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Home » Esteri » Africa » TRAGEDIA SUDAN/ “Guerra civile devastante, 25 milioni alla fame, tutto per il controllo dell’oro”

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TRAGEDIA SUDAN/ “Guerra civile devastante, 25 milioni alla fame, tutto per il controllo dell’oro”

Int. Marco Di Liddo
Pubblicato 16 Aprile 2025
Egitto

Giovani sud-sudanesi rifugiati in Egitto (Ansa)

In Sudan esercito e RSF continuano una lotta senza quartiere per il controllo delle miniere. E il contrabbando dell’oro alimenta la guerra

L’ONU ha dichiarato la carestia in dieci località del Sudan, dove la gente muore letteralmente di fame. Ma non è questo l’unico problema che il Paese deve affrontare: a due anni dallo scoppio della guerra fra l’esercito del presidente Al Burhan e i soldati delle Forze di Supporto Rapido (RSF), il Sudan versa in una crisi umanitaria che, secondo molti analisti, è la più grave del pianeta, con situazioni molto simili a quelle che si verificano a Gaza, ma con numeri nettamente superiori: 13 milioni di sfollati, 25 milioni di persone in difficoltà alimentare.


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La lotta senza quartiere tra i due contendenti, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI, Centro studi internazionali, mira al controllo delle miniere. Ed è proprio dall’estrazione dell’oro, poi contrabbandato, che le RSF traggono le risorse per alimentare la guerra. Nel conflitto, che si intreccia con scontri locali alimentati da diverse milizie, sono protagonisti anche Paesi che hanno interessi nell’area, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma giocano un ruolo pure Russia e Turchia.


CAOS SUDAN/ "Così gli Emirati alimentano la guerra civile per fare affari con Usa e Cina"


Due anni di guerra in Sudan. E l’ONU ha lanciato l’allarme carestia. 

Come singolo Paese, siamo di fronte alla peggior crisi umanitaria nel mondo, come recrudescenza della violenza, numero di sfollati e di persone in pesante emergenza alimentare. È una situazione difficile da descrivere: esclusa qualche regione nel nord, non c’è angolo del Paese che non viva una situazione estrema, dal confine con il Sud Sudan fino al Darfur e a Khartoum. È veramente uno scenario desolante. Non sono sicuri neanche i campi profughi, perché le RSF hanno cominciato ad attaccare pure lì.

Attacchi a ospedali e campi profughi, sfollati, persone che muoiono di fame: ci sono tutti gli elementi della tragedia di Gaza, ma con numeri molto superiori. Possiamo paragonare questa situazione a quella della Striscia?


Darfur: centinaia di bambini non accompagnati arrivano a Tawila/ "Scappati da El Fasher, i genitori uccisi"


Sì, ma c’è un aspetto che la rende ancora peggiore: a Gaza c’è un attore militare che è dominante, responsabile di tutte le operazioni militari e dei danni collaterali; nel Sudan, invece, è in corso una guerra civile tra due forze che sostanzialmente si equivalgono, con una violenza paradossalmente superiore. Questa è una guerra tra la gente: non ci sono aerei che bombardano dal cielo, ma si combatte villaggio per villaggio, con episodi di stupro etnico. Ci sono tutti quegli elementi di barbarie tipici dei conflitti africani, come purtroppo li conosciamo.

Dal punto di vista militare, che tipo di guerra è?

C’è una forte regionalizzazione del conflitto. Quella in Sudan è una guerra “a matrioska”, con una grande guerra civile tra esercito e RSF a livello nazionale, mentre nelle singole province ci sono conflitti tra singoli gruppi armati su base etnica, e così via a scendere, tra milizie di villaggio. È devastante: non c’è un angolo del Paese che non sia scevro da questo tipo di dinamica.

Ma tutte queste milizie fanno capo comunque a uno dei due grandi contendenti?

