I NUMERI/ Borghi: le balle sulla ripresa ora vengono a galla

- int. Claudio Borghi Aquilini

Per CLAUDIO BORGHI AQUILINI, non è corretto affermare che i dati sul Pil peggiorano a seguito della Brexit, in quanto erano le previsioni iniziali a essere lunari e deliranti

lagarde_christine_fmi Christine Lagarde (LaPresse)

Dopo la correzione al ribasso di Prometeia e del Centro Studi di Confindustria, anche il Fmi si prepara ad abbassare le previsioni sulla crescita del Pil italiano. L’annuncio è arrivato nel corso della presentazione del rapporto annuale per l’Italia. Anche secondo l’Economic Outlook dell’Istat, “il risultato del referendum britannico ha aumentato l’incertezza sulle prospettive economiche dell’Eurozona”, la cui crescita media è pari all’1,6% per il 2016. Secondo la Banca d’Italia, invece, la Brexit potrebbe far sentire i suoi effetti portando il Pil di quest’anno sotto l’1% e attorno all’1% il prossimo. Aumentano intanto le sofferenze bancarie, che secondo Bankitalia, a livello nazionale hanno raggiunto quota 200 miliardi. Ne abbiamo parlato con Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana.

Le ultime previsioni smentiscono quanti avevano affermato che la Brexit non avrebbe avuto ricadute economiche per l’Italia?

Non è corretto affermare che i dati sul Pil peggiorano a seguito della Brexit, in quanto erano le previsioni iniziali a essere lunari e deliranti. È inutile che adesso cerchino di giustificare una previsione sbagliata fatta a inizio anno con il fatto che si è verificata la Brexit. Era assolutamente evidente e chiaro a chiunque avesse un minimo di raziocinio che in realtà non c’era nessun motivo per immaginare una crescita mirabolante o anche soltanto media. Questo specialmente per quanto riguarda l’Italia, ma anche più in generale l’Eurozona.

Il referendum britannico ha comunque pesato in qualche modo?

In realtà prima del referendum si prevedevano conseguenze drammatiche per la Gran Bretagna in conseguenza della Brexit. Nessuno ha mai detto che una vittoria dei “Leave” avrebbe avuto un impatto sull’Italia. Tutti i commentatori sostenevano che se il Regno Unito fosse uscito dall’Europa, sarebbe andato a finire oltre le Colonne d’Ercole e la sua economia sarebbe stata distrutta. Sono balle, così come erano balle le previsioni ottimistiche sull’Italia di inizio anno. Mi domando quale sia il livello oltre il quale la gente si sveglierà.

In che senso?

Ci sono organismi che non hanno mai azzeccato una previsione, incluso l’Ocse e il Fmi, anzi hanno sempre ostentato ottimismo per poi essere totalmente smentiti dalla realtà dei fatti. Non capisco quindi perché si continui a prestare ascolto a chi spara previsioni sul nulla, perché è pagato da qualcuno che vuole propagare l’ottimismo. Il bail-in è un colpo pazzesco per quanto riguarda l’attitudine di spesa e i rischi di credit crunch, perché se la gente ritira i soldi dalle banche queste ultime non potranno più fare credito alle imprese.

Se il Pil è stato sovrastimato, quali ricadute avrà sui parametri di finanza pubblica?

È evidente che, siccome il Pil è al denominatore, nel momento stesso in cui invece di crescere rimane stazionario o cala, questo fa volare deficit e debito. A quel punto si ricomincerà con la solita manfrina dicendo che l’Italia deve rientrare nei parametri. Niente di diverso da quanto abbiamo visto finora: è un gioco che non diverte nemmeno più. A quel punto si chiederà una manovra aggiuntiva che a sua volta produrrà effetti recessivi, e così continueremo a giocare a questo gioco al massacro.

 

All’origine della frenata del Pil ci sono anche i 200 miliardi di sofferenze bancarie?

No, è il contrario: il Pil non cresce e quindi si creano le sofferenze bancarie. Quest’ultime vengono dal fatto che c’è un’impresa che fallisce o un capofamiglia che perde il lavoro. È il calo autoindotto dell’economia che fa esplodere le sofferenze, portando quindi alla necessità di manovre correttive per trovare soluzioni. Non a caso in Italia il boom delle sofferenze è iniziato dopo l’applicazione dell’austerità.

 

(Pietro Vernizzi)





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