FINANZA/ 1. La bolla “spazzatura” che fa la gioia dei banchieri

- Mauro Bottarelli

Cresce sui mercati la vendita di debito ad alto rendimento, che può rivelarsi fatale, almeno per gli investitori, ma che giova comunque a qualcuno. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

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Ci voleva proprio una nuova bolla in espansione, tanto per non farci mancare niente. Il problema è che questa sta gonfiandosi a dismisura e nessuno sembra accorgersene o dare il giusto risalto alle conseguenze che può portare con sé: il frutto avvelenato delle politiche espansive delle banche centrali potrebbe presto chiederci il conto. La vendita di debito ad alto rendimento, quelli che fino all’altro giorno venivano chiamati con schifo “junk bonds”, è infatti letteralmente schizzata alle stelle quest’anno. Solo nel mese di gennaio, aziende asiatiche con rating di credito “non investment” hanno venduto oltre 9 miliardi di obbligazioni ad alto rendimento, un aumento anno su anno del 6000%, stando a dati forniti da Dealogic. Ma anche l’Europa sta raggiungendo livelli record, con 30 miliardi di bonds ad alto rischio venduti dall’inizio dell’anno. Insomma, immondizia a go-go nella speranza di far quattrini facili e veloci in tempo di crisi.

In larga parte, l’esplosione della domanda per questo tipo di prodotti è la diretta conseguenza delle risposte fornite dai governi occidentali alla crisi: dal crollo di Lehman Brothers sono stati infatti pompati nel sistema finanziario 12 triliardi di dollari da parte delle banche centrali, nel tentativo di tenere in piedi il sistema bancario e mantenere bassi i tassi d’interesse. Ovviamente, questa politica si è tradotta in rendimenti bassissimi dei titoli sovrani e inflazione crescente, portando così anche investitori normalmente prudenti su lidi rischiosi alla ricerca di yield più alti per preservare il capitale e garantirsi un profitto.

Ad accendere una luce su questo fenomeno ci ha pensato l’ufficio studi e ricerca di Standard&Poor’s, S&P Capital IQ, attraverso un report dal titolo molto chiaro: “Bonds corporate ad alto rendimento: un rischio che vale ancora la pena correre?”. Il quadro è netto e allarmante: nonostante i modelli di rischio mostrino come le probabilità di default di molte aziende ad alto rendimento siano raddoppiate negli ultimi 12 mesi arrivando al 33%, i rendimenti nello stesso periodo si sono dimezzati proprio per il continuo afflusso di denaro nel comparto. Ma non basta. Si scorgono sui mercati anche chiari segnali di utilizzo spropositato della leva, visto che investitori e fondi prendono a prestito denaro per super-caricare i profitti che puntano a fare attraverso la detenzione di obbligazioni ad alto rendimento.

Soprattutto in Asia questa pratica è molto diffusa, visto che le banche locali stanno lanciandosi in una lotta senza quartiere contro quelle internazionali per accaparrarsi una fetta della base di investitori privati dell’area, sempre più ricchi e sempre più propensi al rischio. Insomma, le banche europee vendono immondizia cartacea come se non ci fosse un domani e le loro concorrenti asiatiche puntano a fare lo stesso, se non di più. Basti pensare a quanto fatto da Barclays, che lo scorso novembre ha venduto un CoCo (Contingent convertible bond) decennale da 3 miliardi di dollari, con domanda che ha coperto per cinque volte l’offerta del debito. E questo nonostante il contratto contenga una clausola in base alla quale se i livelli di capitale della banca scendessero sotto un livello predeterminato, l’intero investimento sarebbe perso.

A spiegare meglio la follia che sottende questa operazione ci ha pensato Christine Johnson, manager presso il fondo obbligazionario corporate Old Mutual: «In parole povere, investire in questo bond è come partecipare a una lotteria al contrario, con qualcuno che ti dà una sterlina ogni settimana e di colpo salta fuori, chiedendo indietro milioni». E chi è cascato nel trappolone? Essenzialmente banche private asiatiche, ingolosite dalla prospettiva di avere in portafoglio un bond a dieci anni di una banca britannica che paga il 7,625% di coupon! Un manager di portafoglio obbligazionario ha spiegato così al Telegraph quanto sta accadendo: «Gli asiatici comprano qualsiasi cosa abbia un rendimento dell’8% perché pensano che porti fortuna. Bisogna capire che laggiù si va oltre la mentalità dell’azzardo, si tratta di una questione di diversità mentale totale».

Per ora, però, nessun governo o autorità di vigilanza sembra preoccuparsi. D’altronde, il denaro imprudente dei ricchi investitori asiatici sta facendo ciò che altrimenti dovrebbero fare gli Stati, ovvero aiutare le banche a colmare le necessità di capitale. Il problema è che qui non stiamo parlando solo di speculatori, ma anche di investitori istituzionali come fondi pensione e grosse assicurazioni, le quali hanno liabilities fisse che necessitano di certi risultati di investimento per essere pareggiate. Fino a poco tempo fa, per generare un profitto simile bastava un emittente con rating BBB, ora bisogna sporcarsi le mani con soggetti BB o con rating anche più basso. E questa guerra senza quartier, sta facendo la fortuna degli esperti nel settore.

