Virtual influencer: “Giovani rischiano la disintermediazione totale”
I Virtual influencer sono già utilizzati da tempo, ed il più famoso tra questi è sicuramente Knox Frost, l’IA sviluppata dall’OMS per fornire informazioni attendibili in merito al Covid 19, soprattutto ai più giovani. Un altro esempio, ma che muove in una direzione diversa, è la giapponese Imma, che si comporta esattamente come un’influencer classico, sponsorizzando prodotti, promuovendo brand ed anche campagne sociali.
Si tratta concretamente di Intellingenze artificiali in grado di comunicare ed interagire con i follower, rispondendo ai loro messaggi e commenti e producendo più o meno autonomamente post e contenuti. Possono imparare dalle interazioni e si adattano, all’occorrenza, a vari tipi di pubblico, riuscendo ad abbracciare potenzialmente molti più follower rispetto ad un essere umano. Se da un lato, però, l’utilizzo del Virtual influencer è stato principalmente informativo, dall’altro assume caratteri soprattutto economici, mettendo in entrambi i casi in dubbio la natura dell’economia del dono e della solidarietà. Le nuove generazioni rischiano la “disintermediazione totale”, spiega al Sole 24 Ore Nicola Bedogni, presidente dell’Associazione Italiana Fundraiser, con il conseguente rischio, più grave, “che venga meno l’interlocutore, come le non profit, e quindi l’esigenza di un rapporto basato sulla fiducia“.
Come i Virtual influencer cambiano l’economia del dono
La disintermediazione di cui parla Bedogni in merito ai giovani e ai Virtual influencer è la scomparsa dell’intermediario che regola le relazioni online, ovvero dell’altra persona, dell’influencer umano. E se da un lato apre tutta una discussione sulle relazioni, sempre più guidate dalle IA per una generazione “che non distingue tra relazione online e offline“, dall’altro mette completamente in discussione l’economia del dono e della solidarietà per le cause sociali.
In gioco, con i Virtual influencer, c’è la differenza tra dono e donazione che rischia di sfumare, perdendo di senso. Il primo si basa soprattutto sulla relazione e sul rapporto di fiducia che stimola la partecipazione ad una determinata campagna sociale, muovendo un sentimento o un’emozione (ne sono un esempio gli spot di Save the children, dove la voce in sottofondo serve proprio a muovere compassione, stimolando anche una sensazione di emergenza). La seconda, invece, è la semplice raccolta di fondi, basata sulla stimolazione di un interesse economico, che per le nuove generazioni si configura in “progetti che riconoscono come utili e autentici”, spiega Paolo Venturi, economista e direttore di Aiccon. Secondo Bedogni, il problema principale è che “per le nuove generazioni non cambia nulla se a piantare gli alberi è Greenpeace o una società che ci fa fatturato“.