Il rapporto dell'Inapp sui tirocini extracurricolari contiene indicazioni importante per cercare di migliorare questo strumento
Il tirocinio ha rappresentato, e continuerà a rappresentare, per molti giovani la prima vera esperienza nel mercato del lavoro. Proprio per questo era stato introdotto nel nostro ordinamento nel “Pacchetto Treu” a fine anni ’90.
Molti anni da quell’intervento normativo sono passati e la prospettiva più complessiva intorno agli strumenti come il tirocinio è profondamente cambiata.
Si pensi, ad esempio, che attualmente è al vaglio del Parlamento Europeo un progetto teso alla valorizzazione dei cosiddetti tirocini “di qualità”, mentre in Italia è aperta una discussione sulla competenza, tradizionalmente regionale, legislativa, in materia di tirocini con l’obiettivo di rendere queste misure il più omogenee possibili in tutto il Paese. A titolo meramente esemplificativo l’importo dell’indennità, che potremmo chiamare rimborso, varia da un’amministrazione regionale all’altra.
Interessante in questo quadro è il rapporto pubblicato dall’Inapp nei giorni scorsi di monitoraggio sui tirocini extracurriculari cioè, è ben ricordarlo, quelli attivati non all’interno di un percorso strutturato di formazione e d’istruzione.
Anche in questo rapporto emergono alcune delle criticità che rappresentano, nella sua complessità, il mercato del lavoro del nostro Paese. Balza subito all’occhio, ad esempio, una significativa differenza nel ricorso a questo istituto nei diversi territori con una netta prevalenza nel nord-ovest, in particolare in Lombardia dove viene attivato circa il 20% dei tirocini. Per avere un’idea della dimensione del fenomeno, la Lombardia attiva da sola più tirocini di tutto il centro Italia e poco meno di quelli del centro-sud. Viene insomma da chiedersi se alla fine nel nostro Paese vi siano cittadini, in questo caso tirocinanti, di serie A, di serie B e persino di serie C.
Se, infatti, anche i dati del recente monitoraggio confermano la sostanziale bontà dello strumento per avvicinare i giovani al mercato del lavoro, sembra emergere come, in molti casi, probabilmente questa transizione, sebbene magari in tempi più lunghi, ci sarebbe comunque stata.
Sarebbe insomma importante, nel ripensare il concetto di qualità del tirocinio, ragionare su misure di sostegno che supportino il ricorso a questo strumento anche per persone più mature o che, per vari motivi, hanno un livello socio-culturale di partenza più basso e per i quali anche la possibilità di accedere a un’opportunità di stage diventa un obiettivo, seppur piccolo, estremamente difficile da raggiungere.
La qualità, in definitiva, potrebbe/dovrebbe andare sempre più a braccetto con la capacità di essere inclusivi e di non allontanare ulteriormente i cittadini più fragili dal mercato del lavoro spingendoli, lentamente, verso la condizione di povertà più o meno relativa.
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