SPY FINANZA/ I numeri della crisi che tutti vogliono nascondere

- Mauro Bottarelli

MAURO BOTTARELLI mette insieme diversi segnali, per lo più provenienti dalla Spagna, che sembrano smontare i segnali di ottimismo sulla fine della crisi, nonostante i proclami

MAURO BOTTARELLI mette insieme diversi segnali, per lo più provenienti dalla Spagna, che sembrano smontare i segnali di ottimismo sulla fine della crisi, nonostante i proclami

Guardate i grafici a fondo pagina. Ora, al netto del mio pessimismo conclamato, voi pensate che due ratio di quel genere possano sottendere una ripresa? Addirittura l’uscita già festeggiata dalla recessione? Io ne dubito. La Spagna semplicemente non può campare a lungo con fondamentali del genere. Nel mese di settembre il debito pubblico è cresciuto di 10,181 miliardi di euro rispetto al mese precedente, raggiungendo la cifra record di 954,863 miliardi di euro: siamo al 93,4% di ratio debito/Pil. Vista la struttura dell’economia spagnola, superata quota 100% ci sarà da ridere. O piangere, al netto dei costi annuale per il servizio degli interessi. Il governo ha come obiettivo di fine anno, già rivisto al rialzo, il 94,2%: di questo passo c’è poco da sperare che la previsione sia rispettata. Tanto più che lo stesso ministro delle Finanze, Cristobal Montoro, ha parlato di «preoccupazioni per la velocità della crescita del debito».

Guardate ora il secondo grafico: mette in comparazione il debito totale spagnolo con lo spread tra Bonos iberici e Bund tedeschi. Vi pare normale che a fronte di una crescita record del debito, il differenziale di rendimento continui a scendere oppure resti placido come un lago alpino? A me no. Tanto più che il governo spagnolo ha già annunciato un’iniezione di 26 miliardi di euro, sottoforma di credito d’imposta, per il sistema bancario, al fine di migliorare le ratio Core Tier 1 e passare indenni la supervisione Bce e gli stress test del prossimo anno: al netto dei trucchi contabili, di cui gli spagnoli si sono dimostrati maestri, quei soldi sono garanzie statali di fatto, quindi vanno conteggiati nel debito governativo totale. E se anche il ministero troverà qualche colpo di genio in stile Parmalat, chi investe lo sa, non si fa abbindolare dalle cifre ufficiali.

Cosa penso è noto e ne ho parlato la scorsa settimana: lo spread resta fermo per due motivi, la tregua sui mercati garantita e perpetuata la scorsa settimana dalla Fed e la volontà tedesca di liberarsi del fardello periferico che giace nei bilanci di banche e assicurazioni senza dare nell’occhio. Ovvero, piano piano ma fin quando ci sono frotte di compratori entusiasti e al prezzo massimo. Occorre la tanto declamata stabilità per compiere certe operazioni, serve tranquillità e poco rumore. E i picchi dello spread di rumore ne fanno troppo, mentre i numeri del debito spagnolo, se debitamente nascosti, fanno allarmare solo quelli come me. Come vi ho detto la scorsa settimana – e confermo oggi, anzi ci metto il carico da novanta – la Germania ha un unico interesse: tutelare le proprie banche e società assicuratrici dall’ipotesi di unione bancaria e supervisione unica, ovvero deve tenere occhi indiscreti fuori dai bilanci dei polmoni finanziari della sua economia in surplus.

E di unione bancaria si sta parlando molto in sede europea, nonostante il silenzio totale dei media. E, oramai, sembra dato per assodato il modello cipriota ovvero, fino a 100mila euro i depositi saranno protetti in Europa, oltre tale soglia i conti correnti possono essere coinvolti nei fallimenti bancari. Dunque, obbligazionisti e correntisti di fatto partecipano in parte al rischio di impresa della banca. «Il salvataggio di Cipro è il primo caso in Europa di un debito con prelazione, nonché di un bail-in non garantito dei depositanti. Nonostante la sua unicità, dovuta sia alla peculiarità del suo sistema bancario sia alle implicazioni politiche intrinseche alla soluzione di salvataggio attuata, il bail-in di Cipro ha sensibilizzato gli investitori sull’implementazione dei regimi di risoluzione», dicono Christina Schmid ed Elena Guglielmin, analiste di Credit Suisse private banking. Direte voi, ma quanti sono a tenere 100mila euro sul conto? E se anche sono tanti, è comunque gente che sta bene e quindi paghi per risanare la banca.

