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Home » Economia e Finanza » Fisco » FISCO & POLITICA/ I passi indietro e in avanti in attesa di una vera riforma

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FISCO & POLITICA/ I passi indietro e in avanti in attesa di una vera riforma

Ciro Acampora
Pubblicato 8 Dicembre 2024
Agenzia delle Entrate

Agenzia delle Entrate (Foto Ansa)

Negli ultimi giorni si sono susseguite notizie interessanti sul fronte fiscale. Resta la necessità di una vera riforma

In questa settimana si sono sovrapposte due notizie. La prima è quella della crescita del Pil italiano pari a un +0,5% nel 2024 e alla previsione di un +0,8% per il 2025. L’aspetto interessante è la composizione del dato per il 2024. Il +0,5%, infatti, sarebbe la risultante di uno +0,7% apportato dalla domanda estera netta che porta a concludere come la domanda interna sia negativa per uno 0,2%. La seconda notizia, invece, è l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri decreto che rivede l’Irpef e l’Ires. Tra queste due notizie è ravvisabile una correlazione che proveremo a far emergere.


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Partendo dal decreto si può dire che le novità introdotte in campo fiscale non hanno alcun connotato degno di una riforma fiscale ancora attesa e vediamo il perché. L’equiparazione del processo di ammortamento dei beni ammortizzabili dei professionisti rispetto a quello delle imprese non è una grossa rivoluzione. Rimane invariato, infatti, il processo di ammortamento degli immobili strumentali che resta indeducibile per i professionisti se l’acquisto avviene direttamente e non attraverso un contratto di leasing.


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Caratterizzata da equità invece è la neutralità fiscale introdotta per le aggregazioni tra studi professionali. Si tratta di una novità che faciliterà i percorsi aggregativi utili per creare nuove strutture professionali che sappiano meglio intercettare le esigenze/opportunità che il mercato proporrà nei prossimi anni. Poco interessante è l’intervento operato in tema di società di comodo per le quali arriva un dimezzamento dei coefficienti di redditività presunta previsti per immobili e partecipazioni. Il dimezzamento avrà, senza dubbio, l’effetto di abbassare l’asticella dei ricavi minimi al di sotto dei quali scatta la penalizzazione rappresentata da un’aliquota Ires maggiorata del 10,5 %. L’intervento in questo caso più che una novità sembra una parziale presa d’atto che siamo dinanzi a una normativa del tutto penalizzante e poco coerente.


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Un passo in avanti invece sono i ritocchi operati in tema di conferimento delle partecipazioni societarie. Grazie ai nuovi provvedimenti, infatti, si favoriranno i passaggi generazionali essendosi operato un ampliamento delle opportunità per gli operatori con la conseguenza che diventa più facile dotarsi di una holding personale finalizzata a gestire sia le partecipazioni, sia i successivi passaggi generazionali. Quest’ultimo tema non è secondario per la nostra economia alle prese con il passaggio generazionale di molte aziende che deve essere “favorito” per poter tutelare i livelli occupazionali che altrimenti potrebbero essere messi a rischio.

È evidente che queste “novità”, se messe insieme ai solleciti ad aderire, entro la data di riapertura fissata al prossimo 12 dicembre, al Concordato preventivo biennale non palesano alcuna strategia di lungo periodo capace di trasformare la leva fiscale in stimolo della domanda interna. Nei fatti non c’è alcuna strategia per stimolare il recupero del -0,2% che di fatto ha penalizzato la crescita del Pil sostenuta dalla domanda estera. L’argomento è ancora più rilevante e si pensa che la politica di dazi che si profila all’orizzonte finirà per comprimere la domanda estera senza che quella interna abbia ad avere stimoli.

In questo scenario mancano interventi capaci di creare effetti moltiplicativi. Uno di questi potrebbe essere una maggior ricorso alla detrazione dell’Iva sulla base del principio di cassa (posso detrarre l’Iva addebita se ho pagato, verso l’Iva se ho incassato). Così operando, infatti, si favorirebbe la gestione finanziaria delle aziende. In tema di recupero fiscale, inoltre, si potrebbe prevedere una ritenuta fiscale in acconto minima su ogni transazione. L’operatività di questo strumento risulta favorita dalla tracciabilità dei pagamenti. In questo modo le imposte si pagherebbero un po’ alla volta, si eviterebbe l’ingorgo di giugno e novembre allorquando si sovrappongono i versamenti dei saldi e degli acconti.

Non va escluso poi che i pagamenti assoggettati a ritenute potrebbero contribuire ad attenuare il problema degli omessi versamenti e in parte anche quello delle fatture per operazioni inesistenti. A questo riguardo sarebbe interessante verificare un ampliamento diffuso del reverse charge nel rapporto tra imprese e tra professionisti. La neutralità dell’Iva, infatti, consentirebbe di concentrare la lotta all’evasione Iva esaltando la finalità di questa imposta che ha come finalità quella di incidere sui consumatori finali e sugli acquisti di beni che, seppur effettuati, nell’ambito dell’attività di impresa e/o di lavoro autonomo non godono, per legge, di una neutralità parziale.

A oggi, quindi, le riforme sono al palo. C’è da guardare a quella della burocrazia che Musk vuole operare negli States. Le sue azioni potrebbero fungere da stimolo anche per noi.

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Tags: Governo MeloniRiforma fiscale

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