FINANZA/ 2. Sette dicembre, giorno del giudizio per l’Irlanda?

- Mauro Bottarelli

L’Irlanda rischia di aumentare il suo già alto debito pubblico. Per questo, spiega MAURO BOTTARELLI, sarà cruciale il budget statale del 2011

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Sette dicembre 2010. Segnate questa data sul calendario e sperate che entro quel giorno Brian Lenihan, ministro delle Finanze irlandese, sia riuscito a trovare la quadra per il budget 2011, altrimenti sarà default e obbligo di salvataggio internazionale per la ex “tigre celtica”. Ora si spiega l’accordo lampo di venerdì scorso in sede europea riguardo il fondo permanente di salvataggio: entro un mese Dublino potrebbe dover annunciare il fallimento, ipotesi avvalorata martedì dalla crescita record dello spread (7,214%) tra obbligazioni decennali irlandesi e il Bund tedesco.

 

«Il comportamento dei mercati internazionali di obbligazioni suggerisce che gli svariati annunci del governo non hanno convinto gli investitori riguardo l’esistenza di un patto credibile e stabile», è il giudizio di Karl Whelan, professore di economia all’University College di Dublino ed ex economista della Federal Reserve, secondo cui «a questo punto il budget si rivela cruciale per capire se potremo cambiare attitudine».

Il premio sui bond irlandese è raddoppiato da agosto e oggi è anche più ampio di quello sul debito greco quattro giorni prima che Atene chiedesse il salvataggio all’Ue lo scorso aprile: e nonostante l’Irlanda non abbia necessità di raccogliere denaro quest’anno, le riserve cash di 20 miliardi di euro dureranno solo fino alla metà del 2011. Serve un colpo d’ala per scongiurare il default e gli occhi sono puntati sulla road-map per i prossimi quattro anni che Lenihan renderà pubblica entro i prossimi quindici giorni: il premio sul bond irlandese è schizzato di 13 punti base a quota 475,46 punti base in più del livello toccato il 30 settembre scorso, giorno in cui la National Treasury Management Agency cancellò due aste previste per ottobre e novembre.

Per Michiel de Bruin, gestore di un portafoglio di investimento da 35 miliardi di dollari presso la F&C Netherlands di Amsterdam, «i mercati sembrano preoccupati del fatto che l’Irlanda dovrà chiedere supporto all’Ue, c’è tensione riguardo la capacità di Dublino di ancorare deficit e debito mantenendo allo stesso tempo il tasso di crescita». Il gap di budget quest’anno è al 12% del Pil e Lenihan ha promesso di portarlo al 3% entro il 2014: peccato che includendo i costi dei salvataggi bancari il deficit di quest’anno schizza al 32% del Pil. Una situazione al limite del gestibile, visto che ieri il ministro della Sanità, Mary Harney, ha promesso denaro ai dipendenti statali del settore che vogliano ritirarsi prima dal lavoro: un addio al libro paga statale da parte di 4500-5000 dipendenti si concretizzerebbe con un risparmio annuale di 200 milioni di euro.

Il problema è che oltre allo scetticismo dei mercati, Dublino si trova ad affrontare anche la montante rabbia dei cittadini: martedì proprio Mary Harney è stata bersagliata con vernice rossa da alcuni dimostranti che la attendevano all’esterno di una sala per eventi a Dublino. «La domanda reale da porsi, in questo momento, è quanto la gente reggerà a questa morte procurata da migliaia di tagli. Temo che a un certo punto, nei prossimi 12-18 mesi, ci sarà un’ampia mobilitazione contro ulteriori misure di austerity, lo trovo inevitabile», ha dichiarato a Bloomberg Stuart Thomson, manager del fondo Ignis Asset Management di Glasgow con un portafoglio di investimenti pari a 110 miliardi di dollari.

Inoltre, esiste una terza variabile che grava sul futuro del governo irlandese: la cosiddetta “pessimism bubble”. «C’è una bolla di pessimismo sopra l’Irlanda in questo momento e per farla scoppiare occorre che il piano quadriennale del governo sia il più dettagliato possibile, anche a livello legislativo, per convincere gli investitori che non avremo bisogno di un salvataggio e non andremo in default», ha dichiarato John McHale, professore di economia all’università di Galway. E a confermare l’esistenza di questa bolla, ci hanno pensato ieri i dati relativi ai credit default swaps sul debito irlandese, cresciuti di 28 punti base a quota 526, stando ai dati di CMA: l’assicurazione sul debito greco a cinque anni, invece, resta la più cara d’Europa, 850 punti base.

 

E come già denunciato martedì, la decisione tedesca in sede europea riguardo il meccanismo fisso debito-crisi, sta aggravando i problemi di paesi come l’Irlanda, come conferma anche Harvinder Sian, analista per Royal Bank of Scotland a Londra: «Fino alla scorsa settimana, avrei detto che l’Irlanda poteva evitare un salvataggio prendendo misure necessarie per ridurre il deficit. Ora, con le misure proposte da Angela Merkel, vedo chiaramente addensarsi un’ombra sul futuro, non solo dell’Irlanda ma di tutti i periferici». Mai avrei pensato di dire ciò che sto per dire, ma questa volta devo dare ragione a Jean-Claude Trichet e alla sua previsione rispetto al fatto che la discussione sul fondo di salvataggio europeo avrebbe fatto incrementare i costi per gli Stati che intendono ottenere denaro dal mercato: chapeau, torto mio.

