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Home » Esteri » Medio Oriente » TRAGEDIA GAZA/ Amos Oz contro gli “ebrei neonazi” che portano Israele al suicidio

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TRAGEDIA GAZA/ Amos Oz contro gli “ebrei neonazi” che portano Israele al suicidio

Luigi Campagner
Pubblicato 10 Agosto 2025 - Aggiornato alle ore 16:53
Il premier israeliano Benyamin Netanyahu durante una visita alla base di reclutamento e selezione di Tel HaShomer, 5 agosto 2025 (Ansa)

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu durante una visita alla base di reclutamento e selezione di Tel HaShomer, 5 agosto 2025 (Ansa)

Amos Oz, il maggiore scrittore di Israele, amico e possibile successore di Shimon Peres, aveva intuito la deriva omicida della rabbia israeliana

La guerra a Gaza si è presto trasformata da guerra difensiva in guerra di spopolamento, termine con il quale Graccus Babeuf ne La Guerra di Vandea e il sistema di spopolamento (1794) aveva anticipato il termine genocidio o “populicidio”. Un vecchio sistema di conquista, mai passato di moda, ora attuato anche da Israele, con conseguenze tutte da valutare per la tenuta stessa delle fondamenta dello Stato.


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La voce di cui in molti hanno sentito acutamente la mancanza in questi due anni di guerra è sicuramente quella di Amos Oz (1939-2018), il maggiore degli scrittori israeliani, che nella sua opera principale Una storia di amore e di tenebra (2002) ha ricapitolato la storia contemporanea del popolo ebraico attraverso le vicende di innumerevoli famiglie e di individualità straordinarie, iniziando dalla sua. Il valore dell’opera è tale da prestarsi alla duplice lettura di documento storico e opera autobiografica: anche invertendo l’ordine dei fattori il risultato non cambia.


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Fondatore di Peace Now, Oz è stato un propugnatore convinto della possibilità di creare la pace tra arabi e israeliani anche nel bel mezzo della nakba, la parola araba che significa catastrofe, purtroppo sempre attualissima dal 1947 ad oggi.

Amos Oz (Foto: ANSA)
Amos Oz (Foto: ANSA)

Da giovane kibbutzino, Oz ha conosciuto personalmente David Ben Gurion, fondatore di Israele, leader politico e militare a cui si deve, tra l’altro, la scelta della Stella di David come simbolo – unico richiamo biblico – del nascente Stato. Da adulto, Oz è stato a lungo intimo di Shimon Peres: anch’egli leader politico e militare, Premio Nobel per la pace nel 1994.


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Peres fu una personalità di spicco, uno leader politico e militare: pronto alla guerra, ma con “le lampade accese” per la pace. Così come lo sono stati i primi ministri Golda Meir e Yitzhak Rabin. Tutti appartenevano a una razza strana, una sorta di “lanzichenecchi di pace”, per rubare una geniale espressione di Giacomo B. Contri (Think!, 2010). Una razza purtroppo estinta, che ha lasciato il passo agli odierni “lanzichenecchi e basta”.

Oz fu indicato dallo stesso Peres come suo possibile successore politico. Una prospettiva che non si concretizzò e non sapremo mai se il leader politico sarebbe stato all’altezza dello scrittore. Tuttavia, alcune delle sue visioni politiche (sostenute anche da altri) per raggiungere la pace con gli arabi, come ad esempio rinunciare alla West Bank, ossia il territorio coincidente con la Cisgiordania e i territori occupati nella Guerra dei sei giorni del 1967, e spostare il baricentro dello Stato nel deserto del Negev, trasformandolo nella Silicon Valley israeliana, avrebbero meritato di cimentarsi sul banco di prova della storia.

Peres consegnò come omaggio a Papa Francesco e al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen Una storia di amore e di tenebra in occasione dell’incontro che si tenne in Vaticano l’8 giugno 2014. Lo consegnò come auspicio di pace e come uno scrigno in grado di contenere e di far comprendere al mondo i tormenti, le aspirazioni, le gioie, i sogni, gli incubi e le contraddizioni del popolo ebreo contemporaneo.

Nei giorni successivi all’infame atto di guerra di Hamas del 7 ottobre 2023 che ha innescato la risposta bellica di Israele, Fania Oz, figlia di Amos e Nily Zuckerman, rilasciò un’intervista al Corriere della Sera, dove dichiarava: “mio padre, Amos Oz, per sua fortuna è scomparso cinque anni or sono. Tanti di noi si consolano, oggi, al pensiero che i propri genitori, la generazione fondatrice di Israele, i suoi combattenti, sognatori e pacifisti (corsivo mio) non sono più tra noi per assistere alla tragedia che si è abbattuta sul nostro popolo”.

Parole traboccanti di pietà filiale che fanno quasi dimenticare che Oz, il cognome che Amos aveva scelto a 15 anni dopo il suicidio della madre, significa “forza”. Forza anche di attraversare le tenebre e guardare fino in fondo al baratro dell’orrore. Non solo quando l’orrore viene dall’esterno, dal “nemico”, ma anche quando l’orrore viene dall’interno, quando il peggior nemico di te stesso sei tu.

Oz aveva avuto il coraggio oltre dieci anni fa di guardare attraverso le tenebre l’orrore che viene dall’interno, e non esitò a creare quello che allora sembrava un pesantissimo ossimoro, ossia “ebrei neonazi”. “Ebrei neonazi” è un nome, un giudizio e un capo d’accusa rivolto contro i coloni responsabili di ritorsioni indiscriminate nei confronti dei villaggi palestinesi, un capo d’accusa che oggi il maggiore degli scrittori ebrei contemporanei non esiterebbe a rivolgere al governo Netanyahu.

In mezzo a mille difficoltà e contraddizioni, lo Stato di Israele si è fondato su un atto di diritto internazionale, non su una guerra di conquista o di spopolamento o su una faida sanguinaria. Rinnegare tale origine costitutiva, come rischia di avvenire ogni giorno da mesi nella guerra a Gaza, equivale a dar vita a un terremoto istituzionale che scuote le fondamenta stesse dello Stato di Israele.

Un suicidio politico sui generis – che resterà tale anche dopo l’ipotetica la vittoria nella guerra contro Hamas – dalle conseguenze così drammatiche da far sembrare meno importanti i suicidi reali delle decine di militari israeliani, giovani e meno giovani, dall’inizio della guerra ad oggi.

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