All’Ecofin di ieri Giorgetti ha messo il veto dell’Italia alla direttiva danese sulla tassazione energetica. Al nostro Paese serve il nucleare subito

Per una volta tutta l’Italia – opposizione compresa – dovrebbe apprezzare la dura posizione del governo Meloni che, per bocca del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ieri ha ufficialmente messo il veto in sede ECOFIN ad una nuova tassazione UE sul gas che avrebbe danneggiato in modo gravissimo non solo le imprese italiane, ma anche tutti i singoli cittadini.



La misura, ipotizzata nel 2021 ovvero con ben altri scenari geopolitici e ben prima della guerra in Ucraina, prevedeva che per spingere verso il sogno “green” tanto caro a Bruxelles e per scoraggiare quindi il consumo di gas naturale (ritenuto “inquinante”) si sarebbe aggiunta un’imposta “europea” sul prezzo al consumo.



Giorgetti ha annunciato il “no” dell’Italia alla direttiva e la proposta – che per essere approvata necessita dell’unanimità dei Paesi dell’Unione – è quindi di fatto per ora accantonata.

Una volta di più emergono però tre aspetti strategici di politica energetica di cui nel nostro Paese si parla poco.

Il primo è geopolitico, ovvero cosa abbia comportato e quanto continuerà ad influire in futuro per l’economia dei singoli Stati la decisione “politica” di sospendere le forniture dalla Russia (nel 2021 rappresentava il principale fornitore europeo) che ci vendeva gas a prezzi contenuti.



Non più di 48 ore fa, commentando l’impennata dei prezzi degli alimentari che in un quadriennio sono aumentati di circa il 25%, si sottolineava che la principale responsabile degli aumenti era la “componente energia”, legata, ovviamente, proprio al prezzo del gas, che a sua volta coinvolge quello dell’energia elettrica.

La decisione di fermare le forniture di Mosca – soprattutto dopo che la “manina” presumibilmente ucraina ha distrutto i gasdotti Nord Stream del Mar Baltico, facendo diventare problematiche le importazioni del gas russo anche se domani si giungesse finalmente a sospendere il conflitto – ha avuto infatti conseguenze molto diverse per i singoli Paesi UE.

Gasdotto in Repubblica Ceca (Ansa)

Alcuni ne hanno risentito poco, per altri – come l’Italia – le conseguenze sono state gravissime, con impennate dei prezzi energetici che Bruxelles non riesce a controllare (e tantomeno a calmierare, ammesso lo volesse) con splendidi risultati per la speculazione che ci sta dietro.

Il secondo elemento è perché si debba ricorrere a questa nuova tassazione; e qui rispunta questo nefasto pallino della Commissione europea che continua a vedere nel Green Deal il suo massimo obiettivo strategico. Nell’ottica del pacchetto legislativo “Fit for 2055” (ovvero emissioni zero per il 2055) eliminare il consumo di gas o almeno ridurlo fortemente sarebbe infatti una pietra fondamentale e un “deal” fisso per gli ecologisti della Commissione.

Il problema è che il costo dell’energia è molto diverso nei singoli Paesi europei e conseguentemente il consumo di gas per i vari usi domestici o industriali varia fortemente, sia in termini di prezzi assoluti che di potere d’acquisto, con diverse conseguenze sull’economia e della ricchezza prodotta nei vari Paesi.

Il prezzo finale nasce da un dedalo di sommatorie spesso incomprensibili che partono dai prezzi delle materie prime, cui si aggiungono imposte, sovra-imposte, oneri aggiuntivi “di fatturazione e controllo”, abbuoni sociali e detrazioni, IVA applicata; alla fine le disparità sono evidenti.

In alcune zone della Norvegia l’energia costa un decimo dell’Italia e i prezzi sono molto competitivi in Ungheria, Francia e Spagna e in generale nell’Est europeo.

E qui sta appunto l’aspetto centrale cui si oppone l’Italia: non ha senso mettere una nuova imposta per ridurre i consumi se a monte non c’è una volontà di uniformare o almeno avvicinare i prezzi di gas e di energia elettrica all’interno della UE; ma poiché questa volontà non c’è, l’effetto di una direttiva come quella bocciata dal nostro governo sarebbe quella di moltiplicare le disuguaglianze economiche.

Una questione fondamentale che è oggetto di approcci profondamente diversi, soprattutto perché alcuni Paesi vendono energia ai vicini – sovente ad un prezzo molto superiore a quello interno, vedi la Francia nei confronti dell’Italia – e non hanno interesse a fare sconti, mentre chi deve importare si trova in difficoltà.

Va aggiunto che anche noi ci abbiamo messo del nostro: l’aver deciso di chiudere al nucleare quarant’anni fa ci vede ora molto in ritardo in questo settore e anche eolico e solare soffrono di tempi burocratici spesso infiniti per poter far funzionare nuovi impianti.

Per un Paese che ha già sfruttato al massimo le risorse idroelettriche, importa gas, non ha nucleare e sta in piedi con industrie di trasformazione, la trappola energetica è un rischio costante.

Per questo bene ha fatto Giorgetti ad opporsi a questa nuova “tassa fissa” che avrebbe massacrato imprese e famiglie. Sarebbe ora di affrontare anche gli altri nodi energetici con meno demagogia e più senso della realtà.

marco.zacchera@libero.it

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