SPY FINANZA/ Svezia, un allarme che fa tremare l’Italia

- Mauro Bottarelli

La Svezia è la prima nazione del Nord Europa a essere precipitata in una seria deflazione, con i prezzi al consumo calati dello 0,4% in marzo. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

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Da più parti, anche su queste pagine, si tende a ridimensionare il rischio deflattivo che sta correndo l’Europa, arrivando in alcuni casi a negarlo del tutto. Può essere, ma stante le ultime notizie arrivate dalla Svezia tenderei a essere molto cauto verso qualsiasi sottovalutazione. La Svezia, infatti, è la prima nazione del Nord Europa a essere precipitata in una seria deflazione, con i prezzi al consumo calati dello 0,4% in marzo, dato che ha colto le autorità di sorpresa e che ha spinto uno dei più famosi esperti mondiali di deflazione a chiedere un immediato intervento da parte della banca centrale al fine di evitare un trappola in stile giapponese. E questo esperto conosce molto bene il contesto svedese, visto che è Lars Svensson, ex vice-governatore proprio della Riksbank (oltre che ex professore all’università di Princeton), a detta del quale «questo scivolamento verso la deflazione è stato causato da una drammatica restrizione della politica monetaria negli ultimi quattro anni. Occorre tagliare i tassi dall’attuale 0,75% a -0,25% per svalutare la corona e la Banca centrale deve prepararsi a un Quantitative easing su larga scala».

Insomma, siamo di fronte a una trappola di liquidità in stile anni Trenta, con la deflazione che fa aumentare il carico di debito in termini reali e in un contesto dove il cittadino svedese ha un debito pari al 170% del reddito disponibile, il dato più alto in Europa. Ma anche gli ultimi dati Eurostat non devono farci stare tranquilli, visto che nel mese di marzo la deflazione ha colpito Bulgaria (-2%), Grecia (-1,5%), Cipro (-0,9%), Portogallo (-0,4%), Spagna e Slovacchia (-0,2%) e infine la Croazia (-0,1%), come mostra il grafico a fondo pagina. Inoltre, l’Olanda resta in positivo solo per un frazionale 0,1%, situazione che sta già propagando effetti deflattivi verso i cittadini costretti a fare i conti con prestiti pari al 250% del reddito disponibile, con il prezzo degli immobili calato di un quinto e con un quarto di tutti i mutui in equity negativa.

Il tasso di inflazione nell’eurozona a marzo è sceso allo 0,5%, ben al di sotto dell’obiettivo del 2% prefissato dalla Bce, un tasso che per alcuni analisti è già oggi allo 0,3% una volta scontato l’aumento dell’Iva nei vari paesi: il “deflationary vulnerability indicator” della Royal Bank of Scotland è salito all’80% per la Spagna, al 64% per l’Irlanda, al 55% per l’Olanda e al 52% per il Portogallo. Per Peter Schaffrik di Rbc l’inflazione nell’eurozona probabilmente rimbalzerà in aprile, visto che il periodo pasquale solitamente produce distorsione al rialzo dei dati, ma sottolinea come ci sia una potente dinamica che sta ancorando l’Europa.

Tornando al conclamato caso svedese, la stessa Riksbank ha ammesso nel suo ultimo report monetario che qualcosa di inaspettato è andato storto, forse legato all’impulso deflazionario a livello globale: «La bassa inflazione non è stata spiegata completamente dalle normali correlazioni tra sviluppi dalle aziende, prezzi e costi da un po’ di tempo ormai. La aziende hanno avuto difficoltà a trasmettere ai consumatori l’aumento dei loro costi e questo perché, di converso, la domanda interna è più debole del normale». Insomma, la Banca centrale più antica del mondo e le cui ricette furono fonte di ispirazione per le teorie di John Maynard Keynes in persona, ora deve fare i conti con uno sviluppo inaspettato che sembrerebbe frutto della scelta da “falco” di contrarre il credito per evitare la creazione di bolle sugli assets (vedi il prezzo degli immobili o il credito al consumo).

Insomma, riuscirà la Riksbank a ripetere il miracolo compiuto durante la Grande depressione, quando un’azione reflazionaria molto anticipata riuscì a evitare al Paese i danni più gravi patiti dagli altri? Vedremo come reagirà, in compenso nell’eurozona il dibattito al riguardo sta assumendo toni sempre più sgradevoli: Jurgen Stark, ex capo economista della Bce e falco rigorista, ha accusato il Fondo monetario internazionale di gridare “al lupo, al lupo” con la sua richiesta di Qe: «Avvertimenti riguardo la deflazione e richieste alla Bce perché agisca sono irresponsabili e mal poste». Peccato che la famosa percentuale del 20% fissata dal Fmi come rischio per l’eurozona di finire in deflazione sia già salita al 30% e che comunque sia, come vi ho già detto tempo fa, non serve la deflazione conclamata, basta la “lowflation”, ovvero un periodo prolungato di tempo con il tasso di inflazione attorno allo 0,5% – quello attuale – per creare enormi danni alla competitività e alla sostenibilità dei debiti di paesi come Italia e Spagna.

I prezzi in calo, infatti, fanno salire i tassi di interesse reali per aziende e famiglie, una ratio che fa crescere il carico di debito e il rischio della necessità di una ristrutturazione dello stesso, con l’andare del tempo e senza reazioni a livello monetario. E lo sbocco di una tale situazione potrebbe essere un circolo vizioso che una volta innescato sarebbe molto difficile da bloccare per la Bce e l’esperienza giapponese degli ultimi vent’anni ci dice quanto questo scenario possa essere doloroso. Staremo a vedere gli sviluppi, ma mi pare che chi in questi giorni neghi il rischio deflattivo stia solo perpetuando un rischioso gioco a somma zero.





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