IL CASO/ Borghi (Confcommercio): così Monti svende alla Cina le nostre imprese

- int. Renato Borghi

Per RENATO BORGHI, “la prospettiva di ottenere nuovi investimenti cinesi non mi entusiasma affatto. Contraffazione, abusivismo e illegalità sono le caratteristiche distintive della Cina”

Cina_BandieroneR400 Foto Infophoto

L’interscambio tra l’Italia e la Cina vale oggi poco meno di 40 miliardi di euro l’anno, pari a circa il 60% del commercio con l’Asia da parte del nostro Paese. Secondo quanto dichiarato dal presidente Hu Jintao nel corso del suo recente colloquio con Monti, questa cifra potrebbe aumentare nei prossimi mesi. Durante l’ultimo viaggio del premier italiano in Estremo Oriente, il leader del Celeste Impero ha promesso che “incoraggerà” gli investimenti cinesi in Italia, sia istituzionali sia privati. Per Renato Borghi, vicepresidente nazionale di Confcommercio e presidente di Federazione Moda Italia, “la prospettiva di ottenere nuovi investimenti da parte di un Paese come la Cina non mi entusiasma affatto. Contraffazione, abusivismo e un elevato tasso di illegalità sono le caratteristiche distintive della cultura economica cinese”. Per Borghi inoltre il premier Monti in quanto rappresentante istituzionale di un Paese “con una tradizione democratica e una profonda cultura cattolica come l’Italia, nell’incontrarsi con Hu Jintao avrebbe dovuto ricordarsi che la Cina è un regime che soffoca sistematicamente le libertà dei suoi cittadini”.

Borghi, gli investimenti cinesi saranno in grado di risollevare l’economia italiana?

Il presidente Hu Jintao, in presenza del premier Mario Monti, non avrebbe certamente potuto dire “Dell’Italia non ci importa nulla”. Andava quindi dato per scontato che in quelle circostanze avrebbe assunto un impegno di quel tipo. Tra l’altro l’anno scorso il primo ministro Wen Jiabao aveva assunto gli stessi impegni con Silvio Berlusconi. Fatta questa premessa, ben vengano gli investimenti e l’acquisizione da parte della Cina di una parte del debito pubblico italiano. Tutto bene quindi, ma solo fino a un certo punto.

A quali condizioni possono essere un’opportunità e non invece un problema?

Io avrei voluto che il premier Monti, oltre a nuovi investimenti, avesse chiesto che la Cina si impegni seriamente a controllare il fenomeno della contraffazione che è una piaga per il nostro Paese e per la nostra economia. Il 65% di tutte le spedizioni di merce taroccata sono cinesi. Contraffazione e abusivismo sono un furto per le imprese, un danno per lo Stato, un crimine per la società. E’ un mercato completamente fuori legge che va quindi contrastato in tutti i modi. Monti avrebbe dovuto dirlo apertamente al presidente cinese ottenendo da lui dei precisi impegni, che finora non ho visto scritti da nessuna parte.

La contraffazione è l’unico problema di natura economica che gli investimenti o gli immigrati cinesi possono portare in Italia?

E‘ inutile nasconderci, il problema dell’illegalità dell’impresa cinese in generale anche in Italia è sotto gli occhi di tutti: basti pensare ai laboratori clandestini e allo sfruttamento delle condizioni dei lavoratori. Quello che è riscontrabile è un elevato tasso di violazione delle leggi, dal punto di vista dei diritti dei lavoratori e dell’evasione di norme di vario tipo. Nel settore artigianale per esempio, mi domando se nessuno si sia mai chiesto come fanno i parrucchieri cinesi ad abbassare così tanto i prezzi. Il problema della contraffazione non è dunque l’unico problema, anche se è il più serio perché parliamo di miliardi di euro di evasione totale e di danni al mercato. Per non parlare del fatto che patiamo una concorrenza cinese dovuta a forti operazioni di dumping (cioè di esportazioni a prezzi ribassati artificiosamente, Ndr) sostenute dal governo di Pechino.

 

Ritiene che i colloqui tra Monti e Hu Jintao siano stati insoddisfacenti anche dal punto di vista più strettamente politico?

 

Non so se l’etica degli Stati e della politica esistano o siano un’utopia, ma la Cina è una nazione che soffoca la libertà della sua gente, devasta l’ambiente ai danni di tutto il mondo, nega i diritti ai lavoratori e sfrutta il lavoro minorile. Nessun governo nel mondo riceve ufficialmente i rappresentanti del Tibet per non scontentare Pechino. Ogni tanto occorrerebbe dunque compiere qualche riflessione di carattere morale anche sui rapporti commerciali con altri Paesi. Mi piacerebbe che uno Stato come l’Italia, che ha una forte tradizione democratica e una profonda cultura cattolica, in questi colloqui bilaterali internazionali parlasse anche di queste tematiche. Poiché sappiamo che a ottobre ci sarà una successione alla leadership del Partito Comunista Cinese, l’auspicio è che ci possa essere una maggiore apertura sui diritti individuali e civili delle persone.

 

Secondo lei Monti aveva la forza per porre delle condizioni a Hu Jintao?

Non è difficile capire quali siano i rapporti di forza in un colloquio tra il presidente della Cina, che negli ultimi 15 anni ha registrato lo sviluppo più rapido nel mondo, e un Paese in difficoltà come l’Italia. Tuttavia, si trattava pur sempre di un incontro tra un presidente e un primo ministro. L’Italia è una nazione in via di risanamento, come ha riconosciuto lo stesso Hu Jintao, da cui è venuto un plauso al rinnovo delle regole relative al mercato del lavoro in Italia. Questo mi fa sorridere, perché alla luce delle condizioni dei lavoratori in Cina c’è da chiedersi a che titolo il presidente di Pechino possa parlare delle norme di un Paese democratico come il nostro. Non è quindi questione di rapporti di forza, ma di essere convinti di essere portatori degli interessi di una nazione come l’Italia che ha un alto valore, una storia e una tradizione di democrazia e di cultura.

 

(Pietro Vernizzi)





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