 

«La gente appare sotto shock all’idea di una futura ristrutturazione del debito nell’eurozona, ma questo non dovrebbe sorprendere nessuno, a meno che qualcuno non pensasse che i contribuenti tedeschi avrebbero sottoscritto qualsiasi cosa», ha dichiarato Erik Nielsin, economista per Goldman Sachs Europe. Per Gary Jenkins, analista per Evolution Securities, «il pericolo deriva dal fatto che parlare di ristrutturazione del debito potrebbe tramutarsi in una profezia che si autoalimenta»: la paura, oggi, è tutta concentrata su Irlanda e Portogallo, i cui costi di finanziamento rischiano di diventare così alti da obbligarli a chiedere l’intervento del fondo di salvataggio europeo, una mossa potenzialmente destabilizzante.

 

Incredibilmente – e in maniera a mio modo di vedere degna di destare sospetto – Moody’s ha dichiarato che Grecia, Portogallo e Irlanda non dovranno affrontare un default sulle obbligazioni sovrane poiché possono contare su una forte base di domanda interna garantita da banche locali e fondi pensione che continueranno a comprare il debito governativo anche in tempi di ulteriore stress.

 

Non la pensano così all’Alliance Trust Asset Management, dove Rob Davidson parla chiaramente del fatto che «nessuno può nascondere la testa di fronte al fatto ineluttabile che ci sarà qualche tipo di ristrutturazione del debito nella periferia dell’eurozona». Ma non solo il settore obbligazionario dei cosiddetti periferici appare a rischio. Stando a un report di Merrill Lynch pubblicato martedì, infatti, anche i bond governativi britannici rischiano di finire invischiati in una bolla potenzialmente letale per gli investitori nei formalmente sicurissimi “gilts”, a causa di un mix di inflazione crescente, tassi di interesse più alti e la cessazione della politica di quantitative easing da parte della Bank of England.

In questo modo, gli investitori potrebbero subire perdite nel momento dell’esplosione della bolla e affrontare la realtà di rendimenti erosi dal tasso d’inflazione. Per Merrill Lynch, «attualmente i rendimenti dei gilts è al massimo al 3%, mentre l’inflazione sui prezzi al consumo è già al 3,1%, in attesa di una salita al 3,4% entro il prossimo anno. Insomma, i gilts non stanno tenendo il passo dell’inflazione e il governo deve emettere più bond per finanziare il deficit, quindi aumenterà l’offerta.

 

Il problema è che l’effetto doping garantito dal quantitative easing, ovvero il fatto che il governo si ricompra i propri bond, non può andare avanti per sempre. A quel punto, la domanda calerà. Inoltre, i tassi d’interesse non sono mai stati così bassi nei 316 anni di esistenza della Bank of England, quindi è più probabile che salgano da questo livello piuttosto che scendere. E se salgono, il bond che si detiene diminuisce di valore. C’è poi il fatto che le aziende britanniche hanno parecchio cash nei loro bilanci, una parte del quale verrà utilizzato per aumentare i dividendi e quindi rendere più appetibili le azioni per il mercato. Altro motivo per cui tenersi lontano dall’obbligazionario governativo».

 

Insomma, i detentori di gilts rischiano di trovarsi di fronte alla tempesta perfetta, con il compratore marginale – ovvero lo Stato attraverso il quantitative easing – pronto ad andarsene non appena si saranno stabilizzati segni di ripresa, atto quest’ultimo che porterà con sé aumento dell’inflazione e dei tassi d’interesse e una conseguente perdita di valore dei bond. Se pensate poi che i dividendi delle aziende quotate nel FTSE 100 di Londra l’anno prossimo si stima che pagheranno il 20% in più, rendimento che i detentori di bond possono solo sognarsi, capite da soli quale sarà l’attrattività dell’obbligazione made in Uk.

 

Purtroppo, però, molti fondi pensione hanno aumentato pesantemente la loro esposizione all’obbligazionario governativo riducendo quella all’azionario, costringendo alcuni investitori a dover fare hedging sui propri risparmi attraverso assets più liquidi – ad esempio conti di risparmio individuale (ISA) – per cercare di difendere parte del loro portafoglio. Due mesi fa parlavamo di bolla obbligazionaria, eccovela servita cari lettori. Con tanti saluti e ringraziamenti da parte di Angela Merkel.

 

P.S. Attenzione, cari lettori e risparmiatori: ho un tremendo sospetto, ovvero che quanto ho scritto ad agosto nei giorni del Meeting si concretizzerà. Gli Stati, di fronte al rischio default e all’aumento dei costi del finanziamento sul mercato, potrebbero non solo imporre haircut sui rendimenti o addirittura saltare qualche pagamento degli stessi, ma imporre regolamentazioni interne affinché i soggetti istituzionali non abbiano solo una strada prioritaria (tassando gli altri soggetti sul mercato obbligazionario in sede di aste) ma quasi un obbligo di acquisto delle obbligazioni governative, fondi pensione in testa. Attenzione, quindi, al rischio di dover pagare la crisi due volte, invece che una sola. Alla faccia della caccia al banchiere e allo speculatore…







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