Il cuore di Francesco, il cuore della gente

In tanti hanno partecipato ai funerali di papa Francesco: grande l'attrazione che aveva e che arrivava direttamente al cuore

Che cosa spinge centinaia di migliaia di persone a stringersi al Papa defunto per l’estremo saluto? Affezione e gratitudine: questo soprattutto si è percepito nelle parole e sui volti.

E chi sono queste centinaia di migliaia? Sono… la gente. Non solo cattolici, non solo credenti. Ma la gente gente.

E che cosa ha suscitato quella affezione e quella gratitudine? Può essere stata in prima una certa parola libera e coraggiosa, o un certo gesto spontaneo e non troppo protocollare, una certa sottolineatura, l’attenzione reale ai poveri, la lotta impavida per la pace… Possono essere tante cose particolari. Ma la faccenda non si ferma lì, per la gente gente.



Si ferma lì, magari, in chi per scopi politici approva del Papa quel che gli fa comodo e silenzia ciò che lo scomoderebbe. Per la gente queste cose particolari sono state come la porta aperta a un’attrazione più potente, l’attrazione che desta un “tipo umano” in tutto il suo essere, e in tutto il suo modo di essere, straordinariamente umano. Possiamo dire l’attrazione di una presenza eccezionale nella sua semplicità. L’attrazione che arriva al cuore.



Cuore

Con il cuore non si scherza. Ho trovato molto efficace un articolo di Susanna Tamaro, sul Corriere della Sera (24 aprile). “Oggi – afferma la famosa scrittrice – parlare del cuore… è ragione di scherno e di emarginazione”, sembrerebbe “come scrive papa Francesco nella Dilexit nos, che la realtà più intima sia quella più lontana per la nostra conoscenza”.

La nostra, prosegue la Tamaro, che nega la dimensione più profonda della vita, impedendo di far emergere, come ricorda papa Francesco – le domande che contano: chi sono? Che cosa cerco? Che senso voglio che abbia la mia vita, per quale scopo sono in questo mondo? Tutte domande che portano a cuore”. E la grande commozione suscitata in tanta gente dalla morte di Francesco è indizio “di una crepa che si è aperta”.



Segno

Lucio Brunelli, vaticanista, in un bell’articolo su L’Osservatore Romano, ci offre tratti preziosi di quella “presenza eccezionale nella sua semplicità” colti nella sua personale esperienza di amicizia con Bergoglio, già da quando era arcivescovo di Buenos Aires: quando “si muoveva sempre coi mezzi pubblici ed era amico dei preti delle baraccopoli… Persona mite, dotata anche di sano umorismo, che aveva la capacità unica di mettere a proprio agio l’interlocutore… di farti sentire libero, anche di dirgli ciò che non ti convinceva… ci disse di preferire i detrattori agli adulatori”; di sé disse ai carcerati boliviani: “Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato”.

“Quello che mi interpella – ha scritto il card. Angelo Scola (Corriere della sera, 26 aprile) – è la modalità di totale dedizione e vicinanza agli altri che testimonia Francesco”.

L’ultima riga di Brunelli sintetizza che meglio non si può la figura di Francesco: “Segno di quella compassione per l’uomo propria di Cristo, di cui Francesco ha domandato al Signore di essere umile testimone”.

Potere

Il potere, o la vita normale che ormai così tanto sono compenetrati, cospirano a chiudere questa crepa. Essa va invece riconosciuta e non sigillata, perché è da lì, da quella crepa che porta al cuore non manipolabile, perciò al senso religioso, che può passare la liberazione dell’umano.

Occorre essere aiutati a cogliere come segno, e non solo come fenomeno, come segno di altro, quella attrattiva che ci ha commossi, e quella stessa persona – Francesco – che l’attrattiva ha suscitato. Occorre, in definitiva, che l’attrazione si chiarisca nella sua profondità nell’incontro con il fatto di Cristo percepibile come risposta alla domanda umana, come pertinente alla vita, e non come superfetazione pietistica, attivistica o ideologica, comunque inutile.

Movimento

Un “movimento” nella Chiesa c’è per collaborare a questo compito. Il card. Kevin Farrell, che  in questo momento ha assunto il governo ordinario della Chiesa fino all’elezione del nuovo Papa, ha messo ben in luce la simbiosi tra amore all’uomo e amore a Cristo, per esempio nel carisma di don Giussani.

Ha scritto il porporato per il ventesimo della morte del fondatore di CL: “Ha saputo parlare all’uomo in quanto tale, all’uomo che ha delle domande di senso insopprimibili, che ha in sé il desiderio di vivere in pienezza ogni aspetto della vita: L’uomo che si sente inquieto fino a che non riesce a trovare una risposta globale alle sue domande, quel qualcosa che dà senso a tutto, che si presenta così carico di essere, di bene, di verità che può appagare ogni desiderio, che può essere fondamento a ogni aspetto del reale e che può dare spessore a ogni esperienza umana, inclusi, appunto, gli aspetti più ordinari e laici dell’esistenza: gli affetti, l’amicizia, lo studio, la scienza, il lavoro…

A questo prendere sul serio l’uomo don Giussani ha unito il prendere sul serio Cristo. La scoperta di Gesù come centro della storia e del cosmo, come fulcro di tutto ciò che esiste e come pienezza di senso per l’uomo”.

Meglio uno che trentadue

Non si ricomincia da trentadue, si ricomincia da Uno. Sono due titoli del settimanale “Il Sabato”. Il primo subito dopo la sconfitta del referendum contro l’aborto, nel 1981, appunto 32 a 68 per cento. Il secondo titolo apparve qualche tempo dopo, pensandoci meglio e correggendo ovviamente la rotta. Il primo titolo suggerisce una postura sociopolitica (che sarebbe oltretutto fallimentare), il secondo una postura di fede missionaria, una compagnia all’umano e al suo destino in nome di un Altro. Trentadue, per quanto stimabili, non incontrano il cuore umano. Uno, quell’Uno, si, attraverso la compagnia di chi lo riconosce.

Se no, i Trentadue vanno a rane. E, quel che è peggio, la crepa aperta da Francesco, o da chicchessia, prima o poi si chiude e l’attrattiva si ammoscia e svanisce.

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