SPY FINANZA/ I segnali (ignorati) di una nuova crisi

- Mauro Bottarelli

Ci sono dei segnali che dovrebbero preoccuparci: sono molto simili a quelli visti prima della crisi del 2007, ma nessuno sembra farci caso. MAURO BOTTARELLI

Trader_Borsa_pensieroso_Lapresse (LaPresse)

Lo so, sono monotono. Ma sappiate una cosa: il giorno in cui smetterò di mettere in evidenza la paradossale follia economico-finanziaria che ormai viviamo e percepiamo come normalità, sarà un giorno buio. Perché significherà che mi sarò arreso, che avranno vinto loro e il loro modello delinquenziale. E ci sono giorni, vi assicuro, che mi pare quel momento si stia avvicinando a grandi passi: troppo grande la propaganda in atto, troppo forti gli attori a difesa dello status quo. Ma, soprattutto, troppo complice la cosiddetta “opinione pubblica”, il mitologico 99% della popolazione che, mi pare, a farsi fregare ci abbia preso gusto. O, peggio, punti non a cambiare le cose in un senso più giusto e razionale, ma a entrare unicamente a far parte dell’1% imperante e che vince sempre: né ribellione, né omologazione, ma accettazione di un modello di cui, giocoforza, o fai parte o sei vittima.

Il Papa ci ha invitato, per la Pasqua, a non essere pusillanimi, a ribellarci alle ingiustizie. Soprattutto, rivolgendosi ai giovani, li ha invitati a gridare il dissenso in un mondo che ci vorrebbe silenti, proni e rassegnati. Quanti hanno il coraggio di farlo, in realtà? E attenzione, perché non serve tramutarsi in Don Chisciotte o in qualche rivoluzionario armi in pugno, basta l’impegno quotidiano alla denuncia, alla testimonianza, all’atto personale di non conformismo, alla rivolta silenziosa ma efficace dell’agire di fronte alla tentazione della passività: quanti hanno il coraggio e la voglia di farlo però?

Quanti non riescono a tacere di fronte a questo ovvero al fatto che venga dipinto come normale un mondo dove Netflix, ovvero nulla più che una piattaforma che ci consente di vedere migliaia di film e serie tv a casa nostra, un’enorme videoteca on-line, oggi abbia un valore di mercato superiore a quello di General Electric, una delle più grandi aziende del mondo? Dopo il sorpasso avvenuto la scorsa settimana, il quale ha portato il gap fra le due aziende a 17,1 miliardi di dollari, GE è ora più “piccola” di tutte le quattro Fang (ovvero Facebook, Amazon, Google e Netflix, appunto), le quali – nonostante la crisi legata al caso Cambridge Analytica – hanno comunque un valore di mercato composito quattro volte quello di GE, fermo a 113,5 miliardi.

Di che mondo stiamo parlando? Un mondo in cui c’è ancora chi finge di stupirsi e indignarsi per il memo riservato del 2016 di Facebook, in base al quale i dirigenti del social network imponevano la loro “legge” ai dipendenti: l’unico imperativo categorico è che l’azienda – e il suo market cap, quindi – cresca, non importa a quale prezzo. Anche umano. Anche legale, visti gli sviluppi. Siamo in pieno mondo distopico, eppure fingiamo che tutto vada bene. Che sia tutto normale. E, ripeto, deve farci paura in primo luogo l’avidità che emerge dalle pieghe di questa follia collettiva, la voglia di omologarsi al mantra del far soldi finché si può, di ballare finché c’è musica sul ponte del Titanic, di spennare i polli se è questo che vogliono. Il parco buoi, lentamente, punta a evolversi e diventare aspirante lupo.

 Altro che denunciare le ingiustizie, si punta a diventarne parte integrante, pur essendo per propria natura l’investitore retail nulla più che un numero, un potenziale numero seriale dell’ingranaggio, un codice a barra del grande supermercato globale. Questo grafico, ci mostra come l’ennesima correlazione con il passato voglia metterci in guardia su cosa ci attenda: in questo caso, si tratta della comparazione fra prezzo delle commodities e indice S&P’s 500.

Come vedete, a oggi le materie prime sono ai minimi come nelle fasi precedenti alle grandi crisi del passato recente, una ratio segnalata da più di un economista eterodosso, quelli che non vincono i Nobel ma che i treni li vedono arrivare prima che gli si schiantino in faccia, uscendo dal mitologico tunnel sotto forma di luce. Ma guardate quest’altro di grafico, il quale ci mostra non solo come negli Usa i cittadini con rating di credito Fico sotto la soglia 500, quella che di fatto sconfina apertamente nella categoria subprime, stiano ottenendo mutui e prestiti allegramento, ma che ci deve allarme per un nuovo, risorgente rischio che arriva dal 2008, come in Ritorno al futuro ma in chiave apocalittica: quel debito a rischio è in piena fase di cartolarizzazione di massa un’altra volta.

Cosa significa questo? Semplice, che invece di capire cosa sta accadendo e mettere in discussione il modello, anche soltanto rifiutandosi di esserne complice a livello di investimento individuale, ecco che è partita in grande stile la corsa al rendimento di ultima istanza, ovvero quello che possiamo definire l’ultimo miglio della corsa a ostacoli per cercare un po’ di extra-profitto in un mondo di yields a zero a causa dei tassi ultra-bassi imposti dalle Banche centrali e da anni di politiche espansive. Siccome oggi la vulgata è quella della Fed che alza i tassi e non si discosterà da questa prospettiva, stante le straordinarie condizioni di salute dell’economia Usa, ecco che il trend prosegue e, come denunciato dal Financial Times, il numero di deals legati a questo comparto pericolosissimo nel primo trimestre di quest’anno ha raggiunto il controvalore di 1,3 miliardi di dollari contro i demoniaci 666 milioni dello stesso periodo del 2017. E se riguardate il grafico, il debito legato a mutui già oggi è al livello del 2007-2008.

