Aumentano le critiche a Netanyahu nella società israeliana. Il premier parla di complotto contro il governo, ma il piano anti-palestinesi procede
“Non ci sono innocenti a Gaza, nemmeno bambini appena nati. Sono tutti destinati a morire”. Secondo Yossi Verter (editorialista di Haaretz, il quotidiano israeliano vicino all’attuale opposizione di governo) sarebbe questa l’inconfessabile verità alla base della strategia del premier Netanyahu. Il quale Bibi si è appena reso protagonista di una conferenza stampa show (la prima in sei mesi), nella quale s’è avventurato in iperboliche tesi complottiste, accettate solo dai seguaci del “Bibismo” di estrema destra.
Commentando l’omicidio di due lavoratori dell’ambasciata israeliana a Washington, Bibi ha dichiarato: “Sono rimasto scioccato: ci sono quelli che versano benzina sul fuoco antisemita globale”, avvalorando la tesi di alcuni suoi ministri “falchi”, che incolpano apertamente dell’accaduto Yair Golan, il leader dei democratici.
La teoria del complotto sostiene che ore prima dell’inizio dell’attacco terrorista del 7 Ottobre (597 giorni fa), ai soldati nell’area adiacente alla Striscia di Gaza sarebbe stato ordinato di allontanarsi dalla recinzione. E quando è iniziato il massacro, qualcuno avrebbe impedito all’aeronautica di agire.
Dunque tradimento, cooperazione con Hamas da parte del servizio di sicurezza Shin Bet e da parte dei generali dell’esercito, tutto nel tentativo di abbattere il governo di destra. Ed invece la cospirazione è fallita, Bibi ha vinto, ed è un sopravvissuto. Ma il pericolo rimane: ci sarebbero ancora nidi di traditori nel sistema, agenti dormienti e coloro che non sono dormienti, come il procuratore generale e la sua gente, che “agiscono contro il governo che agisce contro Hamas”. Un antistato, insomma, fatto di ex funzionari “che infestano gli studi televisivi e fanno eco alla propaganda del nemico”.
Una teoria surreale, almeno secondo gli analisti di Haaretz, per negare ogni traccia di responsabilità per i fallimenti del 7 Ottobre, in una disconnessione quasi totale dal pubblico israeliano, per un leader che vive nell’ecosistema estremista che ha coltivato intorno a sé.
Netanyahu ha anche voluto rivolgere un monito ad Hamas: “Non accettate un accordo parziale, perché non appena riceveremo metà dei rapiti, sia morti che vivi (secondo il piano dell’inviato statunitense Steve Witkoff), intendiamo tornare a combattere”. Amen.
Intanto, mentre l’Italia sventola lenzuola bianche a mo’ di sudario per ricordare la morte di Gaza, la macabra contabilità ufficiale della guerra vede ormai ben più di 50mila vittime palestinesi, ma quella parallela suggerisce cifre anche doppie. “Israele va nella direzione della pulizia etnica e del genocidio”, ha detto l’olandese Saskia Kluit relazionando all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.
Vero è che gli aiuti umanitari sono stati bloccati dal 2 marzo (l’arma della fame), e adesso si cominciano a registrare le prime vittime (bambini) proprio per fame, mentre Tel Aviv annuncia la nascita di una Ong dedicata (e ovviamente controllata da vicino), la Gaza Humanitarian Foundation, che dovrebbe diventare l’unica a operare nella Striscia per la distribuzione del cibo, nella certezza che non finisca nelle mani di Hamas, che lo ha sempre destinato agli accoliti o al più ha rivenduto le derrate al mercato nero.
Per di più, gli aiuti dovranno essere smistati solo in pochissimi ceck-point, tutti nel sud della Striscia, motivando i pochi resilienti del nord ad un trasferimento obbligato dalla sopravvivenza.
Stessa lotta per sfamarsi che ha probabilmente motivato il saccheggio, l’altra notte, di quindici camion carichi di scorte alimentari, denunciato dal World Food Programme (WFP), il programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.
Il WFP ha affermato che la “fame, la privazione e l’ansia riguardo all’arrivo degli aiuti alimentari stanno contribuendo all’aumento dell’insicurezza”. Ed infatti si moltiplicano le segnalazioni di scorribande di uomini armati alla caccia di ogni genere di bene, in un clima di costante precarietà, di miseria, paura, un brodo di coltura capace di inquinare ogni forma del vivere.
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