SPY FINANZA/ Il “grande guaio” in vista per i mercati

- Mauro Bottarelli

Qualcosa di sistemico è alle porte sui mercati, dice MAURO BOTTARELLI nella sua analisi. Anche perché non si è ancora sgonfiata la bolla dei multipli di utile per azione

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Ogni giorno una nuova conferma: la cosiddetta ripresa è solo una chimera, soprattutto in Europa. Le Borse del Vecchio Continente sono rimaste deboli ieri dopo che l’indice Pmi composito finale a gennaio nella zona euro è risultato pari a 53,6, lievemente sopra la stima flash di 53,5, ma ben sotto la lettura di dicembre a 54,3. mentre il Pmi servizi finale a gennaio è stato di 53,6, in linea con la stima flash. «Un Pmi deludente nella zona euro a gennaio indica una delle espansioni più deboli viste nel corso dello scorso anno e aumenta le prospettive di ulteriori stimoli», ha sottolineato a Cnbc il capo economista di Markit, Chris Williamson, a detta del quale ciò che preoccupa di più i responsabili della politica economica è l’inflazione che non è chiaramente riuscita a riprendersi. «Ciò solleva la domanda se gli stimoli esistenti siano stati semplicemente insufficienti oppure se la politica monetaria stia dando prova della sua inefficacia», ha osservato l’esperto, notando anche che la crescita dell’attività, degli ordini e dell’occupazione ha perso slancio e che i prezzi medi di vendita di beni e servizi sono diminuiti al tasso più rapido dallo scorso marzo. 

In più, il Pil dell’area euro ha avuto a inizio anno «una crescita trimestrale del solo 0,4% e, in ogni modo, i tassi di crescita hanno continuato a differenziarsi marcatamente». Lo stesso settore privato tedesco ha registrato un rallentamento a gennaio: il Pmi composito è sceso il mese scorso a quota 54,5 da 55,5 di dicembre, confermando, comunque, la stima flash. Anche il Pmi finale servizi a gennaio è arretrato a 55 da 56 di dicembre e da 55,4 della stima flash. Ma la contrazione è totale e, soprattutto, generalizzata tra i vari protagonisti. Ha infatti deluso il trend dei nuovi ordini, passato da 55,4 a 52,3, il minimo da settembre, un rallentamento che segue di pari passo quello del settore manifatturiero, tanto che l’indicatore composito (sintesi tra manifattura e terziario), è scivolato a 53,8 da 56 di dicembre. 

E se il settore dei servizi spagnolo – il miracolo di ripresa che la stampa mainstream ci vende ogni giorno, ignorandone la natura distorta – è cresciuto a gennaio al ritmo più lento di oltre un anno a 54,6, in calo da 55,1 di dicembre e al minimo dal dicembre 2014, l’attività del settore dei servizi in Francia è tornata a crescere lo scorso mese a 50,3 da 49,8 di dicembre, lievemente al di sotto della lettura preliminare di 50,6. Anche l’indice Pmi composito è salito leggermente a gennaio a 50,2 da 50,1 di dicembre ma ancora al di sotto della prima lettura a 50,5. È per questo che le Borse si schiantano? Anche, ma non è certo questa la ragione principale, fidatevi. 

Attenzione poi a non credere a quanto ha dichiarato il ministro Padoan l’altro giorno durante la sua audizione di fronte al Copasir, il Comitato di controllo parlamentare dei servizi segreti: c’è in atto un attacco sulle banche e non solo italiane, visto che il primo grafico a fondo pagina ci mostra come il credit default swap a 5 anni di Deutsche Bank sia salito del 60% negli ultimi due mesi. E in America non cambia la faccenda: i titoli finanziari pesano per il 16% dell’indice S&P’s 500 e il -9% registrato il mese scorso rappresenta la singola ragione più grande per cui il benchmark sia ora più basso del 5% rispetto a inizio anno. 

C’è però un problema e ce lo mostra il secondo grafico: ovvero, il mercato delle opzioni ci suggerisce un worst case scenario del -28% per i titoli finanziari nei prossimi tre mesi, stando a valutazioni ed elaborazioni della Janus Capital. E non è la prima volta che il mercato delle opzioni segnala simili livelli di paura, ma la cosa che deve spaventare è che in precedenza si era palesato soltanto per la crisi dell’eurozona del 2011, per i dibattiti sul tetto di debito Usa o quando una crisi finanziaria in piena regola era ormai alle porte. 

