I giudici si oppongono a Trump più dei dem, ma non preoccupano quanto l’economia. Musk lascia l’amministrazione, ma non farà la guerra al presidente.

L’impressione che deriva da tutti i pronunciamenti dei giudici contro le decisioni di Trump è che si tratti di sentenze politiche. Come se l’opposizione, in assenza di un Partito democratico incapace di proporre idee e leader, la facessero proprio loro, i giudici. Non è da questo, tuttavia, commenta Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, che il presidente americano deve guardarsi, quanto dal cattivo andamento dell’economia.



I risultati negativi in questo campo potrebbero frenarlo, non certo i giudici, contro i quali, d’altra parte, si è scagliato durante tutta la campagna elettorale che poi ha vinto. Di questo cercherà di occuparsi ora Trump, senza più Musk al suo fianco, anche se per ora sembra una perdita indolore.

La Corte d’Appello ha rimesso in vigore i dazi bloccati da un altro tribunale; una giudice di Boston, invece, ha dato ragione ad Harvard, stoppando il divieto di iscrivere studenti stranieri. Sono gli ultimi episodi di una lunga serie di contenziosi giudiziari che riguardano l’amministrazione repubblicana. La lotta con i giudici caratterizzerà il mandato di Trump? Dove può portare?



Trump ha fatto anche tutta la campagna presidenziale in lotta con i giudici e ha vinto le elezioni. Penso che non saranno loro a fermarlo. Peraltro, certe sentenze appaiono politiche: non entro nel merito delle decisioni a livello di diritto, però l’impressione, dal punto di vista degli elettori del presidente americano, è che l’opposizione la stiano facendo i giudici. Detto questo, mi sembra che la Casa Bianca sappia come uscire da questa situazione, al di là del ricorso eventuale alla Corte Suprema.

Sui dazi Trump ha incassato un pronunciamento della Corte d’Appello favorevole alle sue scelte; al di là di questo, quali armi legali può usare per confermare la sua linea?



I giudici hanno sospeso i dazi sulla Cina del 30%, su Messico e Canada (25%) e quelli del 10% sul resto del mondo, mentre non hanno toccato i dazi su acciaio e alluminio, auto e componenti. E questo perché Trump è ricorso a presupposti giuridici differenti. Nel primo caso, quello inizialmente sospeso dai giudici, ha fatto ricorso a una legge del 1977, l’Emergency Economic Powers Act, per la quale il Presidente può bypassare il Congresso nelle decisioni di politica commerciale nel caso di un’emergenza nazionale. Emergenza che in questa occasione consiste nel deficit da 1.200 miliardi di dollari e nell’import di fentanyl.

E per quanto riguarda i dazi rimanenti?

Ha fatto ricorso al Trade Expansion Act del 1962 e a una sezione in particolare, la 232, che consente al Presidente di adeguare le importazioni nel caso in cui ci sia una situazione tale da compromettere la sicurezza nazionale. Una legge che, tra l’altro, è stata utilizzata anche dai predecessori di Trump, da Obama e da Biden, anche se quest’ultimo ha applicato un’altra sezione rispetto a quella invocata in questa occasione. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha riferito che, nello scenario peggiore, il presidente potrebbe semplicemente reimporre gli stessi dazi, cambiando presupposto giuridico. In questo modo l’opposizione dei giudici non porterà risultati.

Ci si dimentica che i dazi li utilizzava anche Biden?

Tutte queste tariffe comportano delle entrate per gli Stati Uniti, che non sono poca cosa. Grazie alle decisioni di Biden, ai suoi dazi di ritorsione per pratiche commerciali scorrette, per esempio contro la Cina, l’America ha incassato 23,4 miliardi da ottobre ad oggi.

Come mai contro Trump c’è questa sovraesposizione dei giudici?

Il tema è che l’opposizione la dovrebbero fare i democratici, offrendo un’alternativa, delle argomentazioni valide, ma non si sentono neanche, sono invisibili. Sembra quasi che chi sta facendo opposizione adesso in America siano i giudici e l’Università di Harvard. Tra l’altro, la Casa Bianca ha citato una sentenza dei tempi di Nixon, quando il Presidente aveva usato poteri presidenziali per imporre dazi, secondo la quale i giudici stessi non possono decidere sulla politica economica, ma tutt’al più lo può fare il Congresso degli USA.

