SPY FINANZA/ L’Ue “aiuta” le banche (ma non in Italia)

- Mauro Bottarelli

Ieri Mario Draghi ha parlato al Parlamento europeo. Per MAURO BOTTARELLI il Presidente della Bce dovrebbe rispondere a una domanda che riguarda il sistema bancario italiano

draghi_lenti_ppianoR400 Mario Draghi (Infophoto)

La giornata che vedeva Mario Draghi impegnato in un atteso discorso di fronte alla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo non era iniziata nel migliore dei modi per l’ex banchiere di Goldman Sachs, visto che quando mancavano due ore al suo intervento Bundesbank tagliava nettamente le stime sull’inflazione in Germania per quest’anno e il prossimo a causa del crollo del prezzo del petrolio. Nel suo bollettino economico, la Buba prevede infatti ora un tasso d’inflazione dello 0,25% contro l’1,1% stimato a dicembre, mentre per l’anno prossimo la stima è tagliata all’1,75% dal 2%. Insomma, certificazione netta che il Qe non sta servendo a nulla (o, almeno, è totalmente inefficace nel perseguire il suo obiettivo primario), ma anche un assist allo stesso Draghi per maggiore operatività in vista della riunione del Consiglio direttivo del prossimo 10 marzo. 

E cosa ha detto Draghi? Le solite balle. Per il numero uno dell’Eurotower «la ripresa prosegue a passo moderato, sostenuta soprattutto dalle nostre misure di politica monetaria e dall’impatto favorevole sulle condizioni finanziare e dai prezzi dell’energia. Gli investimenti restano deboli, e il settore delle costruzioni finora non si è ripreso». Ma, come al solito, Draghi ha affermato che la Bce «è pronta a fare la sua parte e come annunciato esaminerà la possibilità di agire a inizio marzo». Dopodiché è arrivata la parte più interessante, ovvero quella dedicata alle banche: «La caduta dei titoli bancari è stata amplificata dalla percezione che le banche potrebbero dover fare di più aggiustare i loro modelli di business a un ambiente di bassa crescita e bassi interessi, e al rafforzato quadro regolatorio messo in piedi dall’inizio della crisi. Bisogna riconoscere che le regole hanno messo le basi per un aumento della resilienza per tutto il settore finanziario». 

Draghi ha poi precisato che «i governatori delle Banche centrali e i capi della supervisione hanno indicato che sono impegnati a non aumentare significativamente i requisiti generali di capitale per il settore bancario. Le banche hanno messo in piedi buffers di capitale più elevati e di migliore qualità, hanno ridotto l’effetto leva e migliorato i loro profili di finanziamento», mentre le regole del bail-in «sono un cambiamento notevole, ma per il meglio, perché così i soldi dei contribuenti non saranno utilizzati come accaduto nella crisi». 

E qui casca l’asino, perché proprio ieri mattina, prima che Mario Draghi prendesse la parola, l’agenzia di stampa Reuters rendeva noto che il Governo italiano e la Bce stavano discutendo dell’ipotesi che la stessa Eurotower comprasse crediti deteriorati degli istituti di credito italiani all’interno del Qe e che, oltretutto, potesse accettare quelle sofferenze come collaterale per ottenere cash dalla Bce. La quale, ovviamente, ha rifiutato di commentare l’indiscrezione. Ma come, la bad bank no perché c’è il rischio di aiuto di Stato e poi la Bce si compra direttamente assets con questo livello di rischio all’interno del programma di stimolo? Cosa dirà la Germania? Nulla, ovviamente e sapete perché? Perché Deutsche Bank ha lanciato l’offerta per il riacquisto di bond per un valore totale di 5,4 miliardi di euro del suo debito per rassicurare i mercati ed essendo l’azionista di maggioranza lo Stato, cui tocca il maggior costo per l’operazione che per la Germania è legale, ecco un’altra anomalia di questa Europa dalle mille deroghe. Nonostante perdite massicce, causa legali per possibile manipolazione e truffa, un nozionale di derivati che è venti volte il Pil tedesco, il gigante teutonico ha potuto riprendere fiato grazie all’intervento statale. E l’Ue? Zitta, va benissimo così. Ma non basta, perché le anomalie crescono sempre di più. 

C’è infatti un’altra Europa, un’Europa da tempo bollata come fascista a causa delle scelte del suo esecutivo e, soprattutto, del suo primo ministro, quel Viktor Orban dipinto come il male assoluto fin dalla sua elezione. Bene, prima di raccontarvi cos’è successo lo scorso 10 febbraio, occorre mettere in prospettiva le cose. Il braccio di ferro più duro tra Ungheria e Ue è quello riguardante la libertà di informazione, ma soprattutto la riforma della Banca centrale, di fatto rinazionalizzata con poteri ipertrofici – a detta di Bruxelles – del premier rispetto al governatore e al board. Due anni di accuse e veti incrociati, fino a quando nella primavera dello scorso anno una versione più edulcorata della riforma riuscì ad ammansire Barroso e a far abbassare i toni tra le autorità in campo. 

