GIGANOMICS/ Monti, Mps e la patrimoniale “francese” che tenta il Pd

- Gianni Gambarotta

Con l’approvazione europea dei Monti bond, Mps può rimettersi in sesto. Dalla Francia di Hollande arrivano messaggi sulla tassazione che dovrebbero far riflettere il Pd

Vignetta_181212R439 Vignetta di Claudio Cadei

Monti (Mario) dei Paschi. Ne avevano temi da discutere il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e il presidente del Consiglio uscente, Mario Monti. Il primo, a capo della gioiosa macchina da guerra che sta per conquistare Palazzo Chigi, ha il terrore che la discesa in campo del professore cambi tutto lo scenario e rimetta un bel segno interrogativo a quella vittoria elettorale che tutti i sondaggi danno per altamente probabile, se non addirittura scontata. Il secondo, che ha preso gusto a Palazzo Chigi, vuole stare molto attento a non bruciarsi, schierandosi apertamente, tutte le chances di andare al Quirinale, soluzione di ripiego ma di tutto rispetto. Dunque i loro colloqui di questi giorni sono stati politici, ma uno spazio è stato certamente trovato per parlare anche di finanza e di potere. E magari questo argomento, marginale rispetto all’attualità del Palazzo, avrà costituito anche una inconfessata merce di scambio.

Proprio ieri la Commissione europea ha dato il via libera all’emissione dei cosiddetti Monti bond, cioè all’emissione di titoli per 3,9 miliardi di euro per ricapitalizzare il Monte dei Paschi di Siena e senza i quali la banca presieduta da Alessandro Profumo potrebbe essere dichiarata di fatto fallita. Questi bond vanno a sostituire e rimpinguare i precedenti Tremonti bond (1,9 miliardi) e potranno essere emessi, come ha sentenziato la Commissione, a patto che i vertici dell’istituto toscano presentino, entro sei mesi, un piano industriale di ristrutturazione e di rilancio credibile. Dunque adesso tutto è nelle mani dello stesso Profumo e del suo direttore generale, Fabrizio Viola, che hanno appunto sei mesi di tempo per rimettere in piedi la banca. Nessuno sa poi dire che ne sarà di Rocca Salimbeni in un futuro più remoto, dopo che l’operazione salvataggio (se davvero andrà in porto) sarà stata ultimata. Mps potrà riprendere a camminare da sola? Dovrà aggregarsi con qualche altro istituto perché comunque troppo fragile per difendere la propria secolare indipendenza? Finirà nelle mani di un ricco gruppo straniero, come succede spesso in Italia (vedi il caso della Bnl finita ai francesi di Bnp Paribas)?

Vedremo. Certo che questa scelta dei Monti bond, da qualsiasi parte la si voglia prendere, è un salvataggio di Stato e, di fatto, una nazionalizzazione almeno temporanea della terza banca italiana. Forse non si poteva fare diversamente. Lasciare fallire un istituto di credito, come chiedevano e ancora chiedono alcuni, è davvero molto, molto pericoloso. Lo abbiamo visto nel 2008, quando il sistema finanziario e la politica Usa non intervennero per la Lehman Brothers: fu l’inizio della grande crisi ancora oggi non superata che ha costretto il governo americano a salvare la gran parte delle sue banche, spendendo una cifra immensamente più alta di quella che sarebbe servita per rattoppare i buchi della sola Lehman. Quindi anche l’Italia non aveva molte alternative: il default di una banca di primo piano come Mps avrebbe provocato un terremoto potenzialmente fatale per un Paese già in affanno per ragioni politiche e finanziarie. Monti ha fatto bene ad agire come ha agito, perché non aveva alternative sensate.

Sarebbe importante che ora il Paese ripercorresse tutta la vicenda Mps e ricostruisse le cause che hanno portato una florida banca a dover chiedere l’aiuto statale per evitare il fallimento. I 3,9 miliardi di bond non vengono dal cielo, ma dalle casse pubbliche, dai contribuenti che devono pagare Irpef, Imu, Tarsu e tutti i giorni sentono annunci di ulteriori, imminenti aggravi fiscali. I signori che per decenni hanno governato a Siena saranno chiamati a rendere conto di quanto hanno fatto oppure tutto finirà a tarallucci e vino come nella più consolidata, italica tradizione? I primi segnali non sono incoraggianti, come dimostra il caso di Giuseppe Mussari. Questo brillante professore che per anni ha versato 100 mila euro alle casse del Pd senese, nel 2001 è diventato presidente della Fondazione che controlla Mps, e dal 2006 e fino al giugno scorso è stato presidente dell’istituto. Quindi tutto quanto è successo a Rocca Salimbeni in quel decennio, ha in qualche modo il suo marchio o, se si vuole, le sue impronte digitali. Tanto che la magistratura lo ha messo sotto indagine. Per la casta dei banchieri, invece, tutto quello che ha fatto è positivo ed encomiabile e merita un premio. Mussari lo ha avuto, visto che è stato nominato presidente dell’Abi. Evidentemente un gesto di solidarietà della casta dei banchieri verso un compagno che ha sbagliato. Ma, alla luce di quanto è successo e del costo del salvataggio di quella che fu la sua banca, non potrebbe Mussari, per decenza, dimettersi dall’Abi?

 

Messaggio dalla Francia. François Hollande prosegue nella sua guerra ideologica ai ricchi come testimonia la clamorosa protesta di Gérard Dépardieu emigrato in Belgio per sfuggire la supertassa del 75% sui redditi superiori al milione di euro. Ma c’è un’altra risposta al rigore dell’inquilino dell’Eliseo meno eclatante, ma più pericolosa: i francesi stanno esportando massicciamente capitali all’estero. Un’indicazione interessante per Bersani e i suoi che parlano sempre più spesso dell’opportunità di introdurre “una bella patrimoniale”. Il Tesoro italiano deve collocare ogni anno titoli per oltre 420 miliardi di euro per rinnovare il suo debito. Non può permettersi fughe di capitali.

 

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