Il film di Icíar Bollaín "Una donna chiamata Maixabel" racconta l'esperienza di giustizia riparativa vissuta con ex membri dell'ETA

Una donna chiamata Maixabel è un film di Icíar Bollaín che ha voluto raccontare la storia e il dramma di Maixabel Lasa cui è  stato ucciso il marito, il socialista Juan María Jáuregui, da parte dai membri dell’ETA (Euskadi Ta Askatasuna, che in basco significa “Paese Basco e Libertà”) Patxi Makazaga e Luis María Carrasco, che sono scappati a bordo di un’auto guidata da Ibon Etxezarreta.



Il film pone in modo coinvolgente la questione della giustizia riparativa e lo fa non in modo ideologico o intellettuale, ma attraversando l’esperienza viva di Maixabel Lasa (interpretata da Blanca Portillo), la figlia Maria (María Cerezuela) e i terroristi Luis Carrasco (Urko Olazabal) e  Ibon Etxezarreta (Luis Tosar).



Il film mostra come la giustizia riparativa sia un cammino, non semplice, perché deve passare sia dentro i drammi personali, sia all’interno delle spigolosità del giudizio spesso negativo degli altri.

Bollaín ha fatto un lavoro molto significativo perché ha raccontato come il perdono sia un cammino che pazientemente si fa strada nella vita di una vittima come in quella di chi è stato l’autore di un delitto.

Maixabel Lasa è la testimonianza di una donna che decide di guardare in faccia gli assassini di suo marito e contro il parere dei compagni di partito, della figlia e di un’amica che ha subito la stessa violenza comincia questo percorso con Luis Carrasco grazie alla mediazione di Esther (Tamara Canosa), la responsabile di un progetto riabilitativo all’interno del carcere di Nanclares de la Oca (Álava), dove vi sono diversi membri dell’ETA che hanno ufficialmente abbandonato l’organizzazione e partecipano a progetti rieducativi senza collaborare con le autorità giudiziarie.



La giustizia ripartiva è un incontro tra persone che vivono in modo diverso una violenza, è uno sguardo che porta la vittima a guardare l’altro come persona e l’assassino, il terrorista, a rendersi conto di quello che ha fatto e a domandare perdono. Maixabel deve fare i conti con i suoi amici e gli aderenti al partito socialista basco, ma anche Luis deve subire nel carcere gli sguardi dei suoi compagni in cui vi è l’accusa di tradimento.

Il programma di giustizia riparativa viene sospeso, quando Ibon vuole entrarvi, ma Maixabel è così convinta della sua positività che viene portato avanti con incontri all’esterno del carcere durante i momenti di permesso che Ibon ha per poter incontrare la madre. Così anche Ibon fa il suo cammino che lo porta a riconoscere la sua colpa fino ad andare a chiedere perdono ai membri del partito socialista in un momento commovente davanti alla tomba di Juan Maria Jauregui.

Così anche Maria, la figlia di Jauregui, grazie alla testimonianza della madre Maixabel, coglie quanto sia umano quel percorso di perdono, è questo il segno che la giustizia non è una regola, ma passa dentro il dramma della libertà e poggia unicamente su di essa.

Questo film è la testimonianza affascinante di un cammino umano e dice quanto possa nascere da uno sguardo all’altro capace di vederlo oltre ciò che ha fatto: questo sguardo ha la vertigine di un rischio umano ed è del tutto gratuito. In Maixabel è evidente come lei sia conquistata da qualcosa di misterioso che la porta ad andare in carcere per stare di fronte agli assassini di suo marito, non sa cosa possa succedere, neanche la mediatrice lo sa, poi pian pian accade l’impensabile, torna l’umano: è grazie al suo sguardo umano che rifiorisce l’umanità inaridita di due terroristi.

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