E a confermare che ci sia da avere paura è stato un articolo del Financial Times dell’altro giorno, in base al quale la situazione attuale è questa: «Nessuno riesce a vedere una singola, grande fonte di rischio, ma i mercati stanno chiaramente vedendo qualcosa. Ho paura che non ci stiamo accorgendo di un fatto che potremmo ritrovarci a dover affrontare molto presto». C’è una ragione tecnica, ad esempio, che spiega il gennaio horribilis vissuto dai titoli bancari, ovvero il fatto che siano saltate le scommesse long fatte da molti subito prima del rialzo dei tassi da parte della Fed. Nel mondo folle delle Banche centrali onnipotenti, infatti, quella mossa veniva letta non come una follia rispetto allo stato di salute dell’economia reale, ma come qualcosa che avrebbe messo il turbo al margine di interesse netto per le banche, ovvero lo spread tra il costo a cui si prende a prestito denaro dai depositari e quello a cui si presta quello stesso denaro a imprese e utilizzatori di carte di credito. Il problema è che la realtà è testarda e le prospettive tutt’altro che rosee per la crescita hanno fatto rallentare e di parecchio il ritmo con cui la Fed proseguirà nella sua operazione di normalizzazione della politica monetaria, quindi quelle scommesse azzardate si sono tramutate in trappole. 

Parliamoci chiaro e cerchiamo di essere onesti, è dalla fine del Qe3 che sul mercato più di un indicatore ci dice che ildecouple operato dai titoli azionari rispetto allo stato di salute dell’economia reale era qualcosa di folle, ma nessuno ha voluto prestarvi attenzione, ormai si vive in un mondo che è dominato dai multipli di utile per azione e dall’idea che Facebook abbia davvero un market cap adeguato: se vale quello che vale è solo perché tramite una legge del Senato Usa ora tutti i social network devono condividere i dati dei propri utenti su una piattaforma comune con i servizi di sicurezza, di fatto un secondo Patrioct Act mascherato. Il problema è: quanti altri utenti potrà raggiungere la creatura di Zuckerberg? Siamo già ai massimi e dubito aperture molto rapide in Cina verso la libertà di espressione, quindi quel titolo è destinato a tornare nel mondo reale quando avrà esaurito il suo potenziale di valore per Cia e Fbi. Ma il mondo ormai è questo, niente altro: follia allo stato puro. 

Vogliamo poi parlare del sistema bancario cinese, il quale scrive fuori bilancio il 40% dei prestiti che eroga? Siamo sicuri che quando parliamo di banche cinesi siamo davvero a conoscenza della loro realtà sistemica? E ora che la Bank of Japan è passata a tassi negativi, come mai la Borsa di Tokyo si schianta come ha fatto ieri? Forse perché proprio ieri la stessa Banca centrale nipponica ha cancellato un’asta di decennali prevista per marzo, poiché si attendeva tassi negativi sul bond benchmark? Signori, qualcosa di sistemico è alle porte, ce lo dice chiaramente questo grafico, il quale ci mostra l’aumento esponenziale del rischio bancario negli Usa. 

 

Deutsche Bank ve l’ho già mostrata, ma pensate che le banche italiane non scontino la stessa dinamica, nonostante le rassicurazioni di Padoan? Da che mondo è mondo, quando il rischio bancario sale, le equities patiscono. Punto, è molto semplice. Più di mezzo mondo borsistico è in bear market rispetto ai massimi dello scorso anno, vuol dire -20% o più: e vi assicuro che deve ancora scendere per arrivare a sgonfiare la bolla dei multipli di utile per azione su cui stiamo basando le valutazioni. Il tutto con il petrolio che torna a scendere e va a impattare sia sulle equitiesche sul credito, visto che ieri Standard&Poor’s ha operato il downgrade su 10 delle più grandi aziende produttrici del settore negli Usa. Come vi ho detto, l’accordo Russia-Arabia Saudita era una bufala e l’Iran non ha la minima intenzione di tagliare la produzione proprio ora che è tornato a esportare: il greggio resterà lì piantato ancora per un po’, a meno di una guerra in piena regola. 

E ieri è arrivata la notizia che ora gli Usa hanno 3700 soldati in Iraq, il che significa una cosa sola: visto che un battaglione, tipicamente, ha tra i 300 e gli 800 uomini, non siamo di fronte solo a boots on the ground, ma una forza di invasione vera e propria. Bisogna accelerare la dinamica di moltiplicatore del Pil garantita dalle spese per la difesa, bisogna farlo senza ulteriori dubbi o ritardi: perché sul mercato sta arrivando qualcosa di sistemico e occorre depotenziarlo e nasconderlo il più possibile. 

Smettetela di guardare ai dati dell’inflazione o a quanto cresce la manifattura, non è il tempo di concentrarsi sui dati macro e l’economia reale: occorre tamponare il disastro creato attraverso scommesse folli e derivati utilizzati con la facilità con cui si mangia una caramella. Occorre una sana distruzione creativa schumpeteriana, per poi ricominciare in maniera responsabile a trattare il mercato. Se negli Usa i giovani votano Sanders, un socialista anti-Wall Street, forse è il segnale che il troppo è troppo e adesso occorre davvero darsi un regolata e resettare il sistema. 





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