La scorsa settimana, Rbs – banca inglese nazionalizzata – ha soffiato a Ubs il suo ex responsabile Usa per il debito ad alto rendimento: come molti altri istituti, anche Rbs sta facendo milioni e milioni vendendo bonds ad alto rischio agli investitori, peccato lo faccia con i soldi del governo britannico che l’ha salvata dal fallimento. E come sia finita l’ultima volta che Rbs si è infilata in questo gioco lo sappiamo tutti. Non è un caso che un istituto serio e storico come Coutts, la banca privata usata dalla Regina Elisabetta, abbia inviato una comunicazione ai suoi investitori riguardo il potenziale collasso dei mercati ad alto rendimento. Il comitato per le strategie di investimento della banca, infatti, teme che alcuni dei suoi facoltosi clienti asiatici abbiano preso a prestito denaro per aumentare le proprie posizioni e quindi i profitti da investimenti ad alto rendimento. Molto perplesso anche Brian Reynolds, capo analista alla Rosenblatt Securities, a detta del quale «questo è un boom del credito e i boom del credito finiscono sempre male. Siamo a pochi giorni dal primo aprile e mi pare che per molti investitori gli ultimi quattro anni siano stati solo un grande pesce d’aprile».

E nonostante la Banca per i regolamenti internazionali abbia messo tutti in guardia, facendo notare come i prezzi per il reddito fisso abbiano raggiunto livelli inusualmente alti che non riflettono l’indebolimento dell’economia globale, Goldman Sachs sta lanciando proprio in questi giorni un’unità ad hoc per questo comparto. E con una domanda sempre crescente, le aziende stanno scapicollandosi per emettere sempre nuova carta da parati, portando a un aumento dei volumi che lo scorso mese di marzo – stando a dati della Lcd – ha visto il mercato primario Usa ad alto rendimento schizzare a 34,9 miliardi di dollari, livello più alto dell’anno e l’output più consistente da ottobre. E al netto di quanto farà la Fed rispetto alla propria politica fiscale, gli esperti sono certi che l’ingegneria finanziaria continuerà a produrre sempre nuovi strumenti di investimento sul fisso ad high-yield. E Coutts punta il dito proprio contro i CoCo che tanto eccitano Barclays, bonds che permettono sì alle banche di rastrellare capitale senza diluire gli azionisti esistenti, convertendo in azioni se il prezzo sale troppo velocemente ma che – come già detto – se il livello di capitale scende sotto un certo limite, boom! E con le banche ancora così sottocapitalizzate, i rischi sono davvero alti.

Bill Blain, broker per il reddito fisso alla Mint Partner, spiega: «Sospettavamo da molto che il recente volume raggiunto dai CoCo sia stato targetizzato su investitori di tipo retail, sedotti da alti rendimenti. Chissà perché, infatti, banche, detentori di debito senior e investitori core equity amano tanto i CoCo ma non li comprano». E le emissioni e vendite di questi prodotti sono talmente frequenti e sempre più continue da spiazzare gli stessi analisti delle società di rating, i quali non riescono ad analizzarle tutte: «Sembra di essere tornati al 2007», ha confidato a Bloomberg un operatore della City.

Eh già, grande anno: peccato cosa sia successo da quello successivo in poi. Anche perché gli investimenti ad alto rendimento sono mossi più da dinamiche di mercato che da rischio del credito: c’è enorme appetito e quindi molte banche prezzano facilmente emissioni con rating Caa sopra il 9%. Normalmente lo spread tra senior assicurato e non è di 300 punti base, ormai siamo arrivati a 200. Ma non pensiate che questa enorme roulette russa finanziaria sia limitata alle grandi banche d’affari o a facoltosi investitori asiatici. No, cari lettori, in Spagna ci hanno lasciato la ghirba anche alcuni malati di Alzheimer e addirittura un cliente che ha sottoscritto il contratto firmando con l’impronta di un dito passato nell’inchiostro.

No, non sono pazzo, è la sacrosanta verità che ci arriva dalla Spagna, dove le ristrutturazioni e fusioni bancarie gestite dal Frob (il Fondo ad hoc del governo) si sono tramutate in un incubo per migliaia di incauti investitori retail, i quali si sono fatti ingolosire da profitti stellari e si ritrovano con perdite che vanno dal 96% per gli azionisti al 36% per i detentori di debito subordinato al 61% per chi detiene azioni privilegiate. Eh sì, è stato questo il costo delle fusioni tra le varie casse di risparmio che hanno dato vita a nuovi soggetti bancari, i quali la scorsa settimana hanno presentato bilanci trimestrali con perdite miliardarie. Solo per Bankia, si tratta del denaro di 350mila piccoli investitori fregati dall’aumento da 3,1 miliardi del 2011 e che hanno perso tutto: la Procura di Madrid, infatti, ha aperto un’indagine. Ognuna di quelle persone aveva investito una media di 6mila euro, comprando titoli Bankia a 3,75 euro per azione: peccato che dopo un anno, Bankia abbia avuto bisogno di un salvataggio da 19 miliardi di euro e dopo 18 mesi presentasse un valore negativo superiore ai 4 miliardi. Oggi, quelle azioni vengono trattate a 15 centesimi, una perdita di valore del 96%! È andata meglio ai detentori di debito subordinato, colpiti da un haircut solo del 36%, mentre chi ha comprato azioni privilegiate di Catalunya Bank si ritrova con il 61% di capitale andato in fumo.

La giostra di banchieri senza scrupoli e avidi allocchi, prosegue. Avanti così, che andiamo bene.





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