I sindacati oggi dovrebbe essere uniti per cercare di garantire una formazione continua ai lavoratori, così da tutelarli attivamente
Abbiamo una situazione del mercato del lavoro certamente positiva. La crescita dell’occupazione rallenta ma non inverte la tendenza. Non basta certamente per chiudere il deficit demografico che sta già pesando sulla nostra occupazione. È un sentiero positivo cui dovremmo lavorare per aggiungere un calo del tasso di inattivi che rimane troppo alto.
In una situazione di forte domanda di lavoro dovremmo trovarci con maggiori iniziative sindacali per ottenere più salari e tutele per i propri rappresentati. Nella realtà, purtroppo, il lavoro fa invece notizia per il tremendo numero di incidenti che avvengono e che segnano una crescita dei morti sul lavoro. Serviranno certamente anche nuove norme, ma la mancanza di un sistema di controlli e una scarsa diffusione della cultura della sicurezza sono ancora alla base di un nostro ritardo nell’affrontare in modo compiuto l’impegno per dare sicurezza in ogni impiego lavorativo.
Alle tragiche notizie legate agli infortuni si aggiungono con una certa regolarità le statistiche sui salari che ci ricordano come nel nostro Paese il lavoro abbia pagato un prezzo eccessivo alle crisi finanziarie passate e alla ripresa dei margini di profitto. Il risultato è che tuttora i salari hanno perso mediamente poco meno del 10% negli ultimi anni causa un’inflazione che ha regolarmente pesato più degli aumenti ottenuti.
Tenendo conto del ritardo dei rinnovi contrattuali, che peraltro sono spesso ancora in sospeso per molti lavoratori (basti pensare che aspettano il rinnovo sia i metalmeccanici che larga parte della Pubblica amministrazione), possiamo dire che il mondo del lavoro ripartirà nel prossimo autunno con la necessità di porsi il problema del recupero di potere d’acquisto.

Affrontare il tema del riconoscimento economico dovuto ai lavoratori non è semplice. Richiede un’analisi attenta della situazione economica del Paese e degli strumenti a breve e medio periodo che si devono impegnare. La risposta ovvia è quella che serve una crescita della produttività per porsi il problema di distribuire di più al lavoro. Non è così in tutti i settori, ma è vero che la produttività del sistema Italia nel complesso è molto indietro rispetto alla capacità complessiva dei Paesi europei con cui ci misuriamo economicamente.
Per affrontare una piattaforma rivendicativa capace di tenere assieme le richieste di aumenti salariali con il miglioramento complessivo della produttività di sistema occorre una capacità di dialogo unitario fra le principali organizzazioni sindacali oggi difficilmente immaginabile.
L’anno che ci sta alle spalle ha visto i principali sindacati battersi per due obiettivi identitari per ciascuno di essi.
La Cgil, con l’impegno per il referendum contro il Jobs Act, ha insistito su una lettura del mercato del lavoro che, visto che non è stato caratterizzato da un eccesso di licenziamenti post-Covid, è comunque negativo perché caratterizzato solo da lavori precari e sottopagati. La soluzione passerebbe da interventi legislativi dall’alto che dovrebbero per legge creare salari più alti e contratti di lavoro stabili.
D’altro canto la Cisl ha raccolto le firme per una proposta di legge per sostenere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e, con interventi limitati sull’impatto della legge, ha ottenuto dalle Camere l’approvazione della sua proposta.
I risultati ottenuti sono visti come grandi vittorie da entrambi i sindacati. Stupisce che la Cgil insista non solo a esaltare come un successo il risultato negativo del referendum. Infatti, sulla base della stessa analisi catastrofista, propone per l’autunno mobilitazioni per richiedere interventi legislativi che risolvano la situazione di ritardo su salari e tutele. La Cisl ha ottenuto il riconoscimento di una propria richiesta storica e però sa bene che potrà essere una piattaforma utile se capace di creare un clima diverso nelle imprese e sviluppare realmente forme di partecipazione alla gestione.
Se la situazione appare di distanza siderale e quindi di impossibilità per le organizzazioni sindacali di trovare punti di incontro per riannodare un percorso comune, vi è però un punto su cui provare a ripartire assieme.
La tutela migliore dei lavoratori passa oggi per una formazione continua che assicuri a tutti sia il mantenimento della loro occupabilità, sia la possibilità di migliorare la propria condizione lavorativa. Il sistema di formazione professionale per chi arriva al lavoro e la formazione continua per chi già è impegnato nel lavoro devono diventare un processo unico capace di assicurare politiche attive lungo tutto l’arco della vita lavorativa.
Un grande progetto nazionale portato avanti unitariamente servirebbe a dare più forza ai lavoratori e darebbe una scossa positiva alla produttività di tutto il sistema economico nazionale. Sarebbe la base per aumentare sia i salari minimi che quelli medi. Un reale aumento del valore del lavoro.
Avrebbe anche un merito culturale. Affrontare il tema della formazione attiva per tutta la vita lavorativa comporta definire una piattaforma dove avanzare proposte, capire cosa e a chi chiedere di intervenire, ma soprattutto assumersi anche responsabilità dirette nella gestione dei servizi attivi che si intende promuovere.
Ecco, la vera svolta unitaria è tornare ad affrontare temi dove l’assunzione di responsabilità si sposa con la capacità di elaborare piattaforme che cambiano realmente la realtà quotidiana del lavoro.
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