FINANZA/ Ecco il taglio che aumenta i redditi degli italiani

- Mauro Artibani

La produttività in Italia è al palo da 20 anni e se non ci sarà un cambiamento nell’allocazione dei prodotti, spiega MAURO ARTIBANI, le cose andranno sempre peggio

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Se nelle imprese l’utile remunera l’impegno per la gestione dei fattori della produzione, il profitto remunera il rischio dello stare sul mercato. Ogni impresa, insomma, gestendo al meglio quei fattori, fa utili; monetizzando quel rischio fa profitti.

La produttività in Italia è però ferma da vent’anni. Nel periodo 1992-2011, quella totale dei fattori è aumentata a un tasso annuo dello 0,5%. Tale incremento, dice l’Istat, risulta da una crescita media dello 0,9% della produttività del lavoro e da una flessione dello 0,7% di quella del capitale. C’è, insomma, chi si è tenuto in tasca il malloppo (-0,7%) e chi ha pagato (+0,9%) il prezzo di un aumento, ancorché insufficiente, della produttività.

Et voilà: la gestione inadeguata dei fattori produttivi, messa in campo per contenere i costi, ha ridotto stipendi e salari riducendo la capacità della spesa necessaria ad acquistare il già prodotto, confezionando uno strutturale eccesso di offerta. Giustappunto quella sovraccapacità che, ad esempio, l’industria automobilistica conclama ed espone.

Un eccesso di offerta che sfiora il 40% e fa tremare intere economie. Neanche Gordio avrebbe potuto fare un nodo più intrigato. Per uscire dal guado occorre guardare i fatti e rifare i conti. La Fiat, per esempio, fa in casa l’auto. La progetta, ci mette motore e scocca che assembla insieme ad altro fatto da altri; quelli della filiera produttiva forniscono gomme, cerchioni, cristalli e tergicristalli; poi sedili, tappezzeria, tappetini, cruscotti, candele, luci, contachilometri, display vari, guarnizioni, batteria, lubrificanti, radio, antifurto e chissà quant’altro ancora.

Fatta l’auto, l’auto va: dal pubblicitario che la comunica, poi da quelli del marketing che la propongono, poi dal concessionario che la vende insieme alle finanziarie che la finanziano. Poi c’è l’autoscuola che istruisce chi guida, l’Aci che fornisce la patente, la agenzie il bollo, le assicurazioni l’assicurazione.

Dopo un po’ che l’auto va, incontri sulla tua strada galanti operatori: meccanici, gommisti, elettrauto, carburatoristi, carrozzieri, che si prodigano per rimediare ai guasti. Se fai da te: autoricambi, autolavaggio. C’è pure chi informa sulle “quattroruote”, chi scrive di sportauto. E ancora chi costruisce, mantiene e gestisce le infrastrutture che consentono di andare, stare, rifocillare: Anas, autostrade, stazioni di servizio, concessionarie della sosta.

Tanti eh! Tutti insieme appassionatamente stan lì per fare utili. Quella sovraccapacità aumenta il rischio? Si reclama pure il profitto. Già, ma quando quelli che stilano il Bilancio sociale dell’Inps rivelano come il potere d’acquisto delle famiglie sia calato del 3,8% – tra il 2008 e il 2011 – dicono pure come non ci sia più trippa per gatti; altro che profitti, ancor meno utili! Se con l’insufficiente produttività ha fatto cilecca la capacità competitiva delle imprese, W la competitività.

Giustappunto, riallocando la quota dei profitti per ridurre il prezzo delle auto si torna competitivi. Aumentando la redditività del reddito disponibile di chi acquista, si vende. Oplà, si riduce l’eccesso, si riduce pure il rischio, si rimpinguano gli utili. Torna attiva la gestione dei fattori della produzione: una partita di giro insomma.





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