E cosa dice al riguardo Standard&Poor’s, una delle tre agenzie di rating che dovrebbero lanciare l’allarme? «Dal nostro punto di vista, il rischio è contenuto». Lo era anche una decina di anni fa, così come il rischio di credito di Lehman Brothers soltanto il 5 di settembre, 10 giorni prima del fallimento. E a dirci che l’orologio dei ricorsi storici sta ticchettando pericolosamente, ci pensa questo altro grafico, sempre legato ai mutui e al loro pagamento. E cosa ci dice? Che siamo alla vigilia di una crisi di liquidità legata al settore, ponendo come indicatore il range fra 0 e 10 rispetto a reddito medio e costo annuale legato all’immobile, quindi mutuo più tasse e assicurazione.

Siamo di fronte a un altro devastante fronte subprime? No. Non subito, almeno. I numeri sono ancora troppo piccoli per spaventare, ma il quadro d’insieme fa paura, perché all’immobiliare va sommato – parlando sempre e soltanto di economia reale e non fanta-finanza da Banca centrale – il debito legato al credito al consumo, soprattutto legato al settore dell’acquisto di automobili e quello studentesco, entrambi a quota record sopra il triliardo di dollari e in continuo e sequenziale aumento mensile da ormai molti, troppi trimestri. Una dinamica che non cambia per una sola ragione: la narrativa dell’economia che corre è basata unicamente sulla leva del debito, sia esso federale o privato o monetaristico come quello della dinamica che regola i buybacks, finanziati con emissioni obbligazionarie che divengono polmoni d’acciaio per Wall Street, visto che i proventi servono proprio a ricomprare azioni da mantenere lucide come argenteria in realtà da quattro soldi agli occhi dei media e del parco buoi.

Volete l’ennesima, riprova di quanto sto dicendo? Pronti, ecco gli ultimi due grafici, dai quali desumiamo che oramai, la regola è quella dell’assunzione massima di rischio a fronte di un ritorno dell’investimento che, invece, continua ad assottigliarsi. Eppure, come mostra il secondo grafico, guardate la colonna relativa al 2018, ovvero alla ratio fra spread e leverage nei prestiti Lbo, i più rischiosi di tutti, da inizio anno al 28 febbraio scorso: non manca molto ad aver raggiunto il livello dell’intero 2017 in soli due mesi! I prestiti covenant-lite sono potenziali mine anti-uomo, visto che portano con sé enormi rischi legati proprio all’indebitamento del soggetto e pochissima protezione, basando tutto sulla logica dello spread che dovrebbe ingolosire: bene, la gente è così suicida nel fare la fila per questa immondizia da aver portato quel differenziale – offerto a fronte della prospettiva di sicurezza di una passeggiata in autostrada con gli occhi bendati – a 75.1 punti base per unità di leva (Spl), giù dall’87.5 dello scorso anno e addirittura dal 111.5 del 2016.

Sempre meno guadagno a fronte di sempre maggiore rischio: eppure, il mercato di questi settori oggi è fra i più attivi. E non solo per soggetti istituzionali o hedge fund, ma anche per fondi pensione e investitori retail, siamo al deja vù totale del 2007: peccato che, a fronte dei rischi finanziari per l’economia reale, esiste un quadro macro finanziario di indebitamento e completa distorsione monetaria dei mercati che rende la crisi di dieci anni fa, potenzialmente nulla più che una passeggiata nei parchi di Tokyo per ammirare lo spettacolo primaverile dei ciliegi in fiore. Per il semplice fatto che, se davvero la Fed dovesse continuare seriamente ad alzare i tassi e la Bce non si rimangiasse l’impegno di chiudere il Qe il prossimo autunno, il mondo avrebbe un appuntamento fissato con la catastrofe, visto che obbligazioni corporate per qualche centinaio di miliardi dovrebbero affrontare costi in netto aumento dopo anni di accesso pressoché a costo zero ai mercati di finanziamento alternativi a quello bancario, ovvero emissioni col paracadute della Banche centrali come soggetti acquirenti di prima e ultima istanza: capito perché il Libor continua a crescere, segnalando tensione nel settore bancario rispetto al rischio creditizio sul finanziamento in biglietti verdi?

Quanti canarini morti asfissiati nelle miniere delle false promesse finanziarie dovremo seppellire prima di capire che questo sistema è marcio e la sua avidità ci sta corrompendo, invece che farci ribellare? Forse, ci meritiamo quanto dovremo pagare per questo ennesimo azzardo morale di massa, forse una penitenza è necessaria prima della resurrezione, in senso più tolstojano che puramente cristiano, blasfemia a parte nel mischiare questi trucchi contabili spacciati per investimento con l’appello di Sua Santità. O, forse, non è blasfemia ma quel coraggio che Papa Francesco oppone al dilagante atteggiamento pusillanime della società: una cosa è certa, letto dalla prospettiva economico-finanziaria, l’appello del Santo Padre è più efficace di un editoriale del Financial Times. E più spaventosamente premonitore di tante messe in guardia di premi Nobel e profeti di sventura che ammorbano il web, come il sottoscritto.

Pensateci su, rifletteteci. Anche se Pasqua è passata. E se il Paese sembra sempre più narcotizzato da quella pantomima oscena che è il “dialogo” fra forze politiche vincitrici in vista delle consultazioni al Quirinale: attenti, qualcuno potrebbe testare la nostra tenuta. A breve.





© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori

Ultime notizie

Ultime notizie