Se non saranno i giudici a fermare il presidente, da chi si deve guardare Trump?

Deve fare attenzione all’economia, al downgrade di Moody’s: se viene abbassato il rating degli USA e se il dollaro perde valore vuol dire che l’America perde credibilità. Invece, le sentenze e il braccio di ferro culturale fanno solo gioco alla sua narrazione, galvanizzano la base elettorale: non mi stupirei se nel prossimo sondaggio, dopo questa sentenza dei giudici, la sua popolarità tornasse leggermente a salire. Lo scenario che si prospetta adesso è questo: si dovrà preoccupare soprattutto dell’impatto delle sue decisioni sull’economia, sull’inflazione, sull’affidabilità degli Stati Uniti. Il presidente andrà avanti, anche con difficoltà: sui dazi bisognerà trovare un accordo, perché non fanno bene a nessuno, né all’America né all’Europa. Occorre una via d’uscita.

In merito ai divieti di iscrizione degli stranieri ad Harvard, l’ordine di Trump è stato bocciato dal tribunale. La Casa Bianca continuerà a intervenire contro l’università?

Penso che sia assurdo vietare alle università di ospitare studenti stranieri. Anche qui, però, credo che sia in corso un braccio di ferro politico. Trump contrasta la visione elitaria di Harvard, alla quale fanno riferimento politici, ex ministri e segretari democratici. Il presidente vede in questa università quell’establishment democratico, elitario, che lui ha promesso di contrastare in campagna elettorale. Poi ci sono anche le accuse di non stigmatizzare le condotte antisemite, ma in realtà è in atto una battaglia contro la cultura woke, il politicamente corretto esasperato.

Perché i Democratici non si fanno sentire come partito?

Sono allo sbando. Non hanno una proposta alternativa forte e sono in difficoltà per quello che sta emergendo sulla salute di Biden. Non hanno personalità di spicco e quindi, venendo meno l’opposizione politica, entrano in campo altri attori: non sto condannando i giudici, magari sono perfettamente imparziali, sto dicendo che si dà l’impressione che ogni volta che Trump fa qualcosa ci sia un giudice pronto a intervenire.

Musk ha lasciato il suo incarico al DOGE, ma ha anche mosso delle critiche alla legge di bilancio di Trump, dicendo che potrebbe vanificare il lavoro di spending review svolto nell’amministrazione. Un appoggio importante che viene a mancare al presidente USA da parte del mondo industriale?

Ho sempre creduto che Trump e Musk fossero due personalità troppo egocentriche per convivere a lungo insieme. Una serie di episodi ha un po’ allentato il rapporto. Il suo giudizio negativo sulla legge di bilancio è un modo piccato di andarsene: ha dato una stoccata a Trump, ma lo ha anche ringraziato per l’opportunità che gli ha concesso. Politicamente, credo che abbiano bisogno l’uno dell’altro; poi, oggettivamente, Musk è un po’ in difficoltà: le vendite di Tesla in questo periodo sono crollate. Sono due personalità incompatibili. Musk, comunque, ha finanziato pesantemente la campagna di Trump, non verrà scaricato, però non funzionava all’interno dell’amministrazione.

Come si muoverà ora Trump? Oltre ai giudici c’è qualcuno che vuole contrastare la sua linea, magari nel mondo dell’economia?

Vorrebbe concentrarsi sulla legge di bilancio, dove deve fare i conti con l’ala conservatrice repubblicana, contraria ad aumentare il deficit. Nessuna azienda si contrappone all’amministrazione: ci sono molti contratti federali. L’unica che ha preso posizione è Microsoft, che si è rifiutata di rinunciare a norme su diversity e inclusione. Trump ha minacciato ritorsioni contro chi alza i prezzi a causa dei dazi e Microsoft lo ha fatto per Xbox e console. In genere, comunque, c’è nervosismo: la maggioranza degli americani non è ottimista riguardo all’economia.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI