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Home » Politica » REFERENDUM/ Opinioni in “libertà” e numeri veri di un risultato che Landini non ha capito

  • Politica
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REFERENDUM/ Opinioni in “libertà” e numeri veri di un risultato che Landini non ha capito

Marco Zacchera
Pubblicato 11 Giugno 2025
Leader sinistra al corteo per Gaza

Leader Sinistra al corteo per Gaza: Bonelli, Schlein, Fratoianni e Conte (ANSA 2025, Massimo Percossi)

Una spesa inutile e un voto a sorpresa sulla cittadinanza: tutti i flop della sinistra che finiscono per mettere in crisi l’istituto referendario

Per prima cosa diciamoci finalmente la verità: i referendum non hanno raggiunto nemmeno la quota di partecipazione del 30%, fermandosi al 29,89%. I “furbetti” hanno fatto finta di dimenticare il voto all’estero, che alla fine ha fatto ulteriormente scendere la percentuale generale.

Landini potrebbe però giusto trasferirsi in Guinea Bissau, visto che là hanno votato 26 dei 27 italiani residenti (96%) con tutti “sì” (100% su 16 voti validi) pur con la fastidiosa presenza anche lì di 10 schede nulle o bianche.


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Che non si sarebbe raggiunto il quorum lo si sapeva già, ma arrivare addirittura sotto il 30% è un risultato che si ritorce contro i proponenti, perché da qualsiasi parte lo si prenda è una amara sconfitta per l’opposizione.

Innanzitutto perché i “Sì” alla fine sono stati (nel referendum a più alta adesione) solo il 25,4%, pari a 13.033.000 voti rispetto ai 51.301.000 di aventi diritto, che scendono al 19% (9.750.000 voti) per il quesito sulla cittadinanza. Circa la “interpretazione Boccia”, va ricordato che i voti al centrodestra nel 2022 furono 12.745.206 (a parte le liste locali che poi hanno però aderito alla maggioranza) su però una platea di soli 50.862.000 elettori e che questa volta 4,3 milioni di persone avevano la possibilità di votare fuori sede e quindi erano agevolate a votare.


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In conclusione, conti alla mano, il centrodestra può legittimamente sostenere di aver comunque preso più voti nel 2022 rispetto ai “Sì” dei referendum di domenica scorsa.

Non dimentichiamoci poi che – flop nel flop – oltre un terzo degli elettori ha detto “No” all’unico referendum veramente politico, quello legato alla cittadinanza, che avrebbe dovuto mobilitare maggiormente l’elettorato. Si prevedeva, a sinistra, che questo quesito avrebbe potuto avvicinare il quorum catalizzando una larga parte di elettori favorevoli. E invece è accaduto il contrario: una consistente parte di chi si è recato al seggio ha espresso contrarietà alla concessione della cittadinanza italiana agli immigrati.


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Questo vuol dire – ammettendo che abbiano votato quasi tutti elettori di sinistra – che comunque ben più di un terzo di quegli elettori non è d’accordo con la linea aperturista e che, in buona sostanza, implicitamente in fondo vede bene le politiche del governo di contenimento dell’immigrazione così tanto contestate a sinistra.

Si è detto che a votare “Sì” siano stati elettori del M5s in libera uscita che avevano indicazione di libertà di voto, ma, a parte il fatto che gran parte degli elettori M5s sarebbero rimasti a casa, è stato piuttosto un’indicazione sui veri sentimenti “di pancia” dei cittadini di sinistra su questioni come la cittadinanza, l’immigrazione, ma anche il decreto sicurezza, sul quale il governo dovrebbe insistere molto di più, a sottolineare le incongruenze di chi si è tanto sbracciato a contestarlo.

Un segnale utile forse anche per la CEI e le mille associazioni che sostengono il contrario, mentre se fossi la Schlein mi preoccuperei anche di più, visto che perfino nella “sua” Emilia – dove la sinistra è di fatto “solo” Pd – ben oltre un terzo dei suoi elettori hanno comunque detto “no” al quesito sulla cittadinanza.

Ma ci sono altre curiosità: per esempio il livellamento estremo delle percentuali degli elettori per i cinque quesiti, così come è stato un vero flop il voto dei “fuori sede” tanto voluto da chi pensava che il voto giovanile degli universitari avrebbe rilanciato la partecipazione. Su 4,3 milioni che potevano chiedere il voto a distanza, lo hanno richiesto meno di 87mila persone, e alla fine sembra che circa un quarto di loro non sia neppure andato a votare (e allora, cosa si sono iscritti a fare?); così come è stata molto bassa la partecipazione all’estero nonostante l’esercito di oltre 5mila scrutatori mobilitato per gli scrutini a Castelnuovo di Porto con un costo enorme per la comunità e nessun risultato. Pensate al trasporto delle schede dall’Australia o dal Cile a Roma per scrutinarle!

Addirittura per molte nazioni si sono dovuti “accorpare” i seggi perché c’erano meno di 20 schede scrutinabili. Ma anche qui un dato significativo: oltre il 30% ha votato “No” a tutti i referendum con punte ben più alte per la cittadinanza (con maggioranza dei “No” in diversi Paesi, per esempio il Sudafrica).

Alla fine non è cambiato niente, salvo aver buttato dalla finestra qualche decina di milioni di euro: chi chiede un referendum e non raggiunge il quorum o nemmeno una percentuale minima prefissata non dovrebbe essere chiamato a compartecipare alle spese?

Perché ricordiamoci che ora le firme si possono raccogliere anche in via telematica e sarà quindi sempre più facile farlo, ma o si mette un freno, o sarà la fine di quella scelta seria e importante che era l’istituto referendario. Ha ragione Landini: è una “crisi di democrazia”, ma purtroppo al contrario di come la intende lui.

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Tags: Maurizio LandiniM5sPdElly Schlein

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