SPY FINANZA/ Gli affari pronti dietro la strage di Dallas

- Mauro Bottarelli

Negli Stati Uniti, dice MAURO BOTTARELLI, sembra sia in atto un chiaro piano per privatizzare la sicurezza, facendo così fare affari d’oro a compagnie e aziende specializzate

obama_bandierausaR439 Barack Obama (Lapresse)

Non so per voi, ma per me ascoltare i tg negli ultimi tre giorni è stato uno strazio, roba da Gaviscon. Evito di commentare i fatti di Fermo per carità di patria, ma sento l’obbligo di addentrarmi in quelli di Dallas, perché lì veramente si è toccato il fondo. Toni simili non si sentivano dal Sud Africa di Botha, quello dell’apartheid, parole al vento, banalità da politicamente corretto, falsità faziose, chiacchiere ideologiche non supportate da alcuna cifra. Io invece i numeri e le statistiche li adoro, perché sono lo specchio della realtà, non mentono: volete davvero sapere come stanno le cose negli Usa, quando si parla di cittadini ammazzati dalla polizia? Guardate il primo grafico a fondo pagina, è aggiornatissimo perché parte da inizio anno e arriva fino ai giorni nostri.

Non vi pare che ci sia anche qualche bianco tra le vittime dei poliziotti? Ma nessuno vi ha mostrato queste cifre, perché occorre far passare la favoletta dei neri ghettizzati e criminalizzati: peccato che il capo della polizia di Dallas sia nero. Certo, in città come Chicago i neri uccisi sono la stragrande maggioranza ma forse occorrerebbe anche osare scoperchiare il vaso di Pandora del politicamente scorretto e chiedersi: non è che delinquono più dei bianchi nella capitale dell’Illinois? C’è poco da fare, ai media di regime piace troppo raccontare la verità che fa loro comodo: quante volte avete visto il video del nero ucciso da un poliziotto dentro l’auto? Piacciono queste cose, non c’è niente da fare.

E, poi, di contorno, ecco la solita, ritrita polemica sulle armi facili e sulla battaglia di Obama per porre delle restrizioni agli acquisti. Balle. Per due motivi. Primo, gli americani – giustamente – al Secondo Emendamento non rinunciano. Secondo, Obama è stato il miglior venditore di armi della storia americana. Non ci credete? Guardate il secondo grafico, il quale ci mostra come le vendite della Smith&Wesson, principale produttore del Paese, siano salite del 200% da quando Obama è stato eletto. Di più, nella settimana seguente alla strage nel gay club di Orlando, l’armeria on-line Hunter’s Warehouse di Bellevue, in Pennsylvania, ha venduto più di 30mila fucili semi-automatici AR-15, quello usato sia a Orlando che a Dallas. In una settimana!

La gente si arma per paura? No. E non lo dico io, ma Tom Engle, il proprietario di Hunter’s Warehouse: «Le sparatorie non fanno aumentare le vendite di armi. E quando il governo comincia a parlare di mettere al bando certi di tipi di armi che le vendite salgono. Quando la gente perde il diritto di comprare una certa arma, allora la cerca e la vuole assolutamente». E con le sue chiacchiere e le sue lacrime in favore di telecamera a ogni strage, Barack Obama ha reso un servizio enorme alla lobby delle armi Usa. Ma tranquilli, nessuno ve lo dirà. Quante cose che non vi dicono, amici miei. Qualcuna provo a dirvela io, al riguardo.

Già, perché nonostante le promesse di Barack Obama di demilitarizzare la polizia americana, il 2014 e il 2015 sono stati gli anni picco per la spedizione di surplus militare dal Pentagono ai dipartimenti di polizia locale di tutta l’America. Si tratta del cosiddetto “Program 1033”, il quale dal 2006 ha visto smistate verso distretti di polizia federale, statale e locale qualcosa come 1,5 milioni tra armamenti, mezzi di trasporto ed equipaggiamento. Si parla di un controvalore 2,2 miliardi di dollari, inclusi elicotteri, veicoli blindati, decine di migliaia di fucili d’assalto M16 e M14, cerca-mine e baionette.

Già, baionette, le quali andavano benissimo per la lotta corpo a corpo nella guerra di Corea, ma forse sono un po’ meno utili a dei poliziotti: bene, ne sono state spedite un totale di 5638, di cui 3260 alla polizia di frontiera di El Paso in Texas, mentre 682 sono state inviate ad agenzie federali come la DEA e l’FBI. Ma non basta, perché la polizia stradale della Florida ha ricevuto 1815 fucili d’assalto, più sei veicoli corazzati, tre anti-uomo e tre di tipo Combat/Assault/Tactical. In autostrada? In California è arrivato materiale per 18.794 unità, tra cui 7500 fucili d’assalto, di cui 14 all’università di Berckley: pensate che l’ufficio della sceriffo della contea di Los Angeles ha comprato 1105 fucili d’assalto e due mezzi anti-mina. A Washington DC, la Metropolitan Police ha acquistato 500 M16, ovvero la metà esatta di quanto ricevuto in fucili dall’intero New Jersey, oltre a 134,5 libbre di dinamite, semtex e C4 negli ultimi nove anni. La cittadina di Granite City in Illinois vanta 29.375 abitanti, ma ben 25 fucili d’assalto in dotazione alla polizia, un veicolo blindato e un robot anti-esplosivo. Lo sapevate?

