LETTURE/ Il grande spettacolo del cielo, dallo stupore alla conoscenza e ritorno

- Mario Gargantini, int. Marco Bersanelli

"Il grande spettacolo del cielo" di MARCO BERSANELLI non è un testo di storia della cosmologia, ma la narrazione di un nesso inscindibile di conoscenza e stupore. MARIO GARGANTINI

vangogh_nottestellata1R439 Van Gogh, Notte stellata (1889)

Non si può immaginare uno scenario migliore per presentare un libro sulla visione dell’universo, di quello che ha ospitato domenica scorsa la presentazione de Il grande spettacolo del cielo, scritto da Marco Bersanelli e pubblicato da Sperling & Kupfer. Lo scenario è stato un affollatissimo Planetario di Milano dove, nell’ambito di BookCity, l’autore — docente di astrofisica nell’Università degli studi di Milano — ha ripercorso i momenti più esaltanti dell’avventura umana della conoscenza del cosmo, proiettando sulla volta oscura trapuntata di stelle, come non le vediamo più nei nostri cieli metropolitani, le immagini emblematiche delle “otto visioni dell’universo dall’antichità ai nostri giorni” (così recita il sottotitolo del volume).

“L’esperienza dell’oscurità del cielo costellato da tanti punti luminosi è l’esperienza che a noi manca maggiormente: è difficile non rendersi conto di quanto incida sulla nostra percezione della realtà e di noi stessi, sulla nostra stessa psicologia, la mancanza di uno spettacolo come quello che potevano potava ammirare, e avrà senz’altro ammirato, l’Uomo di Cro-Magnon, 10-30mila anni fa. Noi siamo la prima generazione nella storia alla quale è stata ‘sottratta’ questa abitudine di contemplare un cielo così”. 

La domanda da cui parte il racconto di Bersanelli è proprio questa: quando l’uomo ha iniziato ad osservare il cielo, ad accorgersi della grandezza della volta stellata che ci avvolge? Difficile dare una risposta “scientifica” ma abbiamo tanti segni, prodotti dall’espressività artistica dei nostri progenitori, che denotano il desiderio dell’uomo di “leggere” il cielo e di comunicare lo stupore alla vista di gruppi di stelle come quello delle Pleiadi, o di fenomeni regolari come le fasi lunari, entrambe immortalate sulle pareti delle grotte preistoriche di Lascaux, in Francia.

Dalla meraviglia alla conoscenza e poi ancora a una nuova meraviglia. È questa la dinamica che domina le otto cosmovisioni descritte nel libro, “che non è un testo di storia della cosmologia ma un racconto libero, senza la pretesa di essere esauriente”, precisa l’astrofisico milanese. Un racconto che ci introduce con vivacità e chiarezza nelle trame che hanno intessuto la conoscenza scientifica dell’universo, con i suoi frequenti ribaltamenti e colpi di scena; e che presenta alcuni caratteri originali che ne fanno un unicum nella comunicazione scientifica italiana. 

Anzitutto emergono i protagonisti di questa affascinante storia, gli uomini che hanno cercato di decifrare quei segnali luminosi arrivando a vedere in profondità, grazie a strumenti sempre più potenti e a teorie fisico-matematiche sempre più raffinate, fino a lambire i confini degli eventi cosmici primordiali,. Dai celebri matematici greci ai protagonisti della rivoluzione copernicana, fino agli artefici dell’attuale visione cosmologica che vede spalancarsi scenari straordinari accanto a enormi interrogativi, come quelli sulla materia oscura e l’energia oscura.

Attraverso i personaggi, Bersanelli ci fa ripercorrere i nodi concettuali più significativi della ricerca cosmologica e coglie nelle esperienze dei ricercatori momenti e particolari che rivelano tutta la drammaticità e insieme il gusto del lavoro scientifico. Senza nascondere le sue simpatie, come quella verso Keplero, “un uomo straordinario, che ha saputo resistere a una situazione sfavorevole per molti aspetti e che ha dimostrato grande genialità e anche coraggio intellettuale: è il primo che osa infrangere il dogma greco del moto circolare uniforme come moto perfetto dei corpi celesti e introduce le orbite ellittiche, che neppure Galileo aveva immaginato”. 

E senza ignorare i momenti problematici. Come quando, quasi un secolo fa, l’abate Georges Lemaître e Aleksandr Friedmann hanno saputo andare oltre Einstein e leggere, dentro le sue stesse equazioni della relatività generale, la stupefacente fisionomia di un universo in espansione. Einstein non ne era convinto e al povero Lemaître toccò di sentirsi dire: “La tua matematica è corretta ma il tuo senso fisico è abominevole”. Oggi anche il padre della relatività ammetterebbe l’espansione e forse condividerebbe il paragone proposto da Bersanelli: “La bellezza dell’universo non è come quella di un cristallo, che è sempre uguale a se stesso, ma è come quella di un fiore, che cresce e si apre, espandendosi. Anche l’universo si espande e questa espansione genera una storia, che possiamo ripercorrere per risalire a ridosso dell’inizio, circa 14 miliardi di anni fa”. 

L’altra caratteristica originale di questa narrazione è il suo ampliamento, senza discontinuità, alla sfera letteraria e artistica: in ogni capitolo il resoconto storico scientifico si prolunga nelle testimonianze poetiche, pittoriche e architettoniche. Così, mostrando la celebre notte stellata di Van Gogh, Bersanelli fa notare come al centro ci sia una configurazione a spirale del tutto simile a quella della galassia M51, disegnata dall’astronomo Lord Rosse che l’aveva osservata col grande telescopio di Parsonstown (Irlanda) nel 1850. Il pittore olandese deve averla vista sfogliando un catalogo astronomico e l’astrofisico commenta: “l’occhio dell’artista raccoglie e restituisce un’immagine che rimane immortale; mentre le immagini astronomiche vengono superate grazie alle nuove potenzialità degli strumenti di osservazione, quando diventano arte restano nel tempo. Oggi ancor più cordialmente godiamo della bellezza del dipinto di Van Gogh”.

C’è una sorpresa nel finale del libro: “è stata una sorpresa anche per me quando nel giugno 2013 ho ricevuto quella che forse rimarrà la lettera più inattesa della mia vita. Il responsabile degli architetti del cantiere della Sagrada Familia di Barcellona, Jordi Fauli, mi ha invitato a collaborare per il progetto dell’ultima guglia, la maggiore, la torre di Gesù Cristo, che dovrà contenere una rappresentazione dell’universo”. 

Era difficile conciliare le forme architettoniche singolari progettate da Gaudi con l’immagine della volta celeste; ma la rappresentazione scientifica moderna, confortata dai risultati sperimentali ottenuti con missioni spaziali come quella di Planck, della quale Bersanelli è uno dei massimi responsabili, offre un suggerimento: “la geometria che Gaudi ha immaginato, in qualche modo riecheggia la forma dello spazio-tempo dell’universo attuale; il profilo della grande torre segue una curva dello stesso tipo di quella che Lemaître aveva tracciato per primo 90 anni fa. Allora ho proposto di rappresentare nella torre non tanto il firmamento ma l’universo che evolve nel tempo, dal fondo cosmico di microonde, alla formazione delle strutture galattiche fino al nostro sistema solare. La maestosa vista dell’interno della torre, con l’intero corso del tempo dispiegato sotto i nostri occhi, potrà farci percepire l’evoluzione della natura come un tratto mirabile ed essenziale della creazione”.





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