Gianni Alemanno sta scontando 22 mesi di carcere, senza alcun abbuono, per avere violato i servizi sociali. Sicuro che non sia una severità “politica”?

Gianni Alemanno, già parlamentare, capo corrente di “Destra Sociale” in Alleanza Nazionale, ministro dell’Agricoltura nel governo Berlusconi 2 e sindaco di Roma, ha un lungo e tormentato passato giudiziario legato alle sue vicende politiche.

Attualmente è detenuto a Rebibbia dove è stato tradotto nella notte dell’ultimo dell’anno per aver violato le norme relative ai servizi sociali cui era stato destinato in alternativa alla pena detentiva di 22 mesi per “traffico di influenze” essendo cadute in Cassazione tutte le altre accuse per le indagini relative all’inchiesta di “Mafia capitale”.



Partiamo da qui: alla fine di una lunghissima storia giudiziaria, a carico di Alemanno (che nella percezione pubblica è diventato comunque un “colluso” alla malavita della capitale) era rimasto appunto solo un reato “minore” e tra l’altro molto labile per come è stato scritto dal legislatore, tanto è vero che proprio venerdì 31 gennaio i giudici che indagano sulle mascherine di Arcuri (l’ex commissario ai tempi del Covid) hanno sollevato la questione dell’incostituzionalità relativa alla formulazione del reato con un esposto alla Consulta e sospendendo quel processo.



Ma una condanna va intanto comunque applicata e per Alemanno la pena (essendo inferiore all’obbligo detentivo, ma non essendo stata curiosamente applicata la condizionale) è stata commutata in un  lavoro socialmente utile presso la cooperativa “Solidarietà e Speranza”.

Da quanto si sa, Alemanno – che comunque continua ad occuparsi di politica – avrebbe reiteratamente violato l’affidamento girando per mezza Italia alla guida del suo movimento “Indipendenza”, mentre nel frattempo correvano i mesi e si avvicinava la scadenza della pena. Movimenti peraltro mai nascosti e ampiamente pubblicizzati sui media.



Non si discute sui suoi probabili abusi (anche perché non si conoscono pubblicamente), semmai è discutibile l’irruzione proprio la sera del 31 dicembre a casa sua per arrestarlo, non avendo certamente Alemanno intenzioni di fuga.

Associato a Rebibbia, la scorsa settimana è stato processato per le violazioni ai lavori sociali e condannato a scontare in cella non solo l’ultima parte della pena ma – come nel gioco dell’oca – nuovamente da capo tutti i 22 mesi, quando lo stesso pubblico ministero aveva proposto di abbuonarne una parte e almeno i 4 mesi iniziali della pena alternativa per i quali non erano emerse irregolarità.

“Stupisce, al pari dell’arresto la notte di Capodanno, che non sia stato considerato neppure il parere del procuratore generale che salvava il primo periodo di affidamento. Forse, considerando il tipo di reato per cui è stato condannato e il mese già trascorso in stato di detenzione, potevano essere disposti almeno i domiciliari” sostiene il suo difensore Cesare Placanica, ma il tribunale è stato inflessibile.

Fin qui la cronaca. Restano alcune considerazioni. Innanzitutto, se un tribunale di sorveglianza adottasse questo metro di giudizio per ogni caso di violazione ai domiciliari o ai servizi sociali, le prigioni dovrebbero essere ancora più affollate di quanto lo sono oggi, ma – se pur i fatti e le circostanze impongano una punizione – non è dato sapere quali siano mai le circostanze di tanta severità, tenuto conto dell’attività politica di Alemanno che certo non si nascondeva. Il buon senso avrebbe forse imposto una comunicazione, una diffida preventiva, un avviso sull’evolversi delle circostanze onde richiamare il condannato ai suoi doveri. E invece nulla di tutto ciò.

Un paio di note finali. Innanzitutto, chiamarsi Alemanno forse oggi non aiuta nei rapporti con il Palazzo di Giustizia di Roma. Soprattutto, però, colpisce il silenzio glaciale di tutto il centro-destra normalmente “garantista”. Stavolta non ha espresso neppure una parola non dico di solidarietà, ma almeno di attenzione a questo caso, tanto che a parlarne – oltre ad un lungo intervento di Storace su Repubblica – è stata praticamente solo l’Unità di Sansonetti che – nel caso – si è dimostrato decisamente un “garantista” trasversale. A destra solo impacciato silenzio. Forse anche perché certe sue posizioni sul conflitto in Ucraina, le Ogm e i rapporti con l’Europa non sono piaciute?

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