Il “Program 1033” è pubblico, si tratta di un programma federale e ne si trovano tutti i particolari su siti governativi Usa, non è una cosa segreta: eppure, per tutti Obama è stato il presidente della pace e dell’amore che voleva disarmare l’America. Capite ora perché guardo il telegiornale con il Gaviscon a portata di mano? Ma questo allarme fa comodo, molto comodo. E non, come azzarda qualcuno, per creare i prodromi del caos, affinché Obama proclami la legge marziale e si arrivi all’annullamento del voto di novembre e a un suo terzo mandato emergenziale. Ma perché sottende al più grande business bellico del futuro: la privatizzazione della sicurezza nazionale interna. Parliamo di colossi come la ex Blackwater o la DynCopr (2,2 miliardi dollari di fatturato), le quali, ingolosite dai guadagni garantiti dalle varie guerre, hanno cominciato a ragionare e a chiedersi come poter continuare a macinare soldi a prescindere dalla presenza di conflitti.

E un precedente c’è, chiaro e lampante: l’intervento di contractors della Blackwater a New Orleans quando l’uragano Katrina distrusse e allagò la città sul finire dell’agosto 2005. Il primo contractor della Blackwater mise piede nella capitale della Louisiana solo 36 ore dopo l’inizio dell’alluvione. Al culmine dell’emergenza erano in più di 600, alcuni di guardia allo Sheraton Hotel, altri in difesa di proprietà private i cui possessori avevano abbandonato la città, altri operativi nel salvataggio di persone, altri ancora con veri e propri compiti di polizia. Solo per la protezione dello staff della Fema (Federal Emergency Management Agency), occupato negli aiuti, la Blackwater si vide staccare un assegno da 73 milioni di dollari.

E sotto quale mandato agivano? Avevano un contratto con il Department of Homeland Security ed erano anche autorizzati dal governatore della Lousiana, tanto da essere in possesso di un badge dorato da law enforcer: potevano quindi operare arresti e anche usare forza letale, se lo ritenevano necessario. Privati cittadini che lavoravano per un’azienda privata di security a cui erano però garantiti poteri e prerogative della polizia statale. Ecco qual è il nuovo business, ecco perché a molti fa comodo drammatizzare i morti nelle strade statunitensi, ingenerare la sensazioni di panico e di caos: è il business della sicurezza, la paura è il più grande generatore di soldi che esista. E la lobby di fabbricanti d’armi e contractors per la sicurezza è un gigante onnivoro, capace di controllare e veicolare i grandi media, così come le decisioni del Congresso.

Barack Obama lo sa, lo ha sempre saputo, ma non solo non ha fatto nulla, bensì ha permesso che il processo di militarizzazione del Paese subisse un’accelerazione sotto la sua guida. Si sa, tra pochi mesi dovrà trovarsi un lavoro: magari da consulente, con il buon Manuel Barroso, il quale dopo aver guidato l’Ue, da venerdì scorso lavora come special adviser per Goldman Sachs, ufficialmente per gestire i contraccolpi del Brexit.

Il mondo è questo, cari lettori: potere e bugie. E il fatto che i manager di molte di queste aziende abbiano da tempo dato vita a un’operazione di lobbying presso i vari Stati per offrire i loro servizi in caso di calamità naturale, spalanca la porta a un possibile ampliamento dei fronti di intervento privato nella sicurezza pubblica. Non a caso, tra gli scenari paventati non c’è solo un grande terremoto in California, ma anche un attacco terroristico a New York. «Il loro modo di pensare è semplice. La guerra in Iraq non potrà durare per sempre, quindi se la compagnia vuole continuare a vivere, ha bisogno di un business plan alternativo. Lavorare qui in casa è una soluzione», sostiene Jeffrey Walker, ex avvocato dell’aeronautica militare Usa e oggi docente alla facoltà di giurisprudenza della Georgetown University.

In compenso, mentre noi eravamo incollati alla tv guardando le sirene che sfrecciavano nella notte di Dallas, a Varsavia il vertice Nato decideva la prosecuzione della missione in Afghanistan oltre alla fine di quest’anno e il rafforzamento delle truppe sul confine Est, di fatto innescando una corsa alla provocazione contro Mosca. Il pacifista Barack Obama, da solo, ha promesso l’invio di altri 1000 uomini in Polonia: per quanto il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, lo neghi, l’Occidente sta dando vita a una Guerra Fredda 2.0. Contro chi? Contro l’unico che ha fatto qualcosa contro l’Isis, sulla carta il nemico numero uno anche dell’America e che non ha compiuto alcun atto ostile contro l’Europa, subendo di converso le sanzioni economiche.

Il potenziamento della Nato nell’Europa dell’Est, sigillato dall’accordo per il dispiegamento di 4 battaglioni in Polonia e nei Paesi baltici, è un punto di svolta della strategia dell’Alleanza Atlantica. Una mossa che si inserisce in uno scacchiere, complicato dal conflitto in Ucraina, dove resta cruciale il ruolo della Russia per la sicurezza europea: «Mosca non deve e non può essere isolata, si deve promuovere un dialogo costruttivo», ha detto Stoltenberg. Un’idea un po’ strana di dialogo costruttivo, quella di schierare militari armati fino ai denti ai confini del tuo interlocutore, non ne convenite anche voi? La realtà non è mai quello che sembra, ricordatevelo sempre.





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