Cos'è lo Stretto di Hormuz, perché se parla e cosa succederebbe se l'Iran decidesse di chiuderlo: la "Via del Petrolio" tra Medio Oriente e Occidente
Con la guerra in Medio Oriente – in questa fare in particolare concentrata tra Iran e Israele – e l’intervento militare guidato dagli USA la scorsa notte, si torna a parlare dello Stretto di Hormuz (anche noto con il nome di “Porta della Pace” o “Via del Petrolio”) in seguito alla minaccia da parte delle Guardie della Rivoluzione islamica di chiuderlo come atto ritorsivo per l’intervento da parte degli Stati Uniti e con effetti che finirebbero per ripercuotersi sull’occidente e, soprattutto, sull’Europa.
Facendo prima di tutto un passo indietro, è bene ricordare che da aver tirato in ballo lo Stretto di Hormuz è stato il Majlis, ovvero il Parlamento iraniano che proprio nella giornata di oggi – alle prese con gli effetti dei bombardamenti statunitensi – ha votato una risoluzione per chiedere al Consiglio supremo di sicurezza nazionale di chiuderlo: una situazione – e ci torneremo tra un attimo – che avrebbe conseguenze devastanti, già in parte paventate dai mercati internazionali che hanno immediatamente reagito (ovviamente in negativo) alla minaccia.
Per ora, dal conto suo, l’ayatollah Ali Khamenei non sembra essersi ancora sbilanciato pubblicamente sull’argomento e resta fermo il fatto che una simile decisione richiederebbe anche l’approvazione da parte del “dirimpettaio” Oman; mentre una reazione è arrivata dagli Stati Uniti e, in particolare, dal vicepresidente JD Vance che ha definito la chiusura dello Stretto di Hormuz un vero e proprio “suicidio” per gli ayatollah, dato che proprio la loro “intera economia” dipende da quel singolo fazzoletto di mare.
Stretto di Hormuz: cos’è e perché è così tanto importante per l’Occidente e il Medio Oriente
Ma cos’è effettivamente lo Stretto di Hormuz e perché tutti – mercati inclusi – lo ritengono così importante per l’intero occidente? La risposta è piuttosto semplice, ma prima di arrivarci occorre ricordare che si tratta concretamente di un corridoio marittimo che scorre tra Iran e (appunto) Oman, rappresentando l’unico vero e proprio collegamento tra il Golfo Persico, il Golfo dell’Oman e il Mar Arabico strettamente legato da una serie di accordi stipulati nel 1975 tra il governo islamico e quello omanita.

Di fatto dallo Stretto di Hormuz transita attualmente – secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia – circa il 25% del petrolio mondiale, più del 30% del gas naturale e più del 20% del GNL (ovvero il gas naturale, nella sua forma liquefatta comoda per il trasporto marittimo): a livello numerico si tratta di più di 3mila navi che vi transitano mensilmente e di circa 21 milioni di barili giornalieri provenienti da ogni angolo del Medio Oriente arabo, pari a loro volta a un terzo delle forniture marittime mondiali.
Complessivamente, lo Stretto di Hormuz risulta centrale nell’economia di Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi, senza ignorare neppure che anche per l’Iran si tratta di uno snodo economicamente e commercialmente fondamentale e non a caso dalla Rivoluzione Islamica iraniana del 1979 a questa parte ci sono state – riporta Ansa – almeno una 20ina di situazioni in cui gli ayatollah ne hanno minacciato la chiusura per far leva su altri paesi; fermo restando che di fatto non è mai veramente capitato.
Gli effetti (potenziali) della chiusura dello Stretto di Hormuz: il greggio potrebbe arrivare a costare 200 dollari a barile
Secondo delle stime da parte della già citata Agenzia internazionale per l’energia l’effettiva chiusura dello Stretto di Hormuz causerebbe profondi e drammatici impatti “sul mercato del petrolio e del gas” mondiale, tali da far volare il prezzo del greggio – questa una stima fatta da Confartigianato – a oltre 200 dollari a barile nell’arco di pochissimi minuti, con l’ultima quotazione (utile per un confronto) che è di poco inferiore ai 74 dollari.
Secondo l’analista geopolitico dell’Università di Oslo Francesco Sassi – interpellato da AdnKronos – si tratta di una “situazione molto complessa” che finirebbe per colpire “l’Europa e tutto l’Occidente” che stanno già scontando gli effetti dell’ingente “debito pubblico”, della “crescita sfibrata” e della crisi energetica sorta dallo scoppio della guerra in Ucraina: in tal senso, soprattutto i consumatori europei pagherebbero il prezzo maggiore dalla chiusura dello Stretto di Hormuz dato che dalla crisi ucraina la diversificazione delle forniture di petrolio e gas ha puntata soprattutto sul Medio Oriente.
