Il debito pubblico italiano ha superato la soglia dei 3.000 miliardi di euro. Resta da capire se si utilizzerà quello europeo per le spese nella difesa
Il debito “cattivo” – quello della Repubblica italiana – ha superato la soglia assoluta del 3mila miliardi di euro, sui mercati non solo psicologica. La nota della Banca d’Italia sottolinea come il nuovo record certifichi uno dei molti conti lasciati dall’inflazione sul Sistema-Paese (a essere colpiti sono stati gli scarti e premi di rimborso dei titoli rivalutabili all’indice dei prezzi). Non sono però mancati altri due effetti non direttamente legati alle turbolenze macroeconomiche globali.
Il primo è stato l’aumento del fabbisogno della Pa (esso stesso in parte legato all’inflazione) seguito dalla crescita delle disponibilità liquide del Tesoro: cioè la scelta del Governo di irrobustire un cuscinetto finanziario utile nel breve termine a parare eventuali shock piuttosto che a preparare la prossima Legge di bilancio.
Resta il fatto che l’aumento del debito, ormai quasi a metà 2025, va a confrontarsi con un ritmo ancora blando del Pil: che a fine anno – secondo le ultime stime dell’Ue – potrebbe non superare lo 0,7% (mentre al momento è previsto un +0,9% per il 2026). È quindi brutale aritmetica che il rapporto debito/Pil salirà per l’Italia dal 135,3% dell’anno scorso al 136,7% del 2025 fino al 138,2% l’anno prossimo.
Peserà ancora il fardello lasciato dal “Superbonus 110” (deciso del 2020 del governo M5S-Pd) ed è per questo che questo parametro di stabilità Ue sta assumendo una traiettoria viziosa diversa da quella virtuosa del rapporto deficit/Pil: che continuerà a scendere nel 2025, mantenendo per il 2026 l’obiettivo di scendere sotto la soglia “normale” del 3%.
È questo presidio forte ad aver tolto l’Italia dalla sua endemica situazione di “malato d’Europa”, laddove il parametro della gestione corrente della finanza pubblica per la Francia è sopra “quota 6” (la Germania, dal canto suo, avrà crescita zero dopo un anno di recessione, ma ovviamente ha compatibilità economico-finanziarie ancora d’acciaio). L’Italia invece continua a essere indebolita da un debito strutturalmente fuori parametro.
Appare in aumento – per di più – la quota detenuta da soggetti non italiani (32,4%). Una notizia che si presta a una lettura duplice: positiva laddove segnala l’appetibilità riconquistata dei titoli governativi italiani in chiave di rischio/rendimento; meno rassicurante laddove l’internazionalizzazione del debito pubblico – in una fase geopolitica estremamente complessa – è una situazione che sta iniziando a preoccupare perfino gli Usa, recentemente declassati da Moody’s. Nessuno in Italia ha ancora dimenticato il “ribaltone” politico-finanziario del 2011: meno che mai un Governo di destra-centro.
Il taglio del debito sembra quindi uscito dai riflettori dell’attualità politico-mediatica, ma non può essere declassato fra le priorità d’agenda (e a esse sembrano in parte riconducibili anche le preoccupazioni attive del Governo nel risiko bancario, cioè nel consolidamento dell’infrastruttura finanziaria che raccoglie e intermedia il risparmio degli italiani). Su uno sfondo ravvicinato non manca poi certamente l’ora delle decisioni europee sul riarmo: sollecitato fra l’altro da Usa e Nato.
Il passaggio si annuncia strettamente collegato con la riforma della politica finanziaria Ue: cioè con il rinnovamento dei parametri di Maastricht, datati ormai un trentennio abbondante. In questo dossier la possibile collocazione “fuori parametro” delle spese straordinarie per la difesa si accompagna all’opzione “eurobond”: più impegnativa anche su un euro-versante squisitamente politico-istituzionale.
Le riserve sul lancio del “debito buono” – generato dai Paesi Ue, garantito dall’Ue e finanziato anzitutto dal risparmio degli europei – non sono ancora del tutto sciolte: ma quelle decisive della Germania sembrano un via di superamento se la stessa Isabel Schnabel – membro tedesco dell’esecutivo Bce – si è mostrata meno chiusa sul tema. A maggior ragione, l’Italia non può non sforzarsi di presentarsi con le migliori credenziali allorché pare a portata di mano l’indicazione strategica principale data da Mario Draghi, nei suoi otto anni al vertice dell’Eurotower ma soprattutto dopo.
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