Nel frattempo, però, cos’è successo? Il nazionalismo esasperato di Orban, dopo un ciclo politico dichiaratamente liberista, ha devastato l’economia? No e lo certificano le parole di un protagonista. «Siamo stati molto criticati in Europa perché abbiamo dovuto fare riforme radicali per cambiare il Paese. Ma i risultati che abbiamo raggiunto ci danno ragione: nel 2010 stavamo peggio della Grecia oggi la crescita è solida con il Pil in aumento del 3%, la disoccupazione dimezzata al 6,5%, il deficit sotto controllo», ha dichiarato a Il Sole 24 Ore Peter Szijjarto, ministro ungherese degli Esteri e del Commercio estero. «E siamo sempre più aperti verso i mercati internazionali: le nostre esportazioni valgono il 91% del Pil, abbiamo raggiunto uno stock di investimenti dall’estero superiore a 80 miliardi di dollari», ha concluso. Inoltre, nelle turbolenze che hanno coinvolto i Paesi emergenti negli ultimi mesi, il fiorino ha tenuto bene, meglio dello zloty polacco, ai margini dell’euro, mentre proprio la Banca centrale al centro delle dispute è impegnata a ridurre la vulnerabilità di un’economia che ha un debito verso l’estero pari al 116% del Pil. 

Insomma, diciamo che non siamo di fronte a un’apocalisse. Quindi, per l’ennesima volta, la Commissione Ue ha gridato “al lupo, al lupo” solo in ossequio al politically correct più verminoso: in Ungheria non c’è affatto il fascismo. E a dimostrarlo c’è proprio quanto accaduto lo scorso 10 febbraio: cosa è successo? Un qualcosa che i grandi giornali non vi hanno raccontato e il perché è presto detto: mentre l’Italia è alle prese con le conseguenze del bail-in ed è costretta dall’Ue a una versione annacquata e inefficace della bad bank per risolvere il nodo delle sofferenze bancarie (200 miliardi con fantasiosi accantonamenti che dovrebbero portarli a 80), la Banca centrale ungherese comincerà a comprare proprio i non performing loans commerciali dalle proprie banche al fine di aumentare il credito, il tutto con il via libera proprio dell’Ue. Il Mark, ovvero l’asset manager della Banca centrale, condurrà l’operazione a prezzo di mercato per i prossimi 15 mesi e il programma è finalizzato ha implementare la fornitura di credito a imprese e famiglie proprio in vista del rallentamento economico atteso nei prossimi mesi per le condizioni macro a livello globale. L’asset manager, che darà il via alle operazioni con un capitale iniziale di 300 miliardi di fiorini (circa 1,1 miliardi di dollari), gestirà e venderà gli assets relativi a real estate commerciale per un periodo superiore ai dieci anni. 

Per uno dei direttori dell’autorità monetaria, Gergely Fabian, «il piano sarà efficiente nel ripulire interi portafogli bancari in un breve periodo di tempo». Tutte le istituzioni finanziarie del Paese saranno invitate a prendere parte al programma su base volontaria e il Mark farà offerte vincolanti per interi portafogli e non per assets individuali. E come mai la solerte Ue non ha nulla da dire? Non è aiuto di Stato? No, perché a Banca centrale si assume un rischio, ma a fronte di un’equa compensazione, stando al comunicato emesso sei giorni fa dalla Commissione Ue. I prestiti legati a real estate commerciali finiti in sofferenza ed eligibili per l’acquisto hanno un controvalore di circa 500 miliardi di fiorini, ha confermato il vice-governatore della Banca centrale, Marton Nagy. Le condizioni definitive del programma saranno rese note a giorni e l’operazione entrerà nel vivo con un periodo di tre mesi per la registrazione del partecipanti a partire dagli inizi di marzo. Insomma, in Ungheria – come in Germania – lo Stato può intervenire in sostegno delle banche per facilitare il credito verso imprese e famiglie. In Europa ci sono i mitologicimasters and servants

E l’Italia? Al netto del pasticciaccio di Banca Etruria e socie, della bad bank spuntata e della riforma delle Bcc che si presenta già male fin dal principio, l’ultima notizia in ordine di tempo è la mancata pubblicazione della sentenza dell’Antitrust Europea emessa nel 2013, che ha inflitto multe record per 1,7 miliardi di euro alle maggiori banche mondiali, accusate di aver manipolato l’Euroribor, il Libor e il Tibor, costituendo diversi cartelli. Gli 8 istituti sanzionati (Hsbc, Deutsche Bank, Societe Generale, Rbs, JP Morgan, Citigroup e RP Martin), oltre la multa, devono restituire ai risparmiatori italiani 16 miliardi di euro per aver manipolato i tassi d’interesse sui derivati dal 2005 al 2008. E se Ubs e Barclays beneficiarono dell’immunità ed evitarono il pagamento della multa, le altre devono risarcire: quando? 

Ma la questione seria, quella a cui Mario Draghi dovrebbe dare una risposta è un’altra: al netto delle speculazioni su acquisti di sofferenze bancarie da parte della Bce che ieri proprio Draghi ha smentito pubblicamente a Bruxelles, negando ogni negoziato in corso, perché l’Europa che ora garantisce aiuti statali o comunitari alle banche, ha invece imposto la tosatura degli obbligazionisti delle banche popolari italiane attraverso il bail-in? A cosa era prodromica quell’operazione, a un’accelerazione del processo di fusione e acquisizioni tra vari soggetti, magari in attesa del “cavaliere bianco” straniero che a bilanci ripuliti si compra banche sane e sportelli profittevoli a prezzo di saldo? Io temo di sì. Dal governo, come sempre, silenzio e ambiguità. Ma si sa, il tema bancario è sensibile, tocca troppi nervi scoperti e familismi. 

Resta un fatto, obbligazionisti e risparmiatori vanno colpiti, le banche vanno sempre e comunque aiutate. 





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