Sono sostanzialmente raggruppate sotto i rispettivi “ombrelli”, ma hanno delle agende molto autonome. Hanno giurato alleanza a uno dei due contendenti, pur combattendo una loro guerra specifica. Una milizia locale legata alle RSF può agire nello stato del Blue Nile, a condizione che questa piccola guerra regionale porti un danno alle forze regolari, agli avversari dell’esercito.

Nello scontro a livello nazionale, chi sta prevalendo: l’esercito di Al Burhan o le RSF di Dagalo?

L’esercito ha quasi liberato interamente Khartoum, la capitale: pochi distretti rimangono nelle mani dell’RSF. Però l’epicentro del conflitto si è spostato nella capitale del Darfur, Al Fashir. Lì si sta concentrando lo sforzo: le RSF vorrebbero conquistarla per farne un loro bastione. L’esercito, invece, cerca di rompere le linee di comunicazione tra le varie unità delle RSF nel quadrante meridionale del Paese. In generale, siamo in una fase leggermente favorevole all’esercito regolare, ma non in maniera schiacciante.

C’è la possibilità di una trattativa di pace seria? I tentativi realizzati finora hanno dato qualche risultato?

Al momento, il quadro diplomatico è praticamente vicino allo zero. I tentativi di mediazione più importanti sono stati fatti dai Paesi del Golfo, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. C’è stato pure un tentativo turco, ma sostanzialmente inefficace. Finché le RSF avranno il controllo di alcuni giacimenti d’oro e riusciranno ad avere accesso al mercato illegale per venderlo, non saranno inclini a sedersi al negoziato. D’altra parte, tutta questa guerra si gioca proprio sul controllo delle risorse minerarie e di quelle aurifere.

Al Burhan e Dagalo combattono per questo?

Si combatte perché le RSF non vogliono essere reintegrate nell’esercito e non vogliono perdere il controllo delle loro miniere. L’unica pace possibile arriverà quando una delle due parti non sarà più in grado di combattere, oppure quando le RSF accetteranno un accordo di compromesso. Il vero problema è che Dagalo non vuole concedere il controllo delle miniere ad Al Burhan, mentre quest’ultimo, ingolosito dalle ricchezze del suo avversario, vuole prenderne il posto.

Le due fazioni in lotta si autofinanziano grazie alle miniere che controllano?

Assolutamente sì: i soldi alle RSF arrivano anche dagli Emirati Arabi Uniti, la più grande lavatrice dei proventi del contrabbando di oro. Da lì, e anche dai russi, così come da tutti i Paesi che acquistano l’oro contrabbandato del Sudan e poi, a casa propria, gli mettono un marchio di estrazione diverso.

Al Burhan è sostenuto da qualche governo esterno?

I suoi interlocutori migliori sono Turchia e Arabia Saudita, ma recentemente ha riaperto anche ai russi, molto probabilmente promettendo loro per l’ennesima volta la concessione di una base a Port Sudan. Si tratta, però, di una trattativa che va avanti da una vita: i russi adesso riescono a concentrarsi su poche cose, sul mantenimento delle basi in Siria e delle infrastrutture in Libia, oltre che, soprattutto, sul combattere in Ucraina. Al Burhan, comunque, sta cercando di portare i russi dalla sua parte.

Qual è lo scenario che ci prospetta ora?

Lo scenario che abbiamo davanti è di combattimenti a oltranza: almeno per ora, di spiragli di pace non ce ne sono.

Perché gli aiuti umanitari non riescono a raggiungere la popolazione?

Il blocco dei finanziamenti a USAID da parte del governo americano avrà effetti deleteri nei prossimi mesi in tutto il continente africano e nelle zone a forte grado di incertezza, come l’interno dell’Etiopia, il Sud Sudan, la Somalia e il Sahel. Far arrivare aiuti è difficile; però è anche vero che la comunità internazionale, la FAO, le Nazioni Unite e le ONG, sfruttando degli intermediari, possono attivare dei canali per inoltrare i viveri. Se però l’intermediario è una milizia con una propria agenda, userà gli aiuti come strumento militare, distribuendoli in base ai suoi interessi.

(Paolo Rossetti)

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