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Home » Esteri » Russia » DA MOSCA/ Mons. Pezzi: la Resurrezione è il più grande anti-potere del mondo

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DA MOSCA/ Mons. Pezzi: la Resurrezione è il più grande anti-potere del mondo

Paolo Pezzi
Pubblicato 20 Aprile 2025
A Zaporizhzhia (Ucraina), dopo un attacco russo (Ansa)

A Zaporizhzhia (Ucraina), dopo un attacco russo (Ansa)

Nella Pasqua, resurrezione di Cristo, il male non è tolto, ma non fa più paura. È la strada del perdono: possiamo ricominciare, sempre

Durante il periodo della Quaresima mi ha particolarmente colpito accorgermi, forse per la prima volta, dell’insorgere di un idolo dalle tante facce: il nuovo (in realtà già vecchio come la creazione del mondo) potere mondiale (mondano?), fatto di arroganza, prepotenza, violenza, crudeltà, ipocrisia, tanto da cambiare posizioni in meno di ventiquattr’ore.


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Questo idolo del potere, così poliedrico, è in realtà assai monotono nella sua propaganda (anche se usa parole molto profonde come pace, amore, giustizia, rispetto dei diritti). Agisce il potere in modo trasversale ad ogni cultura e appartenenza, passando oggi sulla testa di persone e popoli senza battere ciglio, senza più riguardo né per la razza, né per il colore della pelle, né per la storia, né per la cultura. Riprendendo il profetico articolo di Pasolini, potremmo dire che si punta sempre più all’omologazione, anche se alquanto al ribasso.


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In un momento di grandi attese, grazie anche al grande Giubileo della speranza, in cui dovrebbero esserci, almeno secondo il buon senso, atteggiamenti costruttivi, o almeno propositivi segni di rinascita, chi più ha potere lo usa invece in modo realmente diabolico, così da umiliare l’avversario di turno, se non da cercare di annientarlo. È come se il fumo di Satana, come lo ebbe a chiamare san Paolo VI, non si limitasse più alla Chiesa, ma passasse ad invadere, per dissolverla, tutta la vita nelle sue dimensioni temporali e spaziali.

A volte sembra di essere regrediti fino ai nostri antenati della preistoria, dimenticando tutte le lezioni della storia, rinnegando il proprio passato, le proprie radici, come se fossimo noi, bambini capricciosi, all’origine di tutto. Come se il destino (ahimè lo sfascio) del mondo fosse nelle nostre mani.


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Tutto ciò pesca nella dimenticanza di Dio, o meglio, nell’averlo lasciato fuori dalla porta, al freddo e al gelo, come avviene normalmente a Natale, o appeso a una croce a Pasqua. Quella di Cornelio Fabro che sembrava una “bella” definizione del laicismo, ma in fondo solo una definizione filosofica, “Dio se c’è, non c’entra” è oggi la prassi normale del potere.

Eppure Dio non si stanca, e non si attarda a recriminare. Sta sempre lì a ricominciare: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. La ripartenza può quindi stare solo sulla riscoperta esistenziale del fatto che invece Dio c’entra con la nostra vita e col destino dei popoli (con buona pace di tutti resta attuale il discorso di Paolo all’Areopago: alla radice di tutto il vostro darvi d’affare, di tutti i vostri movimenti, di tutti i vostri conflitti, sta la ricerca di Dio, di un quid, per cui valga la pena vivere), eccome se c’entra!

La ripartenza sta nella riscoperta di quanto più proprio e assoluto c’è nel cuore di ogni uomo, che lo mette in diretto rapporto con Dio: la religiosità.

Mi ha sempre molto colpito una frasetta, quasi buttata lì en passant, del quinto capitolo del Senso religioso di Luigi Giussani, quando scrive che nell’uomo cosciente la risposta al potere, l’unica vera possibile messa in discussione del potere (e si badi bene non per distruggerlo, ma per riportarlo al suo vero splendore), sta nella grande tristezza, la grande toska, cioè nell’umile e tenace affermazione di Dio, anche se Dio può sembrare lontano, in “silenzio”; anche a costo di dare la vita; non a caso dice il salmista: “la tua grazia vale più della vita”, affermare che Tu ci sei, e io vivo solo perché ci sei e mi hai amato, e mi ami, val bene il dare tutta una vita.

Nel racconto della passione di Gesù Cristo fatto da Giovanni spicca lo strano dialogo tra Pilato e Gesù, tra l’arroganza fragile del potere e il silenzio bronzeo di Gesù – nel senso che Dio dà a questo concetto nel Suo messaggio al profeta Geremia: “se tu affermerai Me, il rapporto costitutivo di te con Me, allora Io ti renderò come un muro di bronzo, invincibile”.

Mi hanno molto provocato queste parole di padre Mauro Lepori, che mi hanno segnalato: Pilato ha fuggito l’eterno, il sacro, la totalità dell’essere, ha fuggito la verità che è l’amore, per correre nelle braccia del potere, e nelle braccia del potere l’uomo perde sempre la libertà, perché il potere è la simulazione diabolica dell’infinito.

Abbracciando il potere l’uomo viene trascinato là dove non è più libero di amare la libertà dell’altro, cioè là dove non è più libero di amare l’amore, il dono della vita, vale a dire ciò per cui l’uomo è fatto, ciò per cui la libertà, il cuore, sono fatti ad immagine di Dio.

L’antipotere, si dice ancora alla fine dell’ottavo capitolo di quel capolavoro dell’umano che è Il senso religioso, è l’amore. Perché l’amore non è interessato a distruggere nulla, ma a salvare tutto. Anche il male fu bene, fu per un bene maggiore. Con la resurrezione non è tolto il male dal mondo, ma non fa più paura, e così anche il potere non può più nulla. Con Gesù Cristo morto e risorto il potere di morte, il potere del “mondo” è divenuto solo apparenza (Schlier).

In fondo Gesù con la Sua morte e resurrezione ha innalzato sopra ogni possibile divisione e rovina fino all’eternità, fino al compimento, fino alla felicità (altro spauracchio per ogni idolo) il valore inalienabile e indistruttibile della religiosità. La resurrezione inaugura il ri-vivere del rapporto dell’uomo con Dio, ma cento volte amplificato: “chi mi segue, chi entra in questo cammino di croce e resurrezione riceve cento volte tanto la letizia e la pace che si trovano nel rapporto con l’abbraccio di Cristo risorto nel presente della sua vita”. Ma con la resurrezione di Gesù Cristo anche i rapporti quotidiani tra gli uomini e con la realtà sono cambiati, trasfigurati.

La resurrezione inaugura quindi un vero cammino di speranza, pone l’uomo sulla strada verso la vita che non finisce, sulla strada del perdono, del ricominciare, sempre; ciascuno ora, in ogni momento, può convertirsi, cioè rivolgersi al Risorto per ottenere il perdono: “chiunque ha questa speranza in Cristo risorto, purifica se stesso, così come Egli è puro”.

Perciò è sempre attuale l’antica antifona: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti: Cristo ridà a te la vita, le forze per il cammino, la luce per non perderti nelle tenebre di questa generazione perversa. E allora ripetiamo anche noi col salmista: “Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora; perché presso il Signore è la misericordia, grande è presso di lui la redenzione”.

Forse questo potrebbe essere conveniente (oggetto di conversione, in cui si guadagna e non si perde nulla!) per tutti, anche per il potere.

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Tags: Pasqua

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