Le linee guida sull'introduzione dell'intelligenza artificiale (AI) nella scuola pubblicate dal MIM lasciano alcuni gravi problemi irrisolti
Il ministero dell’Istruzione ha pubblicato, come allegato al DM n. 166 del 9 agosto 2025, le nuove Linee guida per l’introduzione dell’intelligenza artificiale (AI) nelle scuole. Un documento molto atteso, che segna l’ingresso ufficiale dell’AI nelle aule italiane. L’obiettivo è chiaro: spingere la scuola verso l’innovazione digitale, offrendo strumenti capaci di personalizzare l’apprendimento e di rendere più efficiente la didattica.
Ma se l’entusiasmo istituzionale è grande, le domande non mancano: davvero l’AI renderà gli studenti più preparati? Oppure rischia di indebolire la loro capacità critica e creativa?
Le Linee guida parlano di opportunità straordinarie: tutor digitali, strumenti per l’inclusione, valutazioni automatizzate. Ma la scienza non ha ancora certezze. Alcuni studi iniziano a mostrare che l’uso massiccio di intelligenza artificiale, soprattutto nell’apprendimento, può avere effetti collaterali.
Luciano Floridi e altri filosofi della tecnologia sottolineano da tempo la necessità di distinguere tra potenzialità dichiarate e reali ricadute educative. Più nello specifico, diversi autori mettono in guardia sul rischio che l’AI produca effetti regressivi sulle capacità cognitive e sociali degli studenti.
Il matematico e informatico Nello Cristianini, nel saggio La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano, spiega che l’AI non ragiona come noi: prende decisioni sulla base di calcoli probabilistici. Se ci affidiamo troppo ad essa, rischiamo di perdere la capacità di pensare.
Concetti simili emergono anche in Il duplice enigma di Daniel Andler e in Intelligenze artificiali e intelligenze sociali di Renato Curcio, dove si sottolinea il pericolo di un impoverimento cognitivo e relazionale.
E un dato concreto fa riflettere: oggi una quota enorme di studenti usa già l’AI per fare i compiti a casa. La scuola resta ferma a modelli del XX secolo, mentre i ragazzi hanno in tasca strumenti che scrivono testi, traducono e risolvono problemi in pochi secondi. È chiaro che qualcosa non torna.
In questo scenario si fa strada un approccio diverso: quello dei Patti digitali. Si tratta di un progetto che propone alle famiglie e alle scuole un percorso condiviso per accompagnare bambini e ragazzi nell’uso consapevole delle tecnologie.

Sul sito pattidigitali.it è disponibile un Decalogo rivolto alle scuole che indica regole semplici e concrete: stabilire orari e tempi di utilizzo, privilegiare esperienze offline accanto a quelle digitali, educare al pensiero critico. Non divieti assoluti, ma buon senso e alleanze educative nel rispetto delle scelte delle famiglie che vogliono andarci piano su tutta questa questione.
In altre parole: invece di inseguire l’ultima moda tecnologica, meglio chiedersi come, quando e perché usare l’AI a scuola e a casa.
Proprio per approfondire queste tematiche, sono state organizzate due giornate di approfondimento dedicate ai Patti digitali, previste per sabato 18 e sabato 25 ottobre prossimi. L’invito è rivolto a famiglie, insegnanti, educatori, operatori sociali e professionisti che desiderano confrontarsi e costruire insieme un percorso di educazione digitale più consapevole. La partecipazione è gratuita, grazie al sostegno dell’agenzia di comunicazione Hearts & Science, e l’iniziativa gode del patrocinio della Regione Lombardia.
L’obiettivo? Creare comunità educative capaci di guidare i ragazzi nell’uso delle tecnologie, senza lasciarli soli né illuderli che l’AI possa fare tutto al posto loro.
L’arrivo delle Linee guida ministeriali sull’AI è sicuramente un fatto importante. Ma l’idea che basti introdurre nuove tecnologie per migliorare l’istruzione è un’illusione. L’apprendimento richiede tempo, relazioni, sforzo personale.
Per questo, accanto all’innovazione, serve prudenza. I Patti digitali mostrano che è possibile immaginare un percorso più realistico: graduale, condiviso e rispettoso dei ritmi di crescita dei ragazzi.
Il documento ministeriale spiega cosa è ammissibile e cosa no, ma resta un nodo irrisolto: chi si occuperà di monitorare e regolare il processo? I docenti sono davvero preparati? I ragazzi saranno pronti a collaborare? E soprattutto, le istituzioni hanno la capacità di valutare gli effetti reali dell’AI e trarne conclusioni utili per il futuro?
Forse la vera sfida non è capire quanto siano “intelligenti” le macchine, ma quanto saremo capaci, come società, di restare intelligenti insieme.
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