FINANZA/ Quel nuovo allarme ignorato dal vertice Ue

- Mauro Bottarelli

Mentre il vertice Ue si è occupato della questione greca, la situazione del Portogallo diventa sempre più grave e pericolosa: un rischio da non sottovalutare. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

Portogallo_BandieraR400 Foto Imagoeconomica

A dispetto di farmi annichilire dalla cronaca, oggi non parlo né di Consiglio europeo, né tantomeno di Grecia. Non ne posso più, sinceramente: per quali motivi un qualsiasi accordo venga raggiunto tra creditori privati e governo ellenico sarà totalmente inutile a evitare il default, penso di avervelo dettagliatamente spiegato la scorsa settimana, quindi siete in grado di leggere la cronaca di queste ore con strumenti qualificati e qualificanti. Un solo appunto: al netto del fatto che il secondo salvataggio greco è già salito da 130 a 145 miliardi e che non mi fiderei di prestare nemmeno un euro a un politico greco, ci vuole proprio la mancanza di rispetto tedesca – o, forse, la volontà di giungere al default e non spendere altri soldi – per avanzare la proposta di commissariamento di un Paese mentre questo sta cercando di concludere le trattative per lo swap sul debito. Lo si dica chiaro, siamo stufi di pagare per Atene: almeno i mercati compreranno o venderanno una notizia, non i soliti rumours che poi portano a correzioni suicide dei corsi.

Ora parliamo di cose serie, ovvero del Portogallo. Un report del Kiel institute for the world economy pubblicato la scorsa settimana dice chiaro e tondo che Lisbona dovrà avere un surplus di budget di oltre l’11% del Pil per evitare che le sue dinamiche del debito vadano fuori controllo, questo anche in uno scenario benevolo di una crescita del 2% annua (impossibile). Per David Bencek, uno dei due autori, «il debito lusitano è insostenibile, questa è l’unica conclusione realistica a cui si può giungere. Tanto più che nessuna nazione può vantare un surplus di budget primario superiore al 5% per molto tempo. Non sapremo, probabilmente, cosa farà scattare il meccanismo, ma una volta che sarà stata presa una decisione sulla Grecia, la gente comincerà a guardare sempre di più al Portogallo e si renderà conto che la sua situazione attuale è identica a quella ellenica di un anno fa».

L’inversione della curva dei tassi portoghesi, in effetti, parla chiaro. Nonostante aste di successo grazie al programma Ltro della Bce e una generale compressione al ribasso degli spread dei principali paesi dell’eurozona, la tensione sui titoli portoghesi continua infatti a crescere. Ieri lo spread tra bond a 10 anni lusitani e Bund tedeschi è schizzato al livello record di 1.435 punti, portando il rendimento del decennale a oltre il 16%. In forte rialzo anche i credit default swaps, visto che in base ai dati di Cma, il costo per assicurare 10 milioni di dollari di debito sovrano lusitano per i prossimi cinque anni è schizzato a 3,95 milioni di dollari, da pagare in anticipo, più altri 100mila dollari da pagare annualmente: gli hedge funds già si leccano le dita, in attesa della sell-off definitiva di banche e fondi.

Il rendimento del bond a cinque anni, poi è salito al 22,69%, obbligando la Bce ad acquistare sul mercato secondario per frenare il rally, e quello a tre anni, addirittura, oltre il 23%: il perché è presto detto, il mercato ha già prezzato la necessità di un haircut sul debito e di un nuovo piano di aiuti da almeno 30 miliardi di euro, dopo il primo da 78. Nonostante il problema del debito lusitano sia molto minore di quello greco, rischia però di attrarre su di sé molta attenzione, tanto per cambiare a causa della mancanza di chiarezza da parte dei regolatori.