Ora, al netto dell’intangibilità della proprietà privata che dovrebbe vigere in ogni regime liberale, due sono le osservazioni. Primo, non solo i controlli di capitale che dovevano essere tolti dopo poche settimane sono ancora in vigore oggi (ovvero limitazioni sull’uso del “vostro” denaro da parte dello Stato su indicazione della troika), ma soprattutto prima l’haircut e poi il blocco dei conti correnti per le aziende stanno facendo crollare il dato del Pil cipriota, portando con sé – nei fatti – un peggioramento della ratio debito/Pil agendo sul denominatore. I settori dei real estate e dei servizi finanziari pesavano per il 30% dell’economia cipriota e, di fatto, il governo ha detto chiaro e tondo che non sono più calcolabili come fonte di entrata, essendo stati distrutti dal combinato di tagli, controllo del capitale, congelamento dei conti e innalzamento delle tasse. Detto fatto, nel secondo trimestre di quest’anno l’economia cipriota si è contratta del 5,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, otto cali trimestrali di fila e il peggior dato da metà anni Settanta.

Secondo, siamo proprio sicuri che in caso di comprovata emergenza, vedi paesi con debito molto alto il cui stock va abbassando con una cura da cavallo una tantum, quella soglia dei 100mila euro non possa diventare di 70mila? O 60mila? Ricordate che, seppur chiuso in un box piccolo piccolo, il Fondo monetario ha detto che per paesi indebitati come l’Italia esiste l’extrema ratio di una patrimoniale secca del 10% su tutti i conti correnti. E nessuno ha smentito, si sono limitati soltanto a minimizzare: come per il crollo Lehman, la crisi greca, quella irlandese, portoghese, spagnola, cipriota e via negando e poi fallendo. Quindi, fossi il direttore di un grande giornale o telegiornale, varerei da subito una rubrica fissa quotidiana sullo stato di avanzamento dei lavori sul tema dell’unione bancaria. Ma questo non accadrà, almeno in Italia: quando mai un direttore andrà contro gli interessi di uno dei suoi principali azionisti?

Il problema è questo: andrebbe vietata la partecipazione azionaria di banche, finanziarie e società assicuratrici nei cda e nei patti di sindacato delle società editoriali. Allora, forse, avremo dell’informazione finanziaria seria che non scriverà dei crolli quando questi sono già avvenuti, ma vi informerà del fatto che stanno per avvenire o c’è il rischio che avvengano. Ma anche questo non succederà mai. Quindi, conviene guardare con molta attenzione alle mosse tedesche in sede europea sulla questione bancaria: sia per eventuali rischi che derivino da ricapitalizzazioni, sia per capire quanto dobbiamo temere la vendetta di Berlino in caso non si arrivi al congelamento della supervisione unica da parte della Bce. Se occhi indiscreti potranno guardare i conti di Deutsche Bank e Commerzbank, la reazione per evitarlo da parte della Germania sarà senza precedenti. E, attenzione, in prima linea ci siamo noi e la Spagna per il ruolo di attore protagonista.

Dite che la mia è un’ossessione? Bene, guardate quest’ultimo grafico a fondo pagina, fresco fresco. Mette in comparazione le sofferenze bancarie spagnole con lo spread tra Bonos e Bund: bene, sapete a che quota sono arrivate le sofferenze del sistema bancario iberico in settembre? Qualcosa come 187,8 miliardi di euro, pari al 12,68% di tutti i prestiti in essere, un livello mai raggiunto, il record assoluto. E lo spread? In area 250, il livello più basso da 29 mesi a questa parte. Vi sembra normale un mondo così? A me no e quindi so che tutto quanto sta accadendo è strumentale a qualcosa, a un disegno più grande e articolato che si disvelerà a tempo debito e, temo per noi, a cose fatte.

D’altronde, siamo in un mondo di economie reali in recessione perenne che ieri ha visto l’indice S&P’s a quota record 1800, il Dow Jones a quota record 16mila, il nostro Ftse Mib di nuovo a 19mila e l’Ibex di Madrid a oltre 9800, pronto a sfondare la quota psicologica dei 10mila punti. In compenso, da oltre una settimana la capitale spagnola è invasa dai rifiuti come Napoli durante l’emergenza sotto il governo Berlusconi, gli spazzini sono in sciopero da nove giorni contro il governo e le sue misure economiche: leggete qualcosa al riguardo? Vedete qualcosa al riguardo? No, leggerete della fine della crisi quando l’Ibex avrà sfondato quota 10mila punti.

Vi stanno prendendo in giro, rendetevene conto una volta per tutte. È una recita a soggetto. Destinata a finire davvero male.

 







© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori

Ultime notizie

Ultime notizie