinamenti.
Il contratto di tirocinio è usato in quasi tutti i Paesi europei anche come contratto di inserimento lavorativo, in genere per i più giovani. È stato il contratto con cui, sicuramente in Italia ma anche in altre aree, si sono realizzati gli inserimenti lavorativi del programma europeo Garanzia Giovani.
Proprio questa esperienza di un unico programma europeo per combattere il fenomeno dei Neet ha portato a valutare con attenzione non solo la forma ma anche i contenuti di contratti che pur avendo la stessa funzione avevano poi contenuti tenuti diversi.
L’iniziativa del Parlamento europeo ha così preso le mosse da questa osservazione generale per arrivare nei giorni scorsi ad approvare in commissione occupazione e affari sociali un testo di riforma per i tirocini che uniformi il contratto in tutti i Paesi aderenti.
Il percorso è solo all’avvio. Nella prossima sessione parlamentare dovrebbe essere approvato dall’assemblea e passare poi all’attenzione dei Paesi per l’adozione. Nulla vieta però che un singolo Paese raccolga l’invito della maggioranza del Parlamento europeo e avvii un proprio percorso di riforma anticipando la decisione finale.
Sarebbe auspicabile che questa diventi la scelta del nostro Paese, dove il dibattito per il superamento o l’abolizione del contratto di tirocinio è già stato sollevato da più parti politiche.
Senza giri di parole, l’obiettivo definito dalla commissione parlamentare europea è stata quella di rafforzare lo strumento del tirocinio contro forme di sfruttamento dei giovani lavoratori. L’introduzione di una precisa definizione di tirocinio, un’attività a tempo determinato rivolta ai giovani nella transizione dall’istruzione al mercato del lavoro, è finalizzata a fissarne i limiti perché non diventi una forma di lavoro non regolamentata.
Per questo deve trattarsi di attività entry-level e collegate a obiettivi di apprendimento concreti e misurabili.
Al fine di bloccare abusi nel ricorso ai tirocini si definiscono due paletti oggi aggirati. Il contratto deve essere in forma scritta a la durata massima è fissata in sei mesi. Due decisioni che contribuiscono a dare trasparenza al rapporto fra datore di lavoro e tirocinante rispetto alle condizioni lavorative e alle attività previste.
Come tutti i contratti di lavoro, anche se a contenuto parzialmente formativo, deve prevedere tutte le tutele. In questo modo si intende colpire il ricorso al tirocinio come sostituto del lavoro dipendente. Una pratica diffusa, soprattutto in alcuni settori produttivi, spesso con la reiterazione di contratti di stage o tirocinio vista l’assenza di controlli.
Al fine di favorire la trasparenza e un corretto ricorso ai tirocini, l’Europa prevede un sistema di raccolta di informazioni dalle imprese e un sistema con garanzia di anonimato per favorire eventuali denunce di abusi dai tirocinanti.
La direttiva non fissa ovviamente un valore economico dato che le differenze fra Paesi sono molto forti. Certo che ritenendo il tirocinio contratto di lavoro a tutti gli effetti sarà localmente regolato dalle norme salariali dove vige il salario minimo per legge o dalla contrattazione dove questa copre una quota significativa dei rapporti di lavoro.
Appare evidente che il nostro dormiente ministero del Lavoro, qualora volesse portarsi avanti, potrebbe proporre una normativa che riprenda subito i principi che hanno visto il consenso europeo.
Ciò che in Europa è stato visto come necessità di uniformare un contratto lavorativo e nel farlo combattere forme nascoste di sfruttamento appare da noi come un’evidenza sempre più insopportabile. Gli abusi nascosti nei tirocini sono da noi la norma e nom l’eccezione. In troppi settori sono sostituzioni di lavoro a tempo indeterminato, con rimborsi ridicoli decorsi a livello regionale, e spesso sono prolungati in modo indefinito. Non parliamo di misurabilità dei contenuti formativi perché le attuali norme nemmeno prevedono la questione.
Per quanto riguarda l’Italia il passaggio da una forma di inserimento al lavoro con mero contenuto formativo a un contratto di lavoro comprensivo delle tutele sociali obbligherebbe a fare una vera e propria rivoluzione di merito. Aprirebbe un dibattito reale intorno a come realmente portare a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro senza cercare di tenerli a basso tenore di salario e di tutele come se fossero perennemente in formazione. Nasce da qui un sottoutilizzo del nostro capitale umano, un basso riconoscimento economico e la spinta a cercare il giusto riconoscimento con l’emigrazione dei giovani meglio formati.
Dal punto di vista dei giovani e delle molte giovani impegnati nel settore dei servizi e in tante piccole imprese, il passare da tirocinio a contratto di lavoro tirocinante come disegnato a livello europeo varrebbe molto di più dell’introduzione del salario minimo che non li coinvolgerebbe. Una riflessione che lasciamo a legislatore e sindacati.
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