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L’Ue, in tutte le sue forme ed emanazioni, ha infatti ripetuto fino alla nausea che il Portogallo non è la Grecia e che il piano di coinvolgimento del settore privato è e resterà un unicum ellenico: peccato che il mercato, che è poco ideologico e molto pratico, non ci creda. Anche perché, grafici obbligazionari alla mano, nemmeno il piano Ltro della Bce sembra poter fare molto per Lisbona: la tendenza del bond a due anni lusitano ci dice sì che la liquidità di Francoforte può essere utile, ma non elimina il problema reale, dato confermato dal tendenziale del bond a cinque anni, cioè con scadenza superiore ai 72 mesi di garanzia dell’Eurotower, e dal fatto che nelle ultime due settimane anche l’obbligazione a 24 mesi ha cominciato un trend simile a quello delle scadenze superiori. Inoltre, da qui a giugno Lisbona ha scadenze obbligazionarie pesanti vista la situazione di cassa: 10 miliardi da qui a maggio e poi altri 10 miliardi nel solo mese di giugno, impossibili da finanziare sul mercato privato.

C’è poi la questione macro. Citigroup prevede per quest’anno una contrazione dell’economia portoghese del 5,7%, contro il 3% contenuto nelle stime del Fmi, in attesa però di revisione al ribasso, come di fatto annunciato a Davos da Christine Lagarde. Di più, lo stesso istituto di Washington ha confermato che «il debito portoghese potrebbe non essere sostenibile in uno scenario di bassa crescita». Per David Owen della Jefferies, «alcuni fondi hanno dovuto vendere debito portoghese dopo il downgrade a junk operato da Standard&Poor’s due settimane fa e questo trend di vendita ha davanti a sé ancora un lungo percorso. E questo è esattamente quanto è accaduto alla Grecia». Gli investitori, inoltre, sono spaventati dal fatto che un secondo salvataggio da parte della troika ridurrà lo status dei detentori privati a junior, situazione che implicherebbe perdite maggiori se Lisbona avrà bisogno di una ristrutturazione del debito.

Per Owen, «se la Bce non sarà preparata ad accettare un haircut sulle sue detenzioni di debito greco, questo implica il fatto che non lo farà nemmeno su quelle di debito portoghese. E questa è già prima preoccupazione dei mercati, oggi». E il Kiel Institute ha già calcolato che il Portogallo potrebbe aver bisogno di un haircut del 56% per riportare la nazione su un trend sostenibile, ma solo se la crescita di lungo termine sarà del 2%, mentre con una crescita al 4% il taglio obbligazionario sarà del 46%.

 

 

Gli esperti del Fmi hanno previsto che il debito pubblico portoghese toccherà il suo picco il prossimo anno, raggiungendo il 118% del Pil, ma il combinato di debito pubblico, corporate e privato è quasi al 360% del Pil, molto più alto di quello greco. E molte aziende lusitane stanno già lottando per riuscire a ottenere un roll over sul debito estero: ecco il tallone d’Achille di Lisbona, cui va unito un deficit di conto corrente dell’8% del Pil nel 2011. Insomma, il Portogallo ha appena dato il via a un disperato tentativo di svalutazione interna nel contesto dell’eurozona: la strada migliore per raggiungere a passi spediti Atene.

E che ci sia qualcosa che il mercato sta già prezzando, al di là del già contemplato default ellenico (ciò che potrebbe generare uno shock è la natura della bancarotta, ordinata o coercitiva), lo dimostrano gli andamenti dei mercati di venerdì scorso, un chiaro segnale di avversione al rischio nell’eurozona visto che per la prima volta dopo molto tempo i titoli azionari europei hanno dato vita a una divaricazione negativa dal mercato del credito, con l’euro quasi a 1,32 sul dollaro e i titoli finanziari a picco.

Non a caso, ieri, nonostante il Tesoro italiano avesse collocato tutti i due miliardi di Btp a dieci anni con rendimenti in calo al 6,08% dal 6,98% dell’ultima analoga asta di dicembre e i 3,57 miliardi di euro di titoli a cinque anni al 5,39% contro il precedente 6,47%, lo spread è tornato a correre prendendo 30 punti base in due ore e le Borse europee erano tutte negative. L’Europa come insieme è in modalità risk-off, ringraziate frau Merkel e i suoi sodali. Inoltre, sempre sul finire della scorsa settimana si è registrato un altro crollo, quello del prezzo di offerta dei cds greci legati a bonds, chiaro segnale della disperazione con cui alcune banche stanno cercando di scaricare i GGB Basis che hanno in portafoglio.

Insomma, ieri a Bruxelles si parlava di Grecia quando il mercato già trattava il default portoghese: sempre in ritardo di un giro, sempre asincrona questa Europa.





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