“Viva sarà la mia vita tutta piena di Te” (Confessioni, 10,28). In una frase sant’Agostino descrive il miracolo della santità cristiana: una pienezza di vita. Talvolta appare un miraggio, più che un miracolo, un sogno irrealizzabile, una meta irraggiungibile. Ma poi uno riconosce, come scriveva don Giussani nelle lettere a don Angelo Majo, che “una cosa sola mi tormenta… che la mia vita non sia inutile”.
L’insopportabilità dell’inutilità costringe a fare i conti con ciò che realmente è in grado di riempire la vita. Se l’uomo non ammette la possibilità di essere inutile, significa che la pienezza di vita non è un’illusione, tant’è vero che si è fatta conoscere nel volto di un uomo. La Vita è diventata vita e si è resa accessibile all’uomo mediante il Battesimo, rivelando così che la vita stessa è vocazione, chiamata, compito.
Benedetto XVI descrisse in modo unico questo avvenimento nell’omelia per la veglia pasquale del 2006: “Penso che ciò che avviene nel Battesimo si chiarisca per noi più facilmente, se guardiamo alla parte finale della piccola autobiografia spirituale, che san Paolo ci ha donato nella sua Lettera ai Galati. Essa si conclude con le parole che contengono anche il nucleo di questa biografia: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2, 20). Vivo, ma non sono più io. L’io stesso, la essenziale identità dell’uomo – di quest’uomo, Paolo – è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un ‘non’ e si trova continuamente in questo ‘non’: Io, ma ‘non’ più io. Paolo con queste parole non descrive una qualche esperienza mistica, che forse poteva essergli stata donata e che, semmai, potrebbe interessare noi dal punto di vista storico. No, questa frase è l’espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande. Allora il mio io c’è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza”.
Che ci sia, per l’uomo, la possibilità di un “nuovo spazio di esistenza” apre realmente nel cuore la strada alla speranza della conquista del significato di tutto. Non si tratta, infatti, di un “nuovo spazio di esistenza” qualunque, ma dello spazio segnato dall’umanità nuova del Figlio di Dio, il vero “esistente” in senso pieno. Poiché viviamo nella vita piena di Cristo, anche la nostra vita può essere tale.
La Chiesa celebra la festa dei santi per ricordare a tutti che l’esistenza non è una fregatura, che la pienezza a cui siamo chiamati non siamo noi, che il compimento è possibile. C’è un Esistente che viene prima di tutto, ci coinvolge in sé stesso e attende instancabilmente il nostro “sì”.
Nel Vangelo Gesù descrive questo movimento con l’immagine della vite e dei tralci. Non è possibile pensare una comunicazione più intensa, un’attrattiva più reale, una passione per l’umano più potente, di quella che il Mistero, che fa tutte le cose, prova per ciascuno di noi. Che urgenza dire e ridire a tutti questa novità! Che urgenza oggi, immersi come siamo nell’attesa dei nostri risultati, nell’aspettativa che si realizzino i nostri progetti e, al tempo stesso, in un disincantato sguardo al quotidiano.
Sempre Benedetto XVI, in un suo testo, dice: “Mi è divenuto chiaro che questo processo del divenire una cosa sola con lui, e il superamento di ciò che è solo nostro, dura tutta la vita e racchiude anche sempre dolorose liberazioni e rinnovamenti”. Che duri tutta la vita è la consolazione più grande, perché significa che il bello ha sempre da venire, nel continuo desiderio di Cristo di essere una cosa sola con noi. “Viva sarà la mia vita tutta piena di Te”.
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