EMBRACO/ La lezione per Calenda e l’Italia dopo i licenziamenti sospesi

- Sergio Luciano

I licenziamenti all’Embraco sono stati sospesi. La vicenda ha però molto da insegnare al Paese e anche all’attivissimo e liberista ministro Calenda. SERGIO LUCIANO

Calenda_Carlo_Chigi_Lapresse Carlo Calenda - LaPresse

Carlo Calenda è stato senz’altro il più attivo ministro dello Sviluppo economico mai avuto dall’Italia, dopo Corrado Passera. Bisogna dargliene atto, perché anche con il caso Embraco ha dimostrato di aver voglia e capacità di lavoro con pochi confronti e molta competenza. Resogli onore, però, si deve anche prendere atto della realtà. La soluzione-ponte trovata su Embraco, cioè sospendere per 9 mesi i licenziamenti, tale è: non è detto che a fine anno il processo di chiusura non riprenda, e in quest’eventualità non resterà che far ricorso all’intervento di Invitalia, con il nuovo fondo contro le delocalizzazioni, cioè una specie di cassa integrazione sotto diversa etichetta, in attesa di trovare il Samaritano disposto a rilevare impianto e personale una volta che la Whirlpool se ne sarà andata. Ma nove mesi non sono brevissimi, per quanto funestati dall’esito incerto delle elezioni di domani, e quindi ben venga questo intervallo di negoziato.

Preso atto della realtà, c’è ancora un pensiero da riattivare, che non è di sinistra come probabilmente lo stesso Calenda potrebbe pensare, ma è semplicemente un pensiero da esseri umani, che ambirebbe a somigliare a quelli che – oggi nel mondo – c’è un unico leader a richiamare: Papa Francesco. Un pensiero sociale. L’eventualità che il colosso multinazionale Whirlpool smobiliti dall’Italia per trasferire le produzioni che di Chieri in Slovacchia è l’effetto diretto e legittimo di una metodologia che Calenda non solo condivide, ma interpreta convinto e senza tentennamenti, quella della libera circolazione degli investimenti, per cui il capitale ha il diritto, senza se e senza ma, di andare a concentrarsi là dove ritiene di poter rendere di più, e questo indipendentemente dagli effetti delle sue scelte sull’economia reale, ivi compresa l’occupazione.

Disinvestire dall’Italia, dunque, e mettere i soldi così recuperati in un Paese come la Slovacchia dove il lavoro costa la metà è, per chi la pensa come Calenda, una cosa giusta. Infatti – al di là della meritevole opera di democrazia economica per convincere Whirlpool alla proroga della sua decisione, opera a quanto pare sostenuta dal presidente del Parlamento europeo e neocandidato premier del centrodestra Antonio Tajani – la legittimazione economico-giuridica che Calenda cerca contro la scelta slovacca di Whirlpool è debolissima perché risiede in un cavillo giuridico: sospetta infatti che Bratislava abbia usato i fondi strutturali europei per abbassare le tasse sul lavoro, comportamento vietato dai Trattati europei, rendendo così gli investimenti produttivi sul suo territorio più convenienti.

È lampante che in questo pezzo di ragionamento ci troviamo di fronte al classico burocraticismo europeo. Chiariamo: i fondi strutturali devono essere usati per scopi strutturali (autostrade, ferrovie eccetera, reti, impianti fissi). Se però un governo fa un programma di politica industriale che prevede di spendere 100 lire in ferrovie e 10 lire in sgravi fiscali, poi compete per ottenere i fondi strutturali europei, li ottiene e li usa per finanziare quelle 100 lire destinate originariamente alle ferrovie, e dirotta i risparmi di budget così ottenuti a maggiori sgravi fiscali, quale violazione commette? Usando i fondi strutturali, è semplicemente riuscito a usare diversamente altri fondi… li ha presi e poi li ha inoculati nel proprio sistema fiscale per fare un favore a tutti i suoi contribuenti. Chiaramente è nel suo diritto. E allora è evidente che questo cavillo non regge.

Quel che dovrebbe reggere è, da parte dell’Italia, invece un insieme di regole diverse e di poteri più consapevoli. Poteri, per esempio, per cui se gli americani della Whirlpool vogliono continuare a vendere ogni anno nel nostro mercato il 30% di tutti gli elettrodomestici “bianchi” che vi vendono attualmente non possono pensare di chiudere bottega senza tanti complimenti, perché altrimenti lo Stato italiano gli trova non uno ma mille cavilli per non fargli vendere più in Italia nemmeno un spillo, come farebbe la Francia, che senza alcuna paura ha messo sotto processo addirittura la Apple – potente quanto cento Whirlpool – perché sembra aver inserito nei suoi smartphone i sistemi di obsolescenza programmata che li fanno durare due anni. E questo significa avere potere politico nazionale e usarlo. Ma anche regole: perché per esempio quando Whirlpool è arrivata in Italia investendo nell’acquisizione dell’impianto di Chieri, anziché emozionarsi come fanno i cuccioli e farsela sotto dalla gioia, si poteva anche provare a dettare dei patti, scritti, in base ai quali la delocalizzazione non fosse facile come bere un bicchier d’acqua; e se Mittal viene in Italia a comprare l’Ilva, forse è giusto imporre loro – che ci non fanno l’elemosina, ma perseguono i propri interessi, nel prendere Taranto – una serie di sovracosti che non cancellino il loro interesse ma lo limitino, a vantaggio di maggiori benefici per la comunità locale sul piano economico e occupazionale.

Insomma, servirebbe non solo un ministro attivo, ma anche un maggior orgoglio nazionale e una testa diversa, un pensiero diverso, convinto del buon diritto della politica di dettare le regole al capitale, del buon diritto delle persone di venire prima delle cose. Ed è su questo terreno che, con tutto il rispetto, forse Calenda qualche ripetizione dovrebbe prendersela. Uno che è stato collaboratore sfegatato di Luca Cordero di Montezemolo, quello che ha appena venduto agli americani il treno Italo, non ha frequentato le scuole migliori